Onestamente, e senza esagerare nemmeno un tantino, sono convinto che Mislav Orsic – uno che di mestiere fa l’ala/trequartista/seconda punta della Dinamo Zagabria – sarebbe potuto essere uno dei migliori attori shakespeariani della nostra epoca, specialmente intrappolato nei personaggi più nichilisti. Sarebbe stato tra i miti delle interpretazioni teatrali, specie oggi che Sir Laurence Kerr Olivier non c’è più ed è tutto così diverso.
Però almeno il vecchio Sir Laurence Olivier era nato in un paesino nella contea del Surrey, con un’ora di ritardo rispetto al nostro orologio a causa di quella strana faccenda del fuso orario inglese. Perciò lui, il grande attore, aveva avuto molto più tempo di Mislav Orsic per divertirsi e studiare i classici della letteratura ed il teatro, e la splendida arte della recitazione e dell’improvvisazione. Specie in certi tempi, sapete, non tutti si divertono a studiare i testi sacri per la formazione di un giovane attore, ma Sir Laurence Olivier sì senza dubbio. Altrimenti la sua esistenza tra un Lear ed un Otello sarebbe dovuta essere stata un’agonia tristissima, perché Sir Laurence Olivier è vissuto cibandosi dei contributi di William Shakespeare ai suoi posteri, opere di vita. Ecco, magari quel lupo d’arena si sarebbe interessato al profilo di Orsic, uno che a teatro è solo un esordiente, o magari sarebbe entrato in competizione con lui o chi può dirlo. Ma pensandoci bene, l’invidia dai contorni professionali non è una cosa da Sir Laurence Olivier, perché lui oltre che un attore carismatico era pure un nobile barone. Grande uomo. Io non ci avevo mai ragionato, ma secondo me Mislav Orsic avrebbe le carte in regola per essere un Macbeth da paura, da recensioni che schizzano sopra nelle caselle di Rotten Tomatoes per la versione home-video.
Comunque è girata male a Mislav Orsic, perché è nato 3 anni dopo la morte del barone Olivier, il 29 dicembre 1992. E poi, inoltre, non ha mai avuto l’opportunità di crescere vicino al Globe Theatre, mentre dalle sue parti c’è il National Theatre, a Zagabria, città dove affonda le sue radici. Naturalmente da piccolino ha vissuto da vicino le tensioni della guerra dei Balcani, però oggi, dopo tanta gavetta infinita, è diventato un calciatore professionista per la sua Dinamo Zagabria, il club che ha sempre tifato. Ora, a a 29 anni, è un giocatore imprescindibile sul taccuino degli esperti. Ha un piede destro come una lama seghettata e fa dozzine di gol a stagione nello spazietto tra palo e traversa, la zona interna ai due legni. Eppure prima di diventare eroe per la massima potenza del campionato croato ha dovuto girare il mondo, finendo in posti dimenticati dal dio del calcio. E, molto enigmaticamente, quei club con consonanti rare e titoli da farvi pensare più alla narrativa straniera che al grande sport del calcio, non sembravano “troppo” per lui.
Perciò lo vedrei bene soprattutto nel monologo verso il finale di Macbeth, da eroe ed antieroe con l’espressione dura di sempre, in preda all’amarezza, con il coraggio e la forza di chi si batte, con il pensiero che la sua adorata Dinamo Zagabria sembrerebbe essere addirittura un ambiente “da poco” per il suo smisurato talento e che meriterebbe di giocare su palcoscenici più importanti, ma anche che pochi anni fa il calcio cinese sembrava essere pari alle sue intuizioni sportive. Tutto ammettendo di fronte alla platea di non aver capito niente del suo percorso e della sua vita, recitando le parolone di Shakespeare.
La vita è un povero attore che si agita e che pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, che non significa niente.
Un giorno è il piccione, un altro la statua
Nel 2009 Mislav Orsić muove i suoi primi passi calcistici nella squadra dell’Inter Zapresić, club che vanta di suo appena una Coppa di Croazia conquistata nel ’92. I talenti del club in questione vestono gialloblù ma, stranamente, la squadra non ha nessun soprannome che si riferisca ai colori, piuttosto gli appartiene il titolo di “Div iz predgrada”, letteralmente “Il Gigante di periferia”. Peccato davvero che un club dal soprannome così fantasioso si sia sciolto negli ultimi mesi. Dopo gli ingressi in campo con tutte le nazionali giovanili del suo Paese e dopo l’esperienza con l’Inter Zapresić, nel 2013 Orsic punta al calcio italiano muovendosi a La Spezia, Serie B: avrà un ruolo da comparsa, o meglio, da comparsa delle comparse. È solo l’alba di un giro del mondo in 5 anni.
