Nell’ultima giornata di questo primo turno ai Mondiali 2022 arriva l’esordio del Brasile nel Gruppo G, una delle maggiori indiziate per la vittoria finale, che affronterà la talentuosa Serbia, a cui poi seguiranno le insidiose Svizzera e Camerun.
Mondiali 2022, Brasile: mai come quest’anno la sesta stella sembra realtà concreta
Forte di un girone di qualificazione da 14 vittorie e 3 pareggi, il Brasile si presenta in Qatar con pochi dubbi e molte certezze: su tutte, la longevità del lavoro di Tite, il primo a guidare la Seleção per due mondiali consecutivi. Altro motivo di ottimismo è l’eccellente momento di forma di Neymar, che a 30 anni sembra aver raggiunto la maturità giusta per guidare i suoi giovani compagni d’attacco, il reparto in cui Tite recentemente ha sperimentato di più.
L’ultima sconfitta risale alla finale di Copa América del 2021, rispetto alla quale rimarranno a casa Firmino, Everton “Cebolinha” e Gabigol, quest’ultimo rimpiazzato dall’ex-Fiorentina Pedro, suo compagno al Flamengo campione della Libertadores e unico nove classico in rosa; lui, l’altro compagno Everton Ribeiro e il terzo portiere Weverton (Palmeiras) sono gli unici rappresentanti del campionato nazionale.
Nelle ultime amichevoli il CT ha alternato il 4-3-3 a un intrigante 4-2-3-1 nel quale Neymar è stato provato sia da falso nove con Paquetá alle spalle, sia da trequartista, con l’ex-milanista arretrato a centrocampo e Richarlison ad allungare le difese come centravanti. In ogni caso le alternative davanti non mancano, con anche Vinicius Jr, Gabriel Jesus, Antony, Raphinha, Rodrygo, Martinelli – oltre ai due flamenguisti – a contendersi tre maglie. L’unico sicuro del posto è ovviamente o’Ney, che nelle qualificazioni ha dato spettacolo realizzando 8 gol e altrettanti assist in 10 partite.
In porta il titolare è Alisson, mentre per una volta il punto debole della rosa sembrerebbero i terzini: a sinistra – assente per infortunio il potenziale titolare Guilherme Arana – ci saranno Alex Telles e Alex Sandro, a destra Danilo e il 39enne Dani Alves, che dopo una breve parentesi messicana nei Pumas è tornato ad allenarsi a Barcellona con la squadra B, dove secondo il preparatore atletico della nazionale è rientrato nei parametri di forza e potenza che gli erano stati posti come requisito per la convocazione.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione della squadra Tite, motivandone la chiamata, ha colto l’occasione per sottolineare che, data la presenza di molti giocatori offensivi, la funzione principale dei terzini non sarà di spinta, ma di costruzione. Non è comunque da escludere che in alcuni casi a destra possa giocare Éder Militão, da terzino bloccato a fianco di Marquinhos e del capitano Thiago Silva, cui il tecnico difficilmente rinuncerà nonostante i 38 anni di età.
Nelle 42 partite giocate dopo i mondiali del 2018 il Brasile ha subito solo 17 gol – 5 nelle 17 partite di qualificazione: anche quando l’attacco faticava a ingranare, la solidità difensiva è stata un tratto caratteristico di questa nazionale, come nella Copa América vinta nel 2019 in cui subì gol soltanto su rigore da Paolo Guerrero, in finale.
A centrocampo, in caso di assetto a tre dovrebbero partire titolari Casemiro, Fred e Paquetà, anche se le grandi prestazioni di Bruno Guimarães col Newcastle potrebbero rimettere in discussione le gerarchie; in caso di mediana a due, soprattutto, è probabile che uno tra lui e Paquetà venga preferito a Fred, per favorire una circolazione più fluida del pallone.
Per non esporsi troppo alle transizioni avversarie, si è lavorato molto sui meccanismi di recupero immediato del pallone: in questo senso è fondamentale la prontezza e aggressività dei centrocampisti nel chiudere le opzioni di passaggio, costringendo gli avversari a giocare lungo.
Nell’ottimismo generale, desta qualche incertezza la mancanza di test contro le nazionali europee, l’ultimo dei quali risale all’amichevole di marzo 2019 contro la Repubblica Ceca. Nelle ultime quattro amichevoli, con le europee quasi sempre impegnate in Nations League, il Brasile ha affrontato e battuto Corea del Sud, Giappone, Ghana e Tunisia.
