Per molti anni l’Asia ha rappresentato una sorta di movimento minore del mondo del calcio, lontana dalla disciplina tattica degli europei, dal talento dei sudamericani e dalla fisicità degli africani. Una delle prime nazioni asiatiche a riuscire a emanciparsi da questo ruolo minoritario, seppur in maniera controversa, è stata la Corea del Sud. Con essa, il primo grande calciatore a portare l’Asia ai vertici del calcio mondiale è stato Park Ji-Sung.
La ribalta del calcio asiatico arriva nel 2002. Giappone e Corea del Sud si prendono l’onere e l’onore di ospitare i mondiali, i primi della storia in quel continente. L’attesa è tutta per il Giappone, unica squadra asiatica fino a quel momento ad aver mai raggiunto la fase finale in un campionato del mondo, insieme all’Arabia Saudita. La scena però finisce per prendersela interamente la Corea del Sud. Nel bene e nel male. La selezione guidata da un grande stratega della panchina come Guus Hiddink riesce addirittura ad arrivare in semifinale, un risultato eccezionale, ottenuto però con le a dir poco controverse vittorie contro Italia e Spagna. Tra luci e ombre, il risultato ottenuto dalla Corea del Sud è comunque storico e dà tutta un’altra risonanza al calcio asiatico.
In quella squadra figurava un giovane talento di appena 21 anni, che sarebbe diventato un vero e proprio mito per il calcio asiatico. Stiamo parlando di Park-Ji Sung, che proprio nell’estate 2002 si affaccia al grande calcio, protagonista di quella cavalcata mondiale e nuovo acquisto del PSV. Zaino in spalla, la meta di oggi è proprio la Corea del Sud, alla scoperta della sua storia e delle sue tradizioni tramite la carriera del primo grande calciatore che dall’Asia è riuscito a conquistare anche l’Europa.
Giappone e Corea
Nato nel 1981 a Suwon, Park Ji-Sung muove però i primi passi nel mondo del calcio in Giappone, giocando con la maglia del Kyoto Purple Saga dal 2000 al 2002. Durante questi anni, il giovane coreano si afferma come una delle stelle più luminose del calcio asiatico e contribuisce al periodo d’oro del club, che conquista la promozione nella massima serie giapponese e soprattutto vince la Coppa dell’Imperatore, il più antico trofeo calcistico giapponese. Il successo arriva nel 2002, con il Kyoto Purple Saga che supera in finale il Kashima Antlers col risultato di 2-1 e mette in bacheca il primo trofeo della sua storia.
L’esperienza in Giappone fa da trampolino di lancio per Park, che nell’estate 2002 si mette in mostra nei mondiali in casa e passa al PSV, iniziando la sua lunga e fortunata avventura nel calcio europeo. Tutto ha inizio dal Giappone però, come un po’ per la Corea, la cui storia è legata a filo stretto con quella nipponica e soprattutto la sua struttura moderna trae proprio origine dal Giappone.
La storia della Corea del Sud come la conosciamo oggi ha inizio nel secondo dopoguerra, con la formazione dei due stati nella penisola coreana dopo lo smembramento dell’impero giapponese. La Corea come stato unitario ha però una storia lunga, che ha origine, almeno secondo la leggenda, nel 2333 a.C., con la nascita del suo primo re, il mitico Tan’gun, nato dall’unione tra un dio e un’orsa trasformata in donna. Da quell’origine bizzarra, la Corea ha avuto poi una storia molto lunga e in diversi momenti ha dovuto fare i conti con invasioni straniere. Spesso e volentieri giapponesi.
Il primo tentativo dei nipponici di invadere la penisola coreana risale al 1592, quando il generale Toyotomi Hidetoshi occupa alcuni territori del vicino stato, ma l’invasione si risolve con un nulla di fatto, terminando nel 1598. Il Giappone torna dunque alla carica all’inizio del XX secolo, con la Corea che nel 1905 diventa un protettorato nipponico e nel 1910 viene annessa all’Impero giapponese. La libertà si riaffaccia nella penisola coreana solo dopo le due guerre mondiale, col Giappone piegato dalle atomiche americane nel 1945 e la Corea che torna indipendente, ma finirà immediatamente nel vortice delle nuove logiche da guerra fredda, con la divisione che apre una nuova turbolenta fase della storia della penisola coreana.
Un’impresa controversa
L’anno zero della storia calcistica della Corea del Sud è senza dubbio il 2002. Lo è in generale per tutto il movimento asiatico. In quell’estate il continente del sol levante ospita per la prima volta un’edizione del Mondiale e gli occhi del mondo si rivolgono verso quell’angolo di globo che era sempre rimasto ai margini dei radar del pallone. La Corea del Sud organizza il Mondiale insieme al Giappone, a sottolineare ancora una volta il legame tra le due nazioni. Sulla selezione nipponica, dopo gli ottavi di finale di quattro anni prima, ci sono discrete aspettative. Quella coreana rappresenta invece una bella favoletta, profondamente innocua.
