Dalla debacle di Bergamo ad oggi, il Milan di Stefano Pioli rappresenta la squadra più maturata e cresciuta dell’intera Serie A. Ripercorrere i ventidue mesi intercorsi tra Atalanta-Milan del Dicembre 2019, il punto più basso della storia recente rossonera, e Atalanta-Milan 2-3 della stagione in corso, forse apice della risalita ai vertici, aiuta ad apprezzare la continua trasformazione della macchina ‘piolista’.
Nell’ultimo anno e mezzo, infatti, la compattezza societaria assicurata dal trio Gazidis-Massara-Maldini, l’inserimento di giocatori funzionali al progetto tecnico, e la continua proposta di nuove soluzioni tattiche ideate da Pioli e staff, hanno consentito al Milan di bruciare le tappe fino a consolidarsi come una realtà in grado di lottare per lo scudetto. In due soli campionati gli “enfant terribles” rossoneri sono stati in grado di compiere un percorso che solitamente richiede quattro/cinque anni di graduali miglioramenti, e oggi sembrano essere pronti ad aprire un ciclo di vittorie che fino a due anni fa appariva utopistico.
Atalanta-Milan, dove tutto è iniziato
Il calcio, vero culto tribale dell’epoca moderna, da sempre si accompagna a riti, simboli, e ricorrenze che danno un’apparenza di ordine a un caos di eventi impronosticabili. Nel caso dell’ascesa milanista, il tempio sacro che incarna le diverse tappe dell’evoluzione rossonera è il Gewiss Stadium di Bergamo. Dal 5-0 che ha rappresentato l’abisso tragico a partire dal quale – come scrive Nietszche nella “Nascita della tragedia” – è necessario risalire per dar vita alla bellezza apollinea; passando per lo 0-2 di Maggio, che ha suggellato con la qualificazione alla Champions League la seconda fase dell’evoluzione piolista; fino al 2-3 del campionato in corso. Un dominio di volontà di potenza che manifesta un nuovo stadio evolutivo raggiunto dalla creatura capitanata da Davide Calabria, uomo simbolo della recente parabola ascendente che ha travolto il mondo rossonero.
Se il 5-0 del Dicembre 2019 è una data ormai marchiata in rosso nel volume della storia del calcio recente – nota come lo spartiacque tra un Milan pre-Ibrahimovic e un Milan post-Ibrahimovic – con la conseguente esplosione dei ragazzi di Pioli in periodo di lockdown, la letteratura è più scarsa per quel che riguarda l’approdo alla rivincita di Bergamo. Nel Febbraio dello scorso campionato, infatti, i rossoneri patiscono il primo vero calo fisico – e fisiologico – post-exploit, e subiscono una serie di sconfitte pesanti che rischiano di compromettere lo straordinario lavoro svolto nei mesi precedenti. Queste stesse sconfitte, alla luce dei due big match che consentiranno ai rossoneri di riappropriarsi della Champions (Juve Milan 0-3 e Atalanta Milan 0-2) si riveleranno decisive nel costringere Pioli ad apportare degli accorgimenti tattici che proietteranno la squadra in una nuova dimensione di forza.
Per tale ragione, si può dire che le tre evoluzioni che hanno portato il Milan ad essere la squadra che è oggi, sono sempre passate attraverso sconfitte pesanti, che, anziché abbattere l’ambiente, hanno sempre prodotto un effetto boomerang da cui il Milan si è rialzato più maturo. Come racconta Boban quando rievoca la chiamata con cui, alla vigilia di Natale, Ibra alzò la cornetta e con la sua consueta prosopopea disse “Complimenti Milan, hai preso Ibra”, senza una disfatta come quella di Bergamo, il campione svedese non si sarebbe sentito in dovere di salvare una nave che stava ormai affondando. Allo stesso modo -e qui come sempre è facile parlare ex-post- senza l’arrivo di Ibra, difficilmente la prima versione scintillante del Milan di Pioli sarebbe stata realtà, e oggi, sulla panchina rossonera, siederebbe Ralf Rangnick. Il Milan di oggi, a seconda delle prospettive filosofiche, è o il frutto di una mirabolante serie di coincidenze che si sono incastrate nell’ingranaggio giusto, o una prova di un disegno provvidenzialistico messo in atto da un dio che non poteva più sopportare la mediocrità a cui i rossoneri stavano abituando i propri tifosi.