Tite ha da tempo annunciato che a fine torneo lascerà la nazionale. Dopo che Bolsonaro ne ha strumentalizzato la divisa rendendola un simbolo politico, chissà che un successo dell’amarelinha non contribuisca ad alleggerire le tensioni in un Paese spaccato a metà dalle recenti elezioni.
Mondiali 2022, Camerun: incanalare il talento
Chi parte indietro nel gruppo G è il Camerun, nazione che torna a disputare i Mondiali dopo l’assenza nel 2018. Considerarla una squadra cuscinetto però sarebbe sbagliato, perché le individualità a disposizione consentono quantomeno di poter partecipare al testa a testa con Serbia e Svizzera (immaginando un Brasile incontrastato).
A rilegarla all’ultima casella nella griglia di partenza è lo squilibrio nella concentrazione del talento tra le varie zone del campo, un ostacolo apparentemente troppo elevato da scavalcare. Perché se il parco attaccanti e il centrocampo dispongono di elementi validi, la difesa non può contare sullo stesso apporto qualitativo. Nonostante un portiere di livello come Onana, la coppia centrale composta da Nkoulou e Castelletto pare superata e ormai poco affidabile, così come i terzini Fai e Nouhou (il primo, decisamente più utile alla causa offensiva che a quella difensiva).
Salendo il campo la situazione è diversa. A partire da una solida linea mediana targata Serie A, formata da Zambo-Anguissa e Hongla, a cui eventualmente potrebbe aggiungersi una ex conoscenza del Genoa, Ntcham (attualmente allo Swansea). Per poi arrivare ad un reparto offensivo, come si diceva, densamente popolato. L’uomo più in forma è sicuramente Choupo-Moting, che nell’ultimo mese è uscito dalla criogenesi in cui era entrato dopo il gol all’Atalanta in semifinale di Champions League 2020. Dopo un anno trascorso da vice-Lewandoski, questa stagione sta viaggiando su medie che in Baviera non stanno facendo rimpiangere il polacco, avendo confezionato 11 gol e 3 assist fra ottobre e novembre. Ad accompagnarlo in attacco ci sarà un altro evergreen come Vincent Aboubakar, uno di quei centravanti che nella nostra mente sta appassendo in qualche posto lontano (Arabia in questo caso), ma che in realtà ha ancora trent’anni ed ha capitanato la nazionale alla Coppa d’Africa dello scorso gennaio. Sugli esterni agiranno principalmente Toko-Ekambi e la novità Mbeumo, esordiente a settembre dopo aver passato la trafila delle giovanili nella selezione francese.
La chiave starà dunque nel trovare un assetto tattico che non metta troppo in risalto i limiti strutturali della rosa, potendo garantire stabilità ed equilibrio. In Coppa d’Africa, il Camerun figurava tra le squadre con la maggiore percentuale di possesso palla e creava un considerevole volume di gioco offensivo. Per l’imminente torneo mondiale però l’idea di gioco dovrà inevitabilmente essere ricalibrata in funzione della forza degli avversari. Un compito che pare ostico per il selezionatore Rigobert Song, considerando soprattutto la sua inesperienza in panchina. Da giocatore si è guadagnato lo status di leggenda del calcio camerunense, per via della partecipazione a quattro Mondiali e del record di presenze con la maglia della nazionale. Ma da allenatore si trova alla sua prima vera esperienza, cominciata proprio a seguito della Coppa d’Africa, nel mese di marzo. Fin qui ha guidato la squadra in appena sei uscite ufficiali, tra cui le sfide di andata e ritorno contro l’Algeria che hanno permesso di strappare un biglietto per il Qatar (grazie ad un gol di Toko-Ekambi al 124’). Più che una guida tecnica, Song pare essere un uomo spogliatoio, aspetto ancora complicato da giudicare a priori visto il campione ristretto di prestazioni su cui basarsi. Certo, averlo visto in difficoltà nel pronunciare il nome dei suoi giocatori durante la conferenza stampa di presentazione non è affatto di buon auspicio.
