Alla nascita della UEFA Europa Conference League uno degli obiettivi dichiarati era quello di dare spazio e visibilità a federazioni calcistiche minori. Per questo qualcuno ha storto il naso quando nella scorsa finale di Tirana si sono affrontate Roma e Feyenoord. Due storiche squadre europee appartenenti a nazioni in cui il calcio si è affermato ad alti livelli sin dal principio. Vedendo le compagini qualificate a questa nuova edizione però, è difficile affermare che l’obiettivo non sia stato raggiunto. Tre nazioni saranno rappresentate per la prima volta: Liechtenstein, Lituania e Kosovo.
Il Vaduz ha sede nella capitale del Liechtenstein, ma gioca in seconda serie svizzera. Con un clamoroso upset ha eliminato il Rapid Vienna ai preliminari. Lo Zalgiris Vilnius aggiunge alla rosa dei paesi partecipanti l’ultima delle Repubbliche Baltiche ancora mancanti: la Lituania. Per Estonia e Lettonia ci avevano già pensato Flora Tallinn e Ventspils.
Il caso più interessante è però quello del Ballkani, squadra di Suhareka, in Kosovo. La federazione Kosovara è la più giovane per fondazione e affiliazione alla UEFA, quest’ultima avvenuta nel 2016. La sera della qualificazione, su Koha.net, il sito internet del principale quotidiano kosovaro, il calcio svettava per importanza anche sulle notizie di tensioni con la Serbia, purtroppo di nuovo all’ordine del giorno. Il Ballkani ora dovrà farsi strada nel Gruppo G con Cluj, Sivasspor e soprattutto Slavia Praga.
Strappare una qualificazione al turno successivo è quasi impossibile, ma ciò non scalfisce l’impresa né il valore significativo che questa ha per l’intero paese. Del resto il calcio in Kosovo, soprattutto negli ultimi 30 anni, è stato simbolo di controversie, ma anche di rivolta e di speranza. Grazie al Ballkani c’è modo di raccontare la sua storia a tutta l’Europa.
La scheggia impazzita di Jugoslavia
Gli inizi del Ballkani, la cui denominazione era inizialmente Rinia (“gioventù” in albanese) hanno origine nel 1947. Più o meno in quegli anni si forma anche la Federazione di calcio Kosovara con la sua lega calcistica, la Kosovo Province League, una delle leghe regionali del sistema federale jugoslavo. Il territorio kosovaro infatti, a lungo sotto il dominio dell’Impero Ottomano, dopo la caduta di quest’ultimo nel primo novecento viene annesso al Regno di Serbia. In seguito alla Seconda Guerra Mondiale Tito riconosce alla regione una parziale autonomia all’interno della Jugoslavia.
Il Ballkani, che nel frattempo ha preso il suo attuale nome dall’industria di gomma Ballkan che ne aveva rilevato la proprietà, raggiunge la prima serie kosovara nel 1973. Successivamente ci torna nel 1977, per rimanerci stabilmente fino agli anni ’90. Nello stesso periodo altre squadre kosovare hanno avuto successo maggiore, come il Vellaznimi e soprattutto la rappresentativa della capitale, il Pristina. Negli anni 80 i biancoblu, mai retrocessi in patria, vivono il loro miglior momento. Nel 1983 raggiungono persino una storica qualificazione al maggiore campionato federale jugoslavo.
Di quella generazione d’oro si ricordano gli attaccanti, Fadil Vokrri e Zoran Batrovic (di nazionalità montenegrina). Il centrocampista Kujtim Shala. Gli esterni d’attacco Fadil Muriqi e Agim Cana. Muriqi è ricordato curiosamente come il Maradona kosovaro, a causa del suo stile di gioco fantasioso, le movenze nel dribbling e soprattutto la chioma scura e riccia tanto simile a quella del fuoriclasse argentino. Agim Cana è invece il padre di Lorik, ex-centrocampista della Lazio e capitano della nazionale albanese, tra l’altro ambasciatore dell’ultima Conference League.
Tornando al Ballkani, pur producendo buoni talenti a livello giovanile la squadra non raccoglie particolari successi, vivacchiando con tranquillità nel primo campionato kosovaro. Del resto si tratta di un club di piccole dimensioni, appartenente a una comunità di circa 10.000 abitanti nel centro-sud della regione.
Il calcio per (r)esistere
Sul finire degli anni ’80 le rivendicazioni nazionaliste, mai del tutto sopite, cominciano a montare pericolosamente. Il Kosovo, situato tra Serbia e Albania, è di maggioranza etnica albanese e mal sopporta lo status di provincia autonoma serba. L’ascesa di Slobodan Milosevic, che si oppone alla parziale autonomia kosovara, contribuisce ad inasprire le tensioni. Nel 1990 si ha un forte botta e risposta politico, con l’Assemblea del Kosovo che dichiara la propria indipendenza scatenando la reazione serba. L’Assemblea viene sciolta e la provincia sottoposta al controllo serbo con effetto immediato.