La realtà si dimostra ben diversa. Il Giappone si ferma ancora una volta agli ottavi di finale, cadendo contro la sorprendente Turchia, che chiude quel mondiale al terzo posto. La Corea del Sud invece arriva fino in semifinale, giocandosi poi con i turchi proprio il gradino più basso del podio. La selezione coreana era composta da una serie di giocatori semi sconosciuti, al fianco di qualche umile mestierante con magari esperienza in Europa, e in panchina un leader importante come Guus Hiddink. Il primo posto al girone è già di per sé un’impresa, con la Corea che batte la Polonia all’esordio, pareggia con gli USA e poi all’ultima giornata batte 1-0 il ben più quotato Portogallo, con la rete decisiva proprio della stellina Park-Ji Sung.
Da qui, subentrano le ombre di questo mondiale. Sappiamo bene come sono andati gli ottavi di finale di quel mondiale, con la Corea che supera l’Italia in maniera molto controversa, grazie al golden gol dell’allora perugino Ahn Jung-Hwan, dopo il vantaggio di Vieri e il pareggio coreano all’88’. A dominare la scena è però l’arbitro Byron Moreno, passato alla storia per una delle prestazioni peggiori della storia del calcio, tra rossi non dati ai padroni di casa, quello invece sventolato in maniera incredibile a Totti per la presunta simulazione e un gol praticamente fatto annullato a Tommasi per un fuorigioco inesistente.
La storia si ripete in maniera ancora più incredibile ai quarti, dove la Corea del Sud supera la Spagna ai rigori dopo che, nei 120 minuti di gioco, le Furie Rosse si sono viste annullare due gol palesemente regolari. La corsa controversa della squadra di Hiddink termina in semifinale, con la sconfitta contro la Germania per 1-0. Poi il ko anche con la Turchia e il quarto posto finale, che rappresenta comunque il migliore risultato di una squadra asiatica in un Mondiale. E per distacco.
La carriera internazionale di Park si arricchisce poi della partecipazione ad altri due mondiali. Nel 2006 la Corea viene eliminata ai gironi, ma l’esterno segna contro un avversario di prestigio come la Francia. Nel 2010 invece i coreani arrivano addirittura agli ottavi, dove vengono eliminati dall’Uruguay. La storia tra Park e la sua nazionale finisce nel gennaio 2011, quando la Corea perde in semifinale di Coppa d’Asia contro il Giappone ai rigori. Ciò che lo stato nipponico gli ha dato in gioventù, se lo riprende con gli interessi a fine carriera. Della prestigiosa carriera internazionale rimane il grande rimpianto di non essere mai arrivato oltre a una semifinale in Coppa d’Asia con la sua Corea per Park.
Le due coree
Il match più famoso della storia internazionale della Corea è, con molta probabilità, quel 2-1 rifilato all’Italia. Un’impresa che ha riportato alla mente un altro risultato, e un’altra Corea. C’entrano sempre gli azzurri, che evidentemente non hanno un gran feeling con quella penisola asiatica. Nel 1966 infatti la Corea del nord era riuscita nell’impresa di battere l’Italia. Fu una sconfitta umiliante, una delle pagine più nere dello sport italiano. Gli azzurri guidati da Fabbri dovevano semplicemente battere i dilettanti della Corea del Nord, i “ridolini” come erano stati ironicamente ribattezzati. Si consuma il dramma, col dentista Pak Doo Ik che segna un gol leggendario, il primo di una squadra asiatica in un mondiale e che vale la prima vittoria dell’Asia nei campionati del mondo. Un’umiliazione pazzesca per gli azzurri.
La vittoria sull’Italia è ciò che lega nel calcio la Corea del Sud e la Corea del Nord, due stati che dal dopoguerra rappresentano due facce della stessa medaglia. La divisione della Corea nasce, come detto, dalla sconfitta del Giappone nel secondo conflitto mondiale, ma è espressione del clima da Guerra Fredda che di lì a poco sarebbe esploso. Nel 1945 infatti l’URSS dichiara guerra al Giappone e inizia a penetrare nei suoi territori, stanziandosi dunque in una parte della penisola coreana. Gli USA non vedono di buon grado quell’espansione e rispondono, muovendosi anche loro nella penisola. Nasce così dunque la divisone della Corea.
Lo stato si riorganizza in due distinte realtà, la Corea del Sud, occidentalista e filoamericana, e quella del Nord, appoggiata dai sovietici. Viene da sé che l’equilibrio in quella zona del mondo è molto precario e infatti nel 1950 scoppia la guerra di Corea, il primo grande conflitto della Guerra Fredda. Si tratta di uno scontro che in realtà mette di fronte USA e URSS, e che si conclude con un clamoroso nulla di fatto. Dopo tre anni, la guerra termina con un armistizio che ripristina i confini originali, ma la tensione non si allenta mai nonostante la cessazione del fuoco.