Nella finestra più recente di raduni nazionali, il Camerun ha variato il suo schieramento tra il 3-4-3 (con Ebosse dell’Udinese come terzo centrale) e il 4-3-3. Tuttavia nella tornata mancavano Toko-Ekambi e Choupo-Moting, due pedine che difficilmente non saranno presenti nell’undici titolare. L’ipotesi più accreditata per la spedizione mondiale sembra dunque essere l’utilizzo del 4-4-2, lo stesso sfruttato nel doppio impegno con l’Algeria. Toko-Ekambi e Mbeumo abbassati sulla linea dei centrocampisti e la coppia composta da Aboubakar e Choupo-Moting davanti. Ammesso e non concesso che i due esterni si prestino a svolgere le mansioni difensive, questo modulo sembra massimizzare il potenziale offensivo camerunense e in maniera particolare poterli rendere pericolosi in fase di transizione. Sia Toko-Ekambi sia Mbeumo sono infatti degli specialisti nella risalita rapida del campo sulla riconquista del possesso e schierarli a piede invertito (il che sembra corrispondere alla volontà di Song) offre loro la possibilità di rientrare per cercare la combinazione con le due punte, oppure andare direttamente a cercare la conclusione. In più gli scenari di questo genere si prestano per sfruttare la qualità del lancio lungo di Onana, il quale potrebbe offrire un prezioso innesco delle manovre.
Insomma, le soluzioni per trovare la porta avversaria sembrano esserci, un’altra questione sarà poi finalizzarle. Perché se il momento magico di Choupo-Moting dovesse interrompersi, le altre frecce all’arco non sono mai stati dei killer sotto porta. Le possibilità di superare il girone da outsider passeranno inoltre dai risultati della ricerca di compattezza nella squadra. Tra cambio di allenatore, modifiche nel sistema e una difesa forse troppo fragile il rischio di andare fuori giri è elevato
Mondiali 2022, Serbia: talento, solidità, equilibrio
La Serbia arriva al Mondiale qatariota con alle spalle un brillante percorso in Nations League, culminato con la promozione in Lega A e una qualificazione alla rassegna iridata ottenuta prendendosi lo scalpo del Portogallo.
Dietro la rinascita della Nazionale c’è la decisione della Federazione di affidare la panchina all’ex leggenda del calcio serbo Dragan Stojkovic, tornato in patria dopo un lungo peregrinare in Oriente. Prima di lui sulla panchina serba sedeva Mladen Krstajic, reo di aver compromesso la qualificazione agli ultimi europei con la drammatica sconfitta per 5-0 in casa dell’Ucraina e di non aver mai instaurato un buon rapporto con le stelle della squadra (in primis Sergej Milinkovic-Savic).Il successore, Tombakovic, pur concludendo dignitosamente il girone qualificatorio, ha mancato l’approdo alla fase finale del torneo nel playoff contro la modesta Scozia. L’ennesima grande delusione (la Serbia non si qualifica agli Europei dal 2000 quando formava ancora uno Stato unico con il Montenegro) ha spinto la Federazione a puntare su Stojkovic, una figura carismatica, rassicurante e ben vista nel Paese che, difatti, non ha deluso le attese.
Proponendo sin dalle prime uscite un 3-4-1-2 fluido ed estremamente ambizioso, Stojkovic ha trovato la formula tattica ideale per far rendere al meglio tutti i giocatori più rappresentativi della selezione. La qualificazione al Mondiale è stata raggiunta con un percorso quasi immacolato, sporcato solo dal pareggio casalingo con il Portogallo e da quello meno atteso e potenzialmente fatale in casa dell’Irlanda. A 90 minuti dalla fine del girone la Serbia aveva gli stessi punti del Portogallo, ma a causa di una peggiore differenza reti aveva bisogno di una vittoria in casa dei lusitani per evitare il playoff. Nonostante la partenza shock con il gol in apertura di Renato Sanches, la Serbia ha dominato il match pareggiando con Tadic sul calare del primo tempo e completando la rimonta in pieno recupero con un’incornata di Aleksandar Mitrovic. L’attaccante del Fulham si è riappacificato con la Nazione un anno e due giorni dopo il rigore decisivo sbagliato nell’agonico playoff contro la Scozia.