Anche sul lato calcistico le cose cambiano improvvisamente. Il campionato kosovaro si interrompe. La Serbia annette alla Federazione soltanto le società che si dichiarano serbe, non riconoscendo la controparte albanese. Tanti calciatori vedono le loro carriere danneggiate. Vokkri, centravanti nel pieno della carriera smette improvvisamente di essere convocato in nazionale. Nel 1991 il campionato prende nuovamente vita, pur senza riconoscimento esterno, con il nome di Lega Indipendente del Kosovo.
Il torneo si gioca su campi irregolari e arrangiati per l’occasione, poiché i vecchi stadi sono accessibili soltanto alle squadre riconosciute dalla Serbia. Ogni partita è a rischio sospensione. La polizia organizza retate contro calciatori e soprattutto dirigenti. In molti sono costretti ad abbandonare le proprie ambizioni di calcio professionistico soltanto perché si sentono albanesi. Oltre a Vokrri, uno dei principali artefici della competizione è Erol Salihu, attuale segretario della Federazione Kosovara. Prima di trasferirsi in Svizzera Salihu, che era un calciatore di ottimo livello, rinuncia infatti al tesseramento nella sezione del Pristina riconosciuta dal governo serbo. Il calcio è il più potente e immediato dei modi per mantenere viva la propria identità, anche i protagonisti sul campo lo sanno bene.
Della lega fa parte anche il Ballkani, la cui appartenenza al lato albanese della regione per motivici etnici e geografici è chiara. Dal punto di vista sportivo però le cose non migliorano, e sono ancora una volta altre le squadre a farsi largo. Mentre il Pristina continua il suo dominio, il Trepça si batte per dargli filo da torcere. Si tratta di un club originario di Kosovska Mitrovica, la parte kosovara della città. Mitrovica è infatti tagliata a metà dal fiume Ibar. La parte nord appartiene alla regione serba del paese, riconosciuta dalla Serbia, ma non dal Kosovo.
Nel 1997 il campionato è sospeso senza un vincitore in seguito allo scoppio della guerra e per due stagioni non ha luogo. Nel 1999 riprende, questa volta con la denominazione ufficiale di Football Superleague of Kosovo, quando il paese si trova sotto la protezione delle Nazioni Unite.
Nascita di una Nazionale
Da qui ha inizio una corsa all’indipendenza nazionale che il Kosovo dichiara unilateralmente nel 2007. Nel 2008 fa lo stesso la sua federazione calcistica, l’FFK. La FIFA rinvia però al mittente la richiesta di riconoscimento, impedendo effettivamente alla nazionale kosovara di prendere parte a qualsiasi partita. Nel 2012 la decisione viene cambiata, salvo poi subire nuova revoca a seguito delle proteste serbe.
La posizione del Kosovo è infatti complicata, in quanto non tutti gli stati ne riconoscono l’indipendenza nazionale non soltanto in Europa. In suo favore il Kosovo ha però l’appoggio di numerosi calciatori di profilo internazionale di origine kosovara. Tra questi un contingente della nazionale svizzera guidato da Shaqiri e Xhaka. Nel 2013 il Kosovo ha il permesso di partecipare alle competizioni calcistiche minori, ad esempio quelle di livello giovanile o di calcio femminile. Nel 2014 arriva il permesso di giocare partite amichevoli.
Due anni dopo la UEFA decide di annettere la federazione kosovara a tutti gli effetti, e lo stesso fa la FIFA. Da questo punto in poi la nazionale ha la possibilità di partecipare alle competizioni ufficiali e i club possono prendere parte ai normali turni di qualificazione per le coppe europee. Per una nazione e conseguentemente una rappresentativa così giovane la crescita è stata piuttosto vertiginosa. Il Kosovo si trova infatti alla posizione 106 del ranking FIFA e ha sfiorato la qualificazione al mondiale del 2018.
Le plausibili spiegazioni sono due, non esclusive tra di loro. La prima è che la cultura calcistica della nazione precede di gran lunga la sua fama e la sua nascita pratica. Per di più i Balcani sono da sempre una regione capace di produrre grandi talenti al di là delle possibilità economiche di club e federazioni. La seconda è che il Kosovo ha potuto giovare della diaspora causata dalle tensioni sfociate nel conflitto armato. In tanti, cresciuti in nazioni calcisticamente meglio sviluppate, quando ne hanno avuto la possibilità hanno scelto di giocare per il Kosovo.