Ritorno in patria al Rijeka, cessione agli sloveni del Celje, ma non lascia il segno nemmeno qui, poi l’approdo agli Jeonnom Dragons in Corea del Sud dove il suo nome sembrerà di una pronuncia “complicatissima” per il suono aspro del finale di parola. L’anno dopo viene premiato con un trasferimento ai cinesi del Changchun Yatai Zuqiu Julebu, esperienza breve e poco brillante, ritorno in Corea nell’Ulsan Hyundai F.C., esperienza redditizia, ritorno in Croazia ovvero valigie per Zagabria ovvero condivisione dello spogliatoio con i calciatori della, finalmente nel 2018, Dinamo Zagabria. Per chi se lo chiedesse, ebbene sì: la Dinamo acquista anche dalla Corea del Sud. E la scommessa sul 26enne di Zagabria sarà una mossa forte sul destino dei croati.
Partendo da esterno, oltre alle 15 marcature garantite a stagione in HNL (il campionato croato) in questi ultimi 4 anni Orsic ha sorpreso con prestazioni impeccabili specialmente a livello europeo, tramutandosi spesso in insospettabile trascinatore della sua Dinamo Zagabria. Mentre il minutaggio in Nazionale sale, sicuramente la prestazione più famosa resta la tripletta al Tottenham silurato dall’Europa League dopo un 2-0 dell’andata a favore degli inglesi. Un lampo al 62′, uno all’83’, il terzo al minuto 106′ dei supplementari: tiri dal limite simili e violenti, una partita vinta portandosi la Dinamo sulle spalle, tanto che Mourinho a fine partita verrà personalmente a congratularsi con i croati negli spogliatoi, ammettendo nel post-gara: “Avevo fatto vedere ai miei tanti video perché stessero concentrati proprio su Orsic.”
Se ricordate, e sicuramente ricordate l’esonero di Mou agli Spurs, probabilmente non ricordate quante responsabilità detenesse Orsic: l’addio dello Special One a Kane, Son e compagni giunse poche settimane dopo. Nel suo personalissimo amarcord trova un posticino comodo l’altra tripletta, quella contro l’Atalanta di Gomez, Ilicić e Zapata stesa 4-0 ai gironi di Champions, punendo Gollini da distanze più ravvicinate del solito. Da segnalare, naturalmente, anche la prestazione maiuscola di martedì che ha portato i croati a 3 punti nel girone, piegando 1-0 il Chelsea, gol in contropiede beffando il giovane Fofana ed esonero causato, questa volta ai danni di Thomas Tuchel.
Ursidi: parentela ed abitudini
Orsic non sembra uno che si diverte tanto quando gioca a calcio. Ha sempre l’area di chi fatica più del dovuto, con i denti stretti, lo sguardo solitamente basso, la mimica preoccupata di chi possiede tante responsabilità per i bilanci del suo reparto offensivo. Sembra “lavorare” a tutti gli effetti, non partecipare ad un gioco che sia “gradevole”. Dopo i gol segnati, e la frequenza è ampia, tende ad abbozzare qualcosa che possa assomigliare ad un ghigno di rivincita, come se ci fosse da dimostrare qualcosa a qualcuno. Esistono tanti giocatori che ballano e sghignazzano abitualmente con la palla sotto la suola o verso il tacco, lui gioca come se la gentaglia di questo tipo non avesse mosso i primi passi sul nostro pianeta. A volte, però, può capitare che tra una marcatura molto stretta ed un raddoppio contro di lui venga fuori un tunnel malizioso, chiaramente non in situazioni di puro showboating o di skilling gratuito per regalare una giocata spassosa al pubblico, ma soltanto per uscire dalle luci del traffico in maniera efficiente.