La svolta estiva
Il Milan di Pioli nella prima fase evolutiva – quello della mirabile striscia di risultati utili tra la fine della stagione 2018/19 e girone d’andata della 19/20 – era una squadra caratterizzata da principi di gioco di matrice “tedesca”, tipici degli allenatori della scuola di Rangnick (sì, proprio lui): pressione alta, riaggressione immediata successiva alla perdita del pallone – il cosiddetto ‘Gegenpressing’ – e fluidità negli scambi di posizione in fase offensiva. L’arrivo di Ibrahimovic e Kjaer a Gennaio si è rivelato fondamentale per implementare il progetto tecnico con la dose di esperienza che mancava. A beneficiarne sono stati i più giovani, che, sgravati delle responsabilità piombate sulle spalle di Ibra, hanno potuto esprimere al meglio il loro talento: dalla rinascita di Calabria sino all’esplosione della mediana Kessiè-Bennacer, passando per la crescita esponenziale di Saelemaekers e Leão.
Ciò che in questa prima fase consentiva al Milan di dominare gli avversari era una condizione fisica perfetta. Il Milan imponeva un ritmo difficilmente sostenibile dalla squadre italiane, e i big match vittoriosi lo testimoniano (Lazio Milan 0-3, Milan Roma 2-0, Milan Juve 4-2); non a caso, l’unica squadra in grado di tenere testa ai ritmi forsennati imposti dalla squadra di Pioli nell’insolita estate di campionato del 2020, è stata l’Atalanta di Gasperini, uscita da San Siro con un prezioso pareggio.
Forgiati dalle difficoltà
Il primo vero momento di crisi, quel tempo in cui gli eventi intraprenderanno irreversibilmente una nuova direzione, è rappresentato dal derby perso 3-0 nel Febbraio del 2021, che segnerà il definitivo sorpasso nerazzurro verso il diciannovesimo Scudetto. Le prime avvisaglie si erano manifestate nelle sfide precedenti: i rossoneri arrivano al derby Scudetto dopo una pesantissima sconfitta esterna contro lo Spezia, partita di cui i ragazzi di Pioli sono spettatori dall’inizio alla fine, e un deludente pari in Europa League contro la Stella Rossa di Stankovic, risultato che valse la qualificazione, ma palesò la mancanza di brillantezza fisica.
Per arginare la coppia più forte del campionato, Pioli tenta una mossa azzardata che si rivelerà rovinosa. Il Milan approccia la partita con un baricentro difensivo medio altissimo, ma né Romagnoli, né tantomeno Kjaer, hanno la velocità necessaria per tenere Lautaro e Lukaku in campo aperto: i primi quindici minuti sono un massacro. Romagnoli tenta di giocare in anticipo sul campione belga, ma non fa che prestare il fianco alla sua giocata prediletta: Lukaku fa perno sul capitano milanista e fa sfilare il pallone sfruttando la sua fisicità bestiale, poi lo semina in velocità e diventa imprendibile. Una situazione di questo tipo propizia l’1-0 dei nerazzurri firmato da Lautaro, e un labiale rivolto a Kjaer dal capitano milanista appare inequivocabile: il difensore di Anzio invita Kjaer a cambiare strategia accantonando i tentativi di anticipo. Nei minuti finali del primo tempo il Milan sembra dare segnali di ripresa, ma un grande Handanovic si oppone ai tentativi di assalto dei rossoneri. Il secondo tempo è principalmente appannaggio degli uomini di Pioli, con un baricentro medio di oltre sessanta metri, ma due ripartenze letali nel segno di Hakimi, Lautaro e Lukaku fissano il punteggio su un pesante 3-0.