Si pensi a Samir Ujkani che ha ritenuto giusto onorare la memoria degli zii uccisi durante la guerra. A Milot Rashica e Amir Rrahmani, capitano della selezione, entrambi con passaporto albanese. A Valon Berisha, che poteva scegliere addirittura tra Svezia e Norvegia. Oppure a Edon Zhegrova, esterno del Lille nato e cresciuto in Germania che ha preferito il paese d’origine dei suoi genitori al sogno (complicato, per carità) teutonico. Stessa sorte del torinese Vojvoda, che però già dall’under 21 aveva optato per l’Albania, scegliendo poi il Kosovo.
Per un gruppo così internazionale la scelta dell’allenatore, arrivato in questo anno solare, è caduta su Alain Giresse. Storico ex-calciatore del Bordeaux e giramondo della nazionali (soprattutto in Africa). Una menzione la merita però il tecnico che ha guidato la transizione del calcio kosovaro per circa 10 anni, Albert Bunjaki. Nato Bunjaku, negli anni 90 il CT e allora calciatore del Pristina ricevette la chiamata di leva dell’esercito serbo, che però rifiutò. Fuggito in Svezia quindi cambiò il proprio cognome.
La crescita del calcio kosovaro si è però scontrata anche con molta difficoltà. In primis ovviamente quella legata alla questione passaporti. Non tutti i calciatori teoricamente eleggibili infatti hanno poi avuto la possibilità di giocare con la nazionale, o hanno scelto di non farlo. C’è poi la questione del riconoscimento da parte delle altre nazioni. Un mini-caso è scoppiato circa un anno e mezzo fa quando nella sfida contro la Spagna la televisione nazionale iberica ha lasciato la scritta “kosovo” interamente in minuscolo e i commentatori si sono rifiutati di parlarne come di uno Stato effettivo.
L’ascesa del Ballkani
La storia del Ballkani ai massimi livelli del calcio kosovaro ha un’impronta persino più recente, ed è strettamente legata alla presidenza di Arshim Kabashi. Si tratta di un giovane imprenditore proprietario di una società di costruzioni, la CIMA Construction. Nel 2017/2018 il Ballkani ha raggiunto la massima serie. Nell’annata 2021/2022 è diventato campione sotto la guida tecnica di Ilir Daja. Il tecnico albanese, arrivato a gennaio 2022, ha messo a disposizione l’esperienza guadagnata nel campionato di casa. Con lui il Ballkani ha cambiato marcia, mantenendo una media di 2,38 punti in 29 partite.
Il sogno europeo del Ballkani ha avuto inizio a giugno nel primo turno dei preliminari di Champions League contro lo Zalgiris. Un avversario con cui ha successivamente condiviso lo storico destino. In seguito all’eliminazione i kosovari hanno trovato di fronte a sé un cammino sorprendentemente abbordabile. Prima La Fiorita, squadra di San Marino, e poi il Kì delle Isole Far Oer. L’ultimo turno con i macedoni dello Shkupi è stato particolarmente tirato, ma il Ballkani l’ha spuntata con un 3-1 tra andata e ritorno.
L’eroe del doppio scontro è senza dubbio Meriton Korenica, trequartista classe 1996. Il suo potentissimo destro da fuori area che ha annichilito gli avversari nella partita d’andata è una delle più belle reti di quest’estate calcistica. Come se non bastasse poi Korenica ha lasciato la sua firma anche nella gara di ritorno. Insieme a lui il centravanti Albion Rrahmani, che si è diplomato miglior marcatore dei preliminari di Conference League sfiorando addirittura la doppia cifra. Il capitano Edvin Kuc, con esperienze in Repubblica Ceca e Montenegro. Infine il giovane Ermal Krasniqi, anche lui mattatore a livello statistico (2 gol e 3 assist) durante la cavalcata.
Suhareka negli anni della guerra è stata teatro di uno dei più significativi massacri (48 persone, 14 minorenni persero la vita) da parte della polizia serba. Non si può dire lo stesso della storica gara d’esordio contro il Cluj. Troppo piccolo il suo stadio, soltanto 1500 posti, e quindi non a norma per una competizione UEFA. Lo stadio designato è stato quello di Pristina, in cui si giocano anche le partite della nazionale. Simbolicamente, un modo per rappresentare l’intera nazione agli occhi dell’Europa. Per i propri tifosi la società ha comunque predisposto 10 autobus e 1000 biglietti gratis per la frangia più calorosa dei sostenitori. Anche i restanti posti sono stati assegnati a prezzi economici, dai 5 ai 15 euro per i settori popolari. Un modo per stringersi, in un momento così importante, attorno alla propria gente. Per non dimenticare mai da dove si viene.