Come non vi ho spiegato, il ruolo naturale di Orsic va disegnato sulla fascia sinistra, così da rientrare sul destro in direzione della porta, ma questo non significa che il croato non abbia raccolto buoni risultati da seconda punta o da trequartista. Nel suo gioco si possono sognare percussioni interne alla Robben, perché lo strappo è regola, ma certamente l’indice di letalità sale tirando da fermo o quasi. Il numero 99 della Dinamo è uno a cui, nei pressi del perimetro dell’area di rigore, piace spostare il 100% del proprio peso corporeo sulla gamba sinistra e colpire con l’altro piede, spesso realizzando traiettorie sul palo più lontano.
Si può collocare Orsic nella famiglia dei tiratori da fuori come Malinovskyi e Payet, ma le sue conclusioni seppure molto potenti non toccano la violenza dell’ucraino né il velenoso arco dei tiri a effetto del francese. Di solito abbozza conclusioni ad effetto senza giri esagerati, mentre le traiettorie vengono fuori parecchio secche e silenziose, senza decelerazioni o rimbalzi prima di finire in porta. Diciamo che, se ci trovassimo nel basket, non lo definiremmo proprio un tiratore catch and shoot, parleremmo di un giocatore che adora tirare dal perimetro ma che spesso ha la necessità di lavorare la palla. Inutile spiegare che le difese avversarie gli rivolgano la maggior parte delle attenzioni, perciò qualche volta gli inserimenti dentro l’area diventano obbligatori (tagli backdoor), anche per distrarre le retroguardie avversarie.
Certamente però, questo non si può nemmeno definire un calciatore che vive per liberarsi dalle marcature e tirare da fuori. Dalle sue mattonelle a sinistra è solito utilizzare il destro per crossare alla ricerca di bomber Petković insistentemente, è un tipo di giocatore che crea per se stesso e per i compagni. In linea di massima, per contenerlo, i mali minori suggeriscono di lasciarlo il più lontano possibile dalla porta o di spingerlo esternamente.
Non è un paese per ventinovenni
Eccoci qui, 4 anni dopo, siamo ancora testimoni del potere calcistico di Mislav Orsic. L’ex Spezia tuttora infastidisce le big d’Europa in Champions League, non è cambiato nulla rispetto a un paio di anni fa, ed al contrario è tutto così impossibile al cospetto dell’Orsic di 5 stagioni fa.
Nonostante gli eterni interessamenti estivi da parte dell’Arsenal ed altri club inglesi, i soliti, stregati dal destro dell’esterno croato, il futuro di Orsic sembrerebbe già incastrato sui binari di casa sua con la maglia della Dinamo Zagabria per il resto dell’eternità. L’impressione primaria incolpa il mondo degli esperti del pallone: siamo arrivati troppo tardi. Troppo tardi per salire sul carro del croato. E dico anche al barone Olivier.
Troppo tardi, nonostante le indimenticabili prestazioni da trascinatore, i traguardi raggiunti e le rivincite palesate. Perciò il mondo del calcio non lo perdona, anche se Orsic ha dimostrato di poter raggiungere tutto ciò che è in suo desiderio. Ci viene palesato che non lui, bensì gli altri, trovino ragionevole fermare i giudizi assecondando dei dubbi assurdi dettati dal tempo che passa, moneta troppo preziosa, capace di stendere i milioni di euro nel confronto diretto. Inutili quindi le magie, la postura accurata del gesto tecnico del tiro, lo spirito grintoso nel gioco o l’applicazione, perché si finisce che gli altri temono di scommettere sul trasferimento del ventinovenne. Si tratta di una punizione apparentemente esagerata per il semplice reato di essere sbocciato tardi.
Dunque, il carro di Orsic rimane piccolissimo. E così grande o così stretto. Perché è una ricompensa esagerata per le ambizioni dell’Orsic U-23, ma gravemente insufficiente per quanto ci ha dimostrato il vecchio Orsic fino a questo punto. Colpisce come, in una maniera alquanto curiosa, il bilancio tra le due situazioni prova a compensarsi, non si può capire se è frutto dei voleri di un dio sportivo o di semplici casualità ordinate dal nulla cosmico.
D’altra parte sarà un caso anche che “il Piccolo Carro“, proprio la costellazione del cielo, porti dietro un nome praticamente uguale a quello del nostro protagonista: l’Orsa Minore, per intenderci.