Nelle giornate successive, un Milan falcidiato dagli infortuni e in evidente calo fisico, non riuscirà a ritrovare la continuità dei mesi precedenti, e passerà dall’obbiettivo scudetto a mettere a serio rischio una qualificazione in Champions che sembrava in cassaforte. Come detto in precedenza, le evoluzioni del Milan di Pioli nascono dalle disfatte; in tal senso, Lazio-Milan del 26 Aprile sembra una fotocopia del derby, ma rappresenterà la scossa decisiva per la svolta che consentirà ai rossoneri di rialzarsi, avviandosi al secondo stadio della loro evoluzione. Come per la partita contro l’Inter, Pioli deve preparare soluzioni per arginare una coppia d’attacco micidiale, per quanto diversa da Lukaku-Lautaro. Correa e Immobile vanno a nozze con la profondità e gli spazi da attaccare, e il Milan sembra commettere le stesse ingenuità tattiche che avevano compromesso il derby: il baricentro medio si stanzia sugli stessi livelli (51m), e le imbucate laziali infilzano la linea difensiva altissima dei rossoneri come coltello nel burro. Per quanto l’inserimento di Fikayo Tomori in luogo di Romagnoli renda più sensato un approccio aggressivo con la possibilità di correre rapidamente all’indietro, il centrale inglese realizza la sua peggior prestazione in maglia rossonera.
La seconda evoluzione del Milan
Il Milan è ormai a un bivio. Le sconfitte contro Sassuolo e Lazio hanno aperto una ferita profonda, mancano cinque giornate di campionato, e la Champions è più che mai a rischio. Non centrare la qualificazione dopo aver approcciato il girone di ritorno da campioni d’inverno sarebbe una beffa tale da vanificare gli enormi passi in avanti fatti nell’anno precedente. Se dopo Istanbul c’è sempre Atene, il Milan, alla trentacinquesima giornata, ha la possibilità di riscattare le recenti delusioni in uno spareggio Champions contro una Juventus altrettanto ferita. Questa partita, simbolo – assieme al trionfo finale di Bergamo – della seconda evoluzione del Milan pioliano, manifesta una ritrovata autorevolezza nei ragazzi di Pioli, che, come accaduto dopo il 5-0 di Bergamo, si forgiano e rafforzano nelle sconfitte.
Del resto, si tratta della squadra più giovane della Serie A (età media di 23 anni nel campionato 2020/21): molti giocatori del Milan non sono ancora uomini che seguono un percorso già tracciato, ma ragazzi di talento che ogni giorno progrediscono, scoprono qualità che non sapevano di possedere, e lo fanno – come tutti i ragazz i- passando da momenti di difficoltà. Juve-Milan è anche la partita della mossa a sorpresa di Pioli, che panchina Leão e Rebic per schierare Brahim Díaz da seconda punta, preannunciando un passaggio di consegne da Çalhanoglu al talentino malagueno che sta dando frutti prosperi nella stagione in corso.
Ogni evoluzione di una squadra di calcio passa da nuove istruzioni tattiche impartite dall’allenatore; esse hanno la funzione decisiva di un software che conferisce un’identità comune a tutta la macchina. Nel caso del match di Torino, oltre all’inserimento a sorpresa di Brahim, Pioli dimostra di aver imparato dagli errori commessi contro Lazio e Inter. Il Milan mantiene una linea difensiva di almeno 15/20 m più bassa, come si evince dalle posizioni medie (fonte: Sofascore) e con i continui scambi di posizione sulla trequarti tra Saelemaekers, Brahim e Calhanoglu, non offre alcun punto di riferimento alla Juventus. Da sottolineare anche la posizione media di Theo, pressoché identica a quella mantenuta dal francese nel 3-2 di Bergamo di quest’anno, a testimonianza del fatto che il Milan, a Torino, si è proiettato in una nuova dimensione. Ad aprire le marcature sarà proprio Brahim Díaz, che dopo essersi liberato di Chiellini, sferra un destro a giro che si insacca all’incrocio. Kessiè sbaglia un rigore, ma il Milan continua a macinare, e non sembra esserci storia: una prodezza di Rebic dai venticinque metri e un’incornata ad altezze celesti di Fikayo Tomori, uno degli uomini più importanti del nuovo stadio evolutivo, sanciscono un 3-0 che profuma di Champions League.