Per tutti gli anni ’60 si verificano piccoli scontri armati tra i due stati, che vivono anche in un rapporto di perenne competizione. Ad esempio, la costruzione della metropolitana nella capitale a sud, Seul, è diretta conseguenza di quella che è sorta a nord a Pyongyang. Le due coree si sviluppano con differenze molto profonde: la Corea del sud piano piano si occidentalizza , soprattutto dal 1987 in poi, anno delle prime elezioni libere e dell’avvento della democrazia. Quella del nord invece si configura come uno stato a partito unico, governato dalla dinastia Kim, e si chiude sempre di più al mondo esterno.
Col crollo del muro di Berlino e del blocco comunista, la tensione via via si allenta tra i due stati, soprattutto grazie all’opera verso la fine del secolo del presidente sudcoreano Kim Dae-Jung, che grazie alla sua politica del sole vince anche il Nobel per la pace. Questa politica di tolleranza e collaborazione viene però interrotta nel 2010 e la diffidenza tra i due paesi torna a crescere dopo anni di distensione. I rapporti restano precari, basta pensare che dopo l’armistizio del 1953 non c’è mai stato un accordo di pace ufficiale tra i due paesi. Come se la guerra di Corea non fosse mai definitivamente conclusa.
Il capodanno olandese di Park Ji-Sung
L’estate del 2002 segna dunque l’affermazione sulla scena mondiale della Corea del Sud, ma anche l’arrivo in Europa di Park. Il giovane asiatico viene prelevato dal PSV Eindhoven, dove ritrova proprio il suo tecnico in Nazionale: Guus Hiddink. La prima stagione nel vecchio continente è difficile per Park, che tra infortuni e ambientamento gioca poco, ma già dall’anno seguente inizia ad affermarsi, per poi esplodere nella stagione 2004-2005.
Il sudcoreano è tra i principali artefici della vittoria del campionato, segnando 7 reti. Park è protagonista anche della grande cavalcata in Champions, dove il PSV riesce ad arrivare fino in semifinale, prima di cadere contro il Milan per la regola dei gol in trasferta. Il cammino degli olandesi è pazzesco: dopo aver superato ai preliminari la Stella Rossa, la squadra di Hiddink passa il girone a pari punti con l’Arsenal, davanti a Panathinaikos e Rosenborg. Negli ottavi il PSV supera il Monaco, finalista l’anno prima, e poi il Lione, trionfando ai rigori dopo un doppio 1-1. La corsa si ferma in semifinale, dove gli olandesi prima cadono a San Siro 2-0, ma poi vincono 3-1 in casa, col gol che apre le danze proprio di Park. Purtroppo, però, non basta e il sogno europeo finisce qui.
L’avventura in Olanda rappresenta di fatto l’inizio della carriera di Park. Qui il coreano mette in mostra tutte le sue qualità e attira le mire delle grandi squadre. Il PSV è la porta d’accesso verso il Manchester United e la gloria assoluto. È l’inizio del suo mito. Possiamo paragonare il passaggio in Olanda di Park al Seollal, il capodanno che in Corea è la festività più importante di tutte. Il capodanno coreano segna l’inizio dell’anno lunare e si celebra in una data sempre diversa, dipendente dalle fasi lunari. In breve, cade nel giorno del secondo novilunio – quando la parte visibile della luna risulta completamente in ombra – dopo il solstizio d’inverno, ovvero il 21 dicembre.
È la festa più sentita in Corea, mette alle spalle l’anno appena concluso e ne accoglie uno nuovo. I festeggiamenti si prolungano per tre giorni, da quello antecedente al Seollal a quello successivo. È una festività molto familiare, segnata da riti ben precisi. Come i charye, ovvero le celebrazioni degli antenati, davanti alle cui foto o nomi si pone del cibo e del makgeolli, il tipico vino di riso coreano. Oppure il Sabae, rito secondo cui i figli ringraziano i genitori con un motto ben preciso – saehae bok manhi badeuseyo, che orientativamente significa “possiate ricevere molte benedizioni nel nuovo anno – e questi ringraziano porgendo ai loro piccoli del denaro o dei regali.
Il Capodanno coreano è l’appuntamento più atteso da tantissimi sudcoreani. In questi giorni ci si veste con un particolare tipo di abito, il Seolbim, un vestito da cerimonia (Hanbok) particolarmente colorato, e si mangia il Tetokguk, una zuppa a base di gnocchi di riso con manco, uova e verdure. Non mancano chiaramente i giochi di società per passare il tempo in famiglia, come lo Yutnori, il gioco da tavolo coreano più famoso, e il Go-Stop, che si pratica con le carte dei fiori giapponesi.