Mitrovic che, nonostante la presenza di un acciaccato Vlahovic e di Luka Jovic, sarà l’attaccante principe della squadra. Al suo fianco agirà probabilmente l’attaccante della Juventus, ed entrambi saranno supportati dall’estro di Dusan Tadic, meno ispirato rispetto alle stagioni precedenti ma capitano e faro offensivo della squadra. A centrocampo, in un ruolo ibrido tra trequartista e centrocampista di contenimento, agirà Milinkovic-Savic, che ricoprirà compiti simili a quelli che in questa stagione gli ha affidato Maurizio Sarri: affiancare regista e difensori in prima costruzione e rifinire nell’ultimo terzo di campo. Al suo fianco si alterneranno equilibratori come Gudelj, Lukic o Maksimovic. Anche sulle fasce, con ogni probabilità, Stojkovic schiererà due giocatori che militano nel nostro campionato: a sinistra l’insostituibile Filip Kostic, uno dei migliori crossatori d’Europa e risorsa fondamentale per una squadra che riempie l’area con due centravanti puri; a destra Darko Lazovic, che parte favorito nel ballottaggio con l’esterno del Paok Zivkovic. In più, nonostante siano in primo luogo alternative a Tadic, Djuricic e soprattutto Radonjic potrebbero rappresentare delle soluzioni in caso di emergenza.
La difesa, meno attrezzata rispetto agli altri reparti, sarà diretta dall’esperto e spigoloso centrale del Getafe Mitrovic, coadiuvato a sinistra dall’interessante Pavlovic e a destra dal leader in pectore Nikola Milenkovic. Il tutto coordinato da Vanja Milinkovic-Savic, a volte leggero tra i pali ma imprescindibile per l’abilità con i piedi in fase di prima costruzione.
In un girone sinistramente simile a quello che vide la Serbia abbandonare la competizione al primo turno nel 2018, la Nazionale di Stojkovic ha l’obbligo di migliorarsi e conquistare l’accesso alla fase ad eliminazione diretta che manca dal lontano 1998.
Il Brasile sembra indirizzato verso un comodo primo posto, mentre Serbia e Svizzera dovranno limitare i danni per poi giocarsi il passaggio del turno nello scontro diretto dell’ultima giornata. La Svizzera è una squadra quadrata con un talento medio quasi imparagonabile a quello della Serbia, ma in un dentro o fuori ad alta tensione è una squadra che tutti vorrebbero evitare.
Il talento di cui dispone l’ex calciatore, tra le tante, della Stella Rossa è variegato, ben distribuito ed inserito in un contesto tattico solido e già testato contro Nazionali di alto livello. Come per tutte le selezioni ambiziose a determinare le sorti della squadra saranno le prestazioni dei giocatori più rappresentativi, che arrivano a questo Mondiale con stati di forma differenti ma con la motivazione in più di avere tutte le carte in regola per fare, finalmente, qualcosa di grande.
Mondiali 2022, Svizzera:
La Svizzera giunge al Mondiale senza sapere esattamente a quale altezza dover piazzare l’asticella delle proprie aspettative. Perché è vero, è reduce dal quarto di finale a Euro 2020, raggiunto dopo aver eliminato i campioni del mondo della Francia in una partita epica, che ormai è parte indissolubile del patrimonio culturale elvetico. Ma l’allenatore che l’ha condotta al miglior risultato sportivo della sua storia, Vladimir Petkovic, non siede più sulla panchina. Il suo posto ora lo occupa Murat Yakin, che insieme a lui ha portato cambiamenti sul piano tattico e nelle gerarchie all’interno del roster.
Dal 3-4-1-2 si è passati al 4-2-3-1, inserendo un elemento di quantità in più in mezzo al campo, in un sistema che continua a mettere in primo piano la compattezza durante la fase di non possesso. Se nel reparto arretrato è rimasta pressoché invariata, con Widmer andato ad abbassarsi accanto al terzetto Rodriguez-Akanji-Elvedi, dalla cintola in su la formazione indossa nuove vesti. Seferovic non è più il punto focale e pivot della manovra offensiva; comunque presente fra i convocati, ma largamente deresponsabilizzato rispetto al passato. Del tutto assenti, invece, Gavranovic e Zuber, due interruttori fondamentali nell’impianto dell’ultima spedizione internazionale.
Onori e oneri si suddividono dunque fra chi è già da tempo nel giro (alcuni più, altri meno), ed ora è chiamato al passaggio da semplice comprimario a volto di spicco. Tra questi figura il nome di Djibril Sow, al quarto anno da titolare in un Francoforte sempre più in crescita, attualmente presenza fissa anche nell’undici della nazionale, sistemandosi davanti (o al fianco) della coppia già collaudata composta da Xhaka e Freuler. Forse il ruolo che Yakin gli affida più spesso, il trequartista, non è quello che incarna maggiormente il suo ambito di competenza, ma averlo in quella posizione conferisce solidità al centrocampo, oltre ad offrire una soluzione in più quando le azioni si sviluppano lateralmente, grazie alla sua capacità d’inserimento.