Dopo lo 0-7 rifilato al Torino, tutto è pronto per la grande festa. I rossoneri scendono in campo contro un Cagliari fresco di salvezza, e con tre punti hanno la possibilità di qualificarsi alla tanto agognata coppa europea. La serata, però, si rivela molto più complicata del previsto, sino a trasformarsi in un vero e proprio psicodramma sportivo. Il Cagliari difende con un blocco compatto e basso, il Milan non trova spazi: i ragazzi di Pioli appaiono visibilmente nervosi, tanto che quello spensierato entusiasmo che li ha portati a seminare tanti frutti, sembra essersi trasformato in un’ansia nervosa che gli impedisce di raccoglierli. Il Milan crea pochissimo, sbatte continuamente contro il muro sardo, e non fosse per Donnarumma, perderebbe la partita.
Bergamo nel destino
Quella che separa Milan-Cagliari da Atalanta-Milan è una delle settimane più lunghe, logoranti, addirittura soffocanti della storia recente rossonera. Il sentimento diffuso nella tifoseria è quello di uno sconforto beffardo: i rossoneri sono stati protagonisti di un percorso impensabile, a partire dalle fondamenta costruite nel lockdown estivo, sino ad arrivare al titolo di campioni d’inverno. Mancare la qualificazione alla Champions significherebbe vanificare tutto, e rimandare, ancora una volta, il boot di blasone, ricavi, e appetibilità che solo la Champions può garantire.
Da Bergamo a Bergamo. La storia del Milan di Pioli passa dal Gewiss Stadium, dalla squadra che più di tutte si avvicina ai rossoneri per ritmo e intensità di gioco. Mancava ovviamente Ibra nel 5-0 del Dicembre 2019, manca Ibra anche nella gara più importante della storia recente rossonera. Nell’anno e mezzo intercorso tra le due partite, però, Ibra c’è stato eccome, e i suoi compagni, come figli desiderosi di rendere orgoglioso il proprio padre, sono pronti a dimostrarlo. I rossoneri affrontano i bergamaschi con un atteggiamento del tutto atipico rispetto al percorso tecnico-tattico che li ha portati a giocarsi l’accesso alla Champions: Pioli imposta un Milan basso, con un blocco compatto e stretto, pronto a far male all’Atalanta con improvvise transizioni offensive sfruttando la rapidità di Brahim e Leão.
I ragazzi di Pioli soffrono per larghi tratti del primo tempo, ma un’incursione di Theo è sufficiente per propiziare il rigore dell’1-0 propiziato da Kessiè. Il secondo tempo sarà un concentrato di ansie e attesa degno delle migliori scene di Shining. Mentre Kjaer e Tomori murano qualsiasi tentativo di Malinovski e Zapata, si attendono notizie dai campi di Napoli e Bologna dove Juventus e Napoli lottano – come i rossoneri – per due soli slot, componendo una sfida triangolare alla Squid Game in cui non si fanno prigionieri. Il secondo rigore trasformato da Franck Kessiè è una liberazione catartica che esplode in tutto il popolo rossonero: dopo sette anni di mediocrità, angosce, e figuracce, il Milan ha riconquistato il palco più prestigioso d’Europa. Sebbene lo 0-2 di Bergamo non rappresenti certo la miglior espressione del calcio “piolista”, l’importanza del risultato certifica una maturazione che, dopo le disfatte contro Inter e Lazio, sembrava ben lontana. Ancora una volta gli enfant prodiges di Milanello hanno dimostrato di saper governare la nave in tempesta, anche senza il loro comandante d’esperienza; e ancora una volta, Stefano Pioli ha dimostrato di essere un allenatore che supera i momenti di difficoltà attraverso la proposta di nuove idee, soluzioni tattiche che di settimana in settimana mirano a migliorare la sua giovane creatura.