Welcome in England, Park Ji-Sung
Il PSV per Park-Ji Sung è il capodanno che apre una stagione a dir poco favolosa: quella del Manchester United. Il centrocampista passa in Premier League nell’estate del 2005 e qui diventa una leggenda del club e del calcio asiatico. Lo United del tempo è una squadra in fase di rinnovamento. Sir Alex Ferguson deve fare i conti con l’Arsenal di Wenger e il nascente Chelsea di Abramovich, ma vede un futuro luminoso con i golden boys Wayne Rooney e Cristiano Ronaldo.
Park si unisce dunque a una squadra che si appresta a vivere un’altra era magica e ne diventa un protagonista molto importante. Nella sua prima stagione a Old Trafford, il coreano gioca parecchio, ben 33 presenze, poi però i due anni seguenti sono più complessi, a causa di un infortunio al ginocchio che lo tiene fuori a lungo. È un protagonista secondario del campionato vinto nel 2007, mentre diventa un protagonista della Champions del 2008. Park gioca da titolare sia nei quarti di finale contro la Roma che nelle semifinali col Barcellona, servendo anche l’assist a Rooney nel 2-0 contro i giallorossi all’Olimpico. Poi, però, Ferguson lo lascia fuori dai convocati per la finalissima di Mosca, vinta contro il Chelsea ai rigori. Una decisione per cui il tecnico scozzese ancora non si da pace.
Lo United arriva in finale di Champions anche l’anno dopo, cadendo però stavolta a Roma contro il Barcellona di Guardiola. Park è titolare nella finale contro i blaugrana ed è protagonista assoluto nella semifinale di ritorno all’Emirates, segnando un gol nella vittoria per 3-1 dei Red Devils. Col passare degli anni, il minutaggio di Park diminuisce e nelle ultime tre stagioni in Premier gioca una media di 16 partite in campionato e 27 stagionali. Il sudcoreano lascia poi l’Inghilterra nel 2012, dopo sette stagioni con la maglia del Manchester United e tanti record infranti.
Park-Ji Sung vince nei suoi anni a Old Trafford quattro Premier League, tre coppe di lega, quattro Community Shield, una Champions League e un mondiale per club. È il primo asiatico a vincere la coppa dalle grandi orecchie e a indossare la fascia da capitano del Manchester United. Andrea Pirlo ha raccontato nella sua biografia che Park è stato l’unico giocatore a riuscire puntualmente a limitarlo nella sua carriera. Sir Alex Ferguson ne ha parlato come uno dei calciatori più preziosi della sua lunga esperienza al Manchester United. In Inghilterra Park-Ji Sung è diventato semplicemente una leggenda.
La Corea nel mondo
Il valore mediatico di un giocatore come Park-Ji Sung per la Corea del sud è stato incredibile. Il centrocampista nei suoi anni a Manchester si è affermato come il simbolo incarnato del suo paese, dandogli una visibilità senza precedenti. A livello mediatico, pochi sudcoreani hanno ottenuto la notorietà di Park e tra questi ci sono sicuramente i BTS, la boy band che ha lanciato il fenomeno del K-Pop, il più grande prodotto della cultura coreana esportato in tutto il mondo.
Il K-Pop diventato famoso a livello globale in realtà ha poco di coreano. La Korean popular music è, come si evince alla perfezione dalla semplice traduzione, la musica popolare coreana. Il termine popolare qui ha la doppia accezione di tradizionale e commerciale e a lungo l’etichetta K-Pop ha raffigurato entrambe le declinazioni. La musica coreana inizia ad accumulare una risonanza mondiale a partire dagli anni ’90, grazie soprattutto agli influssi occidentali e la contaminazione con altri generi come il rap e il pop americano.
Il K-Pop arrivato in tutto il mondo con i BTS mantiene a fatica le proprie radici coreane, si configura maggiormente come un prodotto occidentale. Rappresenta però la Corea del sud nel mondo e ha il pregio dunque di portare l’attenzione globale su questo spicchio di terra culturalmente molto lontano e isolato. Possiamo riconoscere delle caratteristiche in comune tra Park Ji-Sung e il K-Pop: entrambi sono diventati simboli della Corea del sud, ma grazie alla mano dell’occidente. Park col Manchester United, il K-Pop con le contaminazioni di genere.
Resta comunque cruciale il ruolo che hanno avuto nel far conoscere al mondo la Corea del sud. È anche merito loro se riusciamo a gettare uno sguardo su questo paese lontano, se possiamo familiarizzare con la sua cultura, se possiamo confrontarci con questa realtà così diversa. Park-Ji Sung è senza dubbio un vero e proprio mito, sudcoreano e di tutta l’Asia, simbolo di un mondo lontano, che però è riuscito senza fatica a imporsi anche in occidente.