Sugli esterni, le pinne che devono emergere sono quelle di Noah Okafor e di Ruben Vargas. Il primo è quello indicato per essere il vero talento generazionale sulle latitudini svizzere. Classe 2000, al Salisburgo sta dimostrando di poter abbinare tecnica e rapidità nei movimenti nei duelli con gli avversari, il che lo rende difficile da trattenere nell’uno contro uno (come ha imparato Kalulu a sue spese in Champions League). Potenzialmente, l’unico elemento realmente fuori scala nella dimensione rossocrociata. Per Ruben Vargas invece il discorso da fare è leggermente diverso; di anni lui ne ha 24, e le sue qualità sono già cosa consolidata. La sensazione è che possa salire ancora di qualche livello, tuttavia non ha mai toccato picchi sufficientemente alti da incidere in maniera considerevole con le sue giocate né nell’Augsburg, né in nazionale. Resta difficile dunque immaginarlo assoluto protagonista della scena in Qatar, ma è lecito pensare che debba spartirsi una buona fetta di responsabilità insieme ai compagni in prima linea.
Il terminale offensivo della squadra è Breel Embolo. Su di lui le attenzioni si sono concentrate a partire dall’Europeo del 2016, quando aveva appena 19 anni ma già un coro a lui dedicato dai tifosi svizzeri. Come si diceva però, mentre prima ci si poteva accontentare di sporadici guizzi risolutivi, con il calo di Seferovic sarà lui che dovrà dare l’apporto più consistente in fase di rifinitura. Un altro grosso punto interrogativo dunque, perché la costanza non l’ha mai accompagnato nel suo percorso sportivo, quantomeno per il momento. Le premesse sembrano però essere propizie: 5 reti e 2 assist nelle ultime 7 partite di Ligue 1 con il Monaco.
Perciò, nonostante il brillante, ahinoi, cammino durante la fase di qualificazione, per via di queste metamorfosi traversanti alcuni giocatori nell’inizio del nuovo corso targato Yakin, la Svizzera non pareva porsi ambiziosi obiettivi per la spedizione qatariota. Tuttavia, a seguito dell’ultima tornata in Nations League, con il successo esterno sulla Spagna e quello casalingo sulla Repubblica Ceca, è tornata a tirare aria di grande entusiasmo. Lo scontro con il Camerun, e soprattutto quello con la Serbia sono alla portata (forse più nella testa dei rossocrociati che sulla carta), e il sogno è di ripetere quanto compiuto allo scorso Europeo.
La trasformazione nell’assetto tattico, gli scambi di ruolo e la redistribuzione delle mansioni non possono comunque nascondere sotto al tappeto quello che, anche se un po’ impolverato, rimane il fattore che più sposta gli equilibri fra quelli a disposizione. La Svizzera non può infatti prescindere dalle fiammate di Xherdan Shaqiri, da cui tanto dipenderà il destino della nazionale rossocrociata. Malgrado adesso giochi a Chicago, colui che è stato il leader tecnico della nazionale nelle ultime cinque campagne internazionali, lo sarà anche a Qatar 2022. Terminata la MLS, oltre un mese fa, Shaqiri è rientrato in Svizzera e si è allenato con la squadra del Lugano, in modo da non perdere la forma in vista dell’appuntamento mondiale. La motivazione pare esserci, la qualità sicuramente non è scomparsa; impiegato come esterno, trequartista o a supporto della punta, sarà l’unico (insieme forse al già citato ma giovane Okafor) ad avere nei piedi le giocate per accendere la luce nei momenti di buio.
Postilla finale dedicata ad un pallino di chi scrive, ovvero a Ardon Jashari, mediano del 2002 e capitano del Lucerna (attualmente sesto nel campionato svizzero). Appena alla sua seconda convocazione, probabilmente non sarà questa la competizione in cui spiccherà, ma di centrocampisti con una tale finezza nella comprensione del gioco e nella gestione del pallone non se ne sono visti negli ultimi decenni di calcio svizzero.