La maturazione dei singoli
Dopo le partenze a zero di Calhanoglu e Donnarumma, il dibattito sulla rosa del Milan si è fatto più che mai vivo. A lasciare perplessi tifosi e addetti ai lavori, in particolare, è stato il mancato acquisto di un trequartista di status internazionale che garantisse un upgrade di Calhanoglu. Disputate le prime giornate di campionato, tralasciando le prestazioni abuliche del turco, si può constatare come Brahim Díaz sia il perno centrale del gioco offensivo dei rossoneri. Se sia la maglia numero dieci ad averlo responsabilizzato, o semplicemente l’anno di esperienza in più alle spalle, quel che è sotto gli occhi di tutti è che il Milan di Pioli, oggi, ruota attorno alla sua fantasia e alla sua capacità di farsi sempre trovare tra le linee. Con quattro gol nelle prime giornate, Brahim ha già realizzato il doppio dei gol di Calhanoglu nella passata stagione: alla faccia del downgrade.
Se la qualificazione alla Champions maturata a Bergamo è la tappa di partenza di quella che si può definire come terza evoluzione del Milan di Pioli, i reali meccanismi di quest’ultima si sono palesati in queste prime partite. Se il Milan di oggi ha il doppio delle soluzioni su cui poteva contare l’anno scorso, molto lo deve anche al salto di qualità compiuto da alcuni giovani elementi della rosa. Pioli l’ha sottolineato in una delle prime conferenze della stagione: quest’anno Leão, Brahim, Tonali, e anche Krunic – per quanto non più giovanissimo – si sono presentati con una consapevolezza diversa.
È proprio la maturazione di questi singoli a restituire l’idea di un Milan più forte e competitivo, e l’impressione è che molti elementi della rosa, in quanto giovani, debbano ancora raggiungere il proprio apice. Se il Leão dell’anno scorso era un talento discontinuo, capace di alternare grandi giocate a prestazioni indolenti, quest’anno il portoghese sembra aver compiuto lo step decisivo per trasformarsi in un crack. Il classe ’99 appare finalmente in grado di tenere un livello di prestazione alto per tutto l’arco della partita, e le folate con cui decolla sulla fascia sono ormai una costante che lo rende un incubo per qualsiasi difendente. Il rossonero è al momento primo per dribbling riusciti in Serie A (media di 2.9), e nella medesima statistica è primo se comparato a qualsiasi giocatore passato al Milan dal 2009; chi al secondo posto? Sempre lui, ma con il dato dell’anno scorso (2.8 a partita). Anche dal punto di vista realizzativo, la crescita del calciatore è evidente: quattro gol e due assist tra campionato e Champions, già più della metà di quelli realizzati lo scorso anno.
Terza evoluzione
Sampdoria-Milan 0-1, prima giornata del campionato 2021/22, ha offerto molte risposte in merito alla nuova evoluzione della squadra di Pioli. Maignan è già un leader e i suoi lanci lunghi sono un’importante soluzione inedita, Brahim gioca da dieci a tutto campo, e Sandro Tonali, dopo un anno di apprendistato, è finalmente sbarcato nel mondo rossonero. Il Milan non gioca una partita impeccabile, ma i diktat della nuova evoluzione appaiono chiari: “salita lavolpiana” con Tonali che si abbassa sulla linea dei centrali per impostare, Brahim che si libera coi tempi giusti tra le linee e non aspetta il pallone sui piedi, e transizioni offensive ad velocità.
