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Quando riapre gli occhi, sente un leggero fischio alle orecchie. Una luce lampeggia di fronte a lui, una voce metallica sta dettando qualche ordine da seguire. In tono gentile, ma deciso. I viaggi in aereo gli causano sempre qualche acciacco al collo, lentamente si massaggia la porzione di corpo sotto l’orecchio, intanto focalizza con gli occhi ancora semichiusi quella luce che continua a lampeggiargli di fronte. Finalmente capisce, prende il lembo alla sua destra e lo unisce con quello alla sua sinistra. Un clic metallico, la cintura si chiude. Gira la testa ancora dolorante verso il finestrino, vede il terreno che via via si fa sempre più vicino. L’aereo poi con un piccolo sobbalzo tocca terra. Qualche timido applauso, sempre imbarazzante, e inizia la lunga trafila per uscire dall’aeroporto. In maniera estremamente meccanica l’uomo recupera la sua valigia, poi si dirige all’uscita dell’aeroporto. Sono 10 anni ormai che non torna a Londra, da quando è andato in pensione.

E così, come ormai ben noto, dal prossimo luglio Lorenzo Insigne diventerà un nuovo giocatore del Toronto FC, dividendo la sua strada da quella del Napoli, e di Napoli, dopo aver praticamente trascorso un’intera vita insieme. Un destino ormai da tempo nell’aria, ma che proprio per il suo ripresentarsi di continuo senza mai avverarsi sembrava non dover giungere mai.

Da alcuni anni il vero significato delle coppe nazionali sembra essersi diluito in una mera perdita di tempo settimanale. In cinquant’anni tali competizioni hanno visto mutare la propria importanza da titolo chiave, che valorizzava il predominio in un certo paese, a torneo per “scappati di casa” destinato a dar minutaggio alle riserve dalle sporadiche possibilità di diventare titolari. Tale preoccupazione, che non ingloba un’Inghilterra da sempre attenta a mantenere lo status della FA Cup, investe in particolare Francia, Spagna e Italia. Ma mentre la Coppa Italia fa tanta fatica a cambiar pelle, i vicini sembrano aver trovato la chiave di volta per ridare interesse nazionale a due prodotti come Coupe de France e Copa del Rey. Il tutto tramite formule organizzative semplici che hanno riavvicinato i tifosi ad un calcio forse più genuino e sicuramente più accattivante.

Il calcio, si sa, è fatto di cicli più o meno lunghi. L’abilità di ogni squadra nel mantenersi ad alto livello sta nell’interpretare e possibilmente anticipare la fine di questi cicli, per rinnovarsi continuamente. Un processo del genere va attuato nella maniera meno traumatica possibile, solitamente. Ciò che è accaduto negli ultimi 18 mesi al Barcellona va evidentemente nella direzione opposta: uno shock continuo, una serie di colpi di scena e cliffhanger da serie tv, che spesso hanno esposto la squadra blaugrana al pubblico ludibrio e a una critica spietata. Ma c’è anche un’altra faccia del Barça: una squadra che dal punto di vista puramente tecnico sta affrontando con lo spirito giusto questa rivoluzione, rinnovando la squadra in maniera radicale. La direzione tecnica dei blaugrana non sta avendo paura di fare delle scelte, al limite tra il coraggio e l’incoscienza, che saranno decisive per il futuro della società catalana. Ma andiamo con ordine.

Sofia Cantore è una delle giovani più interessanti del panorama calcistico italiano. Questa sentenza che non lascia spazio a interpretazioni o discussioni è largamente confermata dalla sua straripante stagione in neroverde fin qui fatta di gol, assist e un intelligenza tattica nel suo ruolo decisamente ammirevole per la giovane età. Il suo curriculum recita un’esperienza in bianconero all’età di 17 anni, l’anno del primo scudetto della neonata Juventus, un anno a Verona e uno a San Gimignano. Tuttavia, pur essendo il suo cartellino di proprietà bianconera, il salto di qualità avuto negli anni del prestito che trova una consacrazione nella stagione fin qui al Sassuolo, ci mettono nella condizione di pensare che quando arriverà il momento di un definitivo cambio generazionale, Sofia sarà pronta.

Natale è alle porte e in tutto il mondo impazzano gli ultimi preparativi. Tantissime persone corrono per le vie illuminate e decorate a festa, alla ricerca dei regali mancanti da porre sotto l’albero. Le famiglie si riuniscono in cucina, preparano il cibo che di lì a poche ore abbonderà sulla tavola. Altre si mettono in macchina, in viaggio per raggiungere i parenti e condividere un po’ di quella magica atmosfera. Immagini del genere si moltiplicano in tutto il mondo e si susseguono di anno in anno. Immancabili. La Vigilia di Natale è pregna di quel sentimento di attesa, di sospirata trepidazione. Eppure c’è anche chi riesce ad arricchire ulteriormente quell’attesa. Prendiamo il caso di una donna con un bel pancione, con una creaturina in grembo che ha scelto proprio quei giorni di festa per affacciarsi al mondo. Che non vuole perdersi il primo Natale della sua vita e allora scalpita per anticiparlo, per nascere prima della mezzanotte del 24 dicembre. È il caso della famiglia Salas, di mamma Alicia che il 24 dicembre 1974 dà alla luce il figlio Marcelo.

“L’amore non è bello se non è litigarello, soprattutto tra le mura di Milanello”. Se qualche mese fa avessimo parlato di quella che sembrava essere un’ordinaria scaramuccia da spogliatoio in casa Milan Women, avremmo chiuso così, in maniera del tutto sarcastica, certi dell’inconsistenza della notizia. Dopo qualche settimana, parlare di ciò che è successo richiede l’utilizzo del condizionale vista l’assenza di comunicazione da parte del club, ma ci ricollega necessariamente ad altri problemi di natura strutturale che sono emersi nel corso di questa prima parte di campionato. Problemi che, dato lo sviluppo della vicenda, potrebbero presto portare all’addio di due giocatrici chiave per l’undici rossonero: il capitano Valentina Giacinti e la centrocampista spagnola Veronica Boquete.

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