In questa terza fase della macchina “piolista”, come già detto, un giocatore chiave è il diez rossonero: rispetto a Calhanoglu, il ventunenne spagnolo sembra più funzionale al tentativo di Pioli di rendere la squadra più verticale e diretta rispetto allo scorso anno. Spesso, il turco palesava difficoltà nella frenesia dei contropiedi, e commetteva errori banali nell’ultimo passaggio; in questo fondamentale Brahim, che può contare anche su un’abilità tipica dei grandi talenti spagnoli – quella di saltare l’uomo col primo controllo – ha dato nuova linfa all’attacco milanista. A dimostrazione di ciò, è emblematico il terzo gol segnato dal Milan contro il Cagliari: Brahim riceve tra le linee, conduce il pallone – rigorosamente incollato al piede – per venti metri senza mai perdere velocità, e al momento dell’ultimo passaggio serve un assist con il contagiri a Giroud che chiude con un sinistro a giro sul secondo palo.
Quest’azione è epitome perfetta del Milan 2021/22, una squadra che tenta un recupero palla iper-aggressivo per ribaltare il campo in pochi secondi, una squadra che, senza Brahim, non avrebbe la medesima efficacia. Lo stesso Cagliari che aveva irretito la fase offensiva rossonera pochi mesi prima, viene asfaltato con un parziale di 4-1 a fine primo tempo. La vera differenza si evince dai numeri: nello scontro di marzo i rossoneri avevano trascorso il 58% del tempo nella meta campo avversaria, senza mai creare seri pericoli; quest’anno, con il solo 48% del tempo, i rossoneri hanno realizzato quattro reti, e hanno prodotto altrettante occasioni da gol. Il nuovo Milan fraseggia meno, ma quando arriva alla metà campo nemica lo fa con un ritmo e un’indice di pericolosità totalmente diverso.
Il primo big match di questo Milan di terzo livello è una dimostrazione di forza: i rossoneri costringono la Lazio di Sarri per 90 minuti in un turbine di pressione soffocante e falcate firmate da Theo e Leão, autore dell’1-0. Il dominatore della partita è Sandro Tonali, l’uomo in più a centrocampo della stagione dei rossoneri, e lontano parente del giocatore timido intravisto l’anno scorso. Il 2000 bresciano è onnipresente, strappa a testa alta come ai tempi di Brescia, e in ogni contrasto sul pallone fa valere una forza nelle gambe che fa sussultare sugli spalti di San Siro. Il risultato è di 2-0, ma la prestazione dei rossoneri riempie gli occhi di tutti i tifosi: il Milan è forte come mai lo era stato nell’ultimo decennio.
Bergamo 3.0: il manifesto del piolismo
Se il pareggio di Torino contro la Juventus viene condizionato dalle numerosissime assenze che, anche quest’anno, stanno limitando i rossoneri, la partita della consacrazione della terza evoluzione del Milan di Pioli, come nel caso dei primi due stadi, ha luogo a Bergamo. Per analizzare l’ottima prestazione dei rossoneri, nonché le novità tattiche apportate da Pioli, è utile partire dalle posizioni medie. La posizione chiave è quella di Theo Hernandez, che agisce quasi da mezzala sinistra, sulla stessa linea di Tonali e Kessiè, con Tomori pronto a supportarlo in copertura sul centro-sinistra, il francese ha la libertà di esaltare le sue qualità atletiche micidiali, entrando dentro al campo senza preoccuparsi di lasciare scoperta la fascia.
Il primo gol, su situazione preparata in allenamento – come confermato da Calabria nel post-partita – è un piccolo capolavoro: dopo venti secondi Saelemaekers riceve palla in posizione di trequartista, taglia il campo verso sinistra e serve Theo, che riceve e conduce palla con due tocchi; nel frattempo, Rebic taglia portandosi appresso due marcatori, mentre Calabria scatta in profondità sul centro destra con un movimento da attaccante puro; Theo serve il capitano rossonero con un filtrante perfetto, il quale, dopo essersi fatto ipnotizzare a tu per tu con Musso, segna in ribattuta. Dopo trenta secondi il Milan è avanti a Bergamo, e la rete è un vero e proprio manifesto alla fluidità delle posizioni che caratterizza l’élite del calcio moderno.
Il Milan gioca una partita nettamente più matura e sapiente rispetto a quella di maggio: conosce la forza dell’Atalanta, e sa quando è il momento di soffrire, ma regge senza troppi affanni; quando riparte, invece, ribalta il campo con una rapidità che – con le dovute proporzioni – sembra citare quella del Bayern di Flick. Nella partita di maggio il recupero del possesso sembrava solo una pausa dai continui assedi bergamaschi: il Milan cercava il lancio lungo su Leão, che con la marcatura stretta dei difensori atalantini, finiva con l’essere risucchiato. Lo stesso Calhanoglu, per quanto generoso in fase di non possesso, era stato protagonista di una prova molto imprecisa nella gestione del pallone.
Nel 3-2 di questa stagione, la prestazione collettiva e dei singoli è stata di tutt’altro spessore. A soli quattro mesi di distanza, il Leão fantasma si è trasformato in un giocatore maturo e costante nei novanta minuti, in grado di insaccare il pallone del 3-0 con un destro fulminante all’incrocio; Brahim ha surclassato la prestazione individuale del turco, posizionandosi sempre perfettamente tra le linee e manifestando qualità in ogni giocata; infine, Sandro Tonali, che sradica a Freuler il pallone del 2-0 e spiazza Musso con freddezza glaciale. Citazione d’onore per Fikayo Tomori, autore di un recupero disperato dal coefficiente di rischio altissimo su Pessina, e si conferma il prototipo ideale del difensore pioliano per aggressività e rapidità.
Sono cresciuti i singoli, è cresciuto Pioli, che dalla salita lavolpiana al gol da terzino a terzino (Theo-Calabria) propone ogni weekend soluzioni interessanti; insomma, è cresciuto il Milan. Atalanta-Milan ha rappresentato probabilmente l’acme del Milan di Pioli, concentrando i crismi fondamentali del progetto tecnico nei tre gol: la fluidità posizionale nel gol di Calabria, il pressing iper-aggressivo nel gol di Tonali, l’iper-elettricità nel ribaltare il campo in occasione del gol di Leão che conclude una discesa devastante di Theo. Il vero nodo che separa i rossoneri da una stagione di successo è quello degli infortuni: anche quest’anno, tra la rottura dello scafoide di Maignan (out tre mesi), gli acciacchi di Ibra e Messias, le positività al Covid che ricorrono (dopo Bennacer e Giroud anche Brahim e Theo), la rosa schierabile da Pioli è di partita in partita decimata. La forza del Milan dell’anno scorso si è fondata proprio sulla capacita di fare gruppo stringendo i denti in situazioni di assoluta emergenza – basti pensare a United-Milan o Verona-Milan – e anche quest’anno una rimonta come quella realizzata col Verona dimostra che i rossoneri non hanno intenzione di piangersi addosso.
Molte delle possibilità di scudetto passeranno dall’eventuale qualificazione in Champions. Se i rossoneri dovessero realizzare l’impresa di passare il turno, complici i continui infortuni, gestire il doppio impegno potrebbe diventare complicato. In caso contrario, potrebbero recuperare con più calma gli infortunati e seguire un percorso simile a quello dell’Inter di Conte l’anno scorso: usciti dalla Champions, puntare tutto sullo scudetto. Quel che è certo è che Pioli e giocatori non faranno alcuna scelta, e proveranno a ottenere il massimo in ogni competizione, con l’entusiasmo che caratterizza il progetto da due anni. Pioli non si lamenta mai, e così i suoi giovani giocatori, che, in qualunque condizione, scendono in campo per disputare la miglior partita possibile, incarnando una lezione di vita che ricorda quella di Lorenzo De’ Medici: “quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, di domani non v’è certezza”. C’è ancora tempo per altre evoluzioni, Pioli e i suoi ragazzi terribili non si pongono limiti.