Si può essere uno dei centrocampisti più forti di sempre e, allo stesso tempo, condurre una vita sobria e riservata? Sembrerebbe di sì, almeno secondo Paul Scholes, eterna bandiera dello United.
Al giorno d’oggi, siamo abituati a vedere i grandi personaggi dello sport (e, in particolare, del calcio) come delle vere e proprie celebrità, alla stregua di attori, cantanti o politici. A questo hanno concorso sicuramente i social, ormai metro di giudizio e vetrina universale per ciascuno di noi. Basti pensare che quello di Cristiano Ronaldo è l’account (privato) di Instagram con più followers al mondo: 242 milioni! Tutto ciò è frutto di un processo lunghissimo, passato anche dalla pubblicità, e che vede le sue fondamenta nella scelta, ormai datata, di inserire il cognome dei calciatori sulla maglia. Facendoli emergere, in un certo senso, dall’anonimato.
Proprio per questo, una personalità così atipica come quella di Paul Scholes sembra essere uscita da una figurina degli anni ’60. Quando, in realtà, la sua carriera si è sviluppata a cavallo tra i due millenni, spingendosi fino al 2013. Con sei stagioni giocate proprio al fianco di CR7, e molte altre assieme a David Beckham, più giovane di lui di un solo anno. E noi tutti sappiamo quanto la vita di Beckham trascenda l’esistenza di un semplice atleta.
Ma chi è, quindi, Paul Scholes? In che modo si è guadagnato l’appellativo di Silent Hero da parte dei suoi tifosi? E come è diventato uno dei migliori centrocampisti della storia?
Gli esordi come attaccante…
In realtà, Scholes non è sempre stato un centrocampista centrale. Durante tutto il percorso delle giovanili e nei primissimi anni di carriera, il ragazzo originario di Salford giocava come attaccante. O meglio, una sorta di seconda punta. E in questo ruolo (sei anni dopo l’ingresso nell’accademia del Manchester United) vedrà il suo esordio in prima squadra, agli ordini di Sir Alex Ferguson.
Era il 21 settembre 1994, si giocava il secondo turno della Football League Cup (attualmente nota come Carabao Cup) sul campo del Port Vale. La partita finisce 2-1 per i Red Devils, con doppietta dell’esordiente Scholes, proprio lui. Paul si ripete anche all’esordio in campionato, nella sconfitta per 3-2 contro l’Ipswich Town. Predestinato.
Nella seconda stagione troverà ancora più spazio, visto l’addio di Mark Hughes, trasferitosi al Chelsea. Ma soprattutto, la squalifica nei primi due mesi di Eric Cantona (gli ultimi strascichi del celebre calcio a Matthew Simmons, il tifoso del Crystal Palace ) gli varrà un posto da titolare al fianco della prima punta, Andrew Cole. E così, a fine annata, Paul potrà contare 14 reti in 31 presenze, oltre alla vittoria del suo primo campionato.
La svolta arriva però nel settembre del 1997. Un gravissimo infortunio rimediato da Roy Keane, che avrebbe tenuto il giocatore irlandese fuori dai campi per gran parte della stagione, obbliga Sir Alex ad arretrare Scholes a centrocampo per sostituirlo. Da quel giorno, sarà tutta un’altra storia.
… e la consacrazione da tuttocampista
Volete sapere cosa si prova ad essere il più forte centrocampista del mondo? Ma non dovete chiederlo a me, chiedetelo a Paul Scholes!
Parole significative, colme di rispetto ed ammirazione. Fuoriuscite non da una bocca qualunque, bensì da quella di Zinédine Zidane, che in diverse occasioni si è lasciato andare ad elogi spassionati per il collega inglese. Così come Xavi, che ha definito Scholes “un modello”, ritenendolo il centrocampista centrale più forte e completo degli ultimi vent’anni. O ancora, Andrea Pirlo, che considera il fatto di non aver mai giocato al suo fianco come uno dei maggiori rimpianti della sua carriera.
Paul si dimostra, infatti, e fin da subito, un centrocampista in grado di fare semplicemente tutto. Alle già comprovate doti offensive, si affiancano sempre di più le sue capacità di recupero della palla, che gli permettono di far ripartire in fretta l’azione. Ma la caratteristica principale di Paul Scholes sarà l’impostazione del gioco, che lo renderà un regista versatile, abile nel lanciare a rete i propri compagni, da qualsiasi posizione.
Non che lui non segnasse mai, anzi: con la maglia del Manchester United conta 155 gol in 718 presenze. Mica male. Molti arrivano su colpi di testa, nonostante Paul non vada oltre i 170 cm di altezza (Memento audere semper). Ma il suo marchio di fabbrica sarà sempre il tiro dalla distanza. Un asso nella manica che ha spesso e volentieri sbloccato partite importanti, come accaduto nella semifinale di ritorno di Champions League contro il Barcellona, nel 2008.
Rinvio errato di Gianluca Zambrotta, palla che finisce sui piedi di Paul, il quale percorre due passi e calcia da casa sua, sorprendendo il portiere blaugrana, Victor Valdés. L’Old Trafford esplode.Essendo l’unica di entrambe le semifinali, la sua rete aprirà ai Red Devils le porte della finale di Mosca, che vinceranno ai danni del Chelsea.
Non sono tutte rose e fiori…
Altre qualità importanti di Scholes sono state il senso della posizione, grazie al quale si trovava sempre al posto giusto nel momento giusto, e la resistenza, che gli permetteva di essere sul pezzo in ogni occasione. Su quest’ultima capacità molta gente, anni prima, non ci avrebbe scommesso neanche un penny. Ma perché? Evidentemente non è stato detto ancora tutto sui primi passi calcistici di Paul Scholes…
Gary Neville, in un’intervista, ha assicurato che nessuno, ai tempi delle giovanili, si aspettava che “Scholesy” (come lo chiama lui) diventasse un calciatore professionista. Era così gracile e minuscolo che una folata di vento avrebbe potuto tranquillamente spazzarlo via, ma soprattutto, aveva un problema respiratorio, che lo limitava negli scatti in velocità e nella costanza di rendimento. Il ragazzino con i capelli rossicci, scoperto da Brian Kidd (responsabile del settore giovanile e, in seguito, braccio destro di Ferguson) durante un torneo tra parrocchie, soffriva infatti di asma.
Problema che Paul si porterà inevitabilmente dietro anche nell’accademia del Manchester e che, per tutta la durata della sua carriera, lo ha costretto ad eseguire un aerosol prima di ogni partita. E a portarsi sempre dietro uno spray nasale. Per fortuna, con queste precauzioni, l’asma non ha più limitato le prestazioni del ragazzo di Salford, per il quale Sir Alex stravedeva. E continuerà a stravedere per più di venti anni.
Il “lato oscuro” di Paul Scholes
La Champions League del 2008, quella sollevata nel cielo di Mosca dopo la vittoria ai rigori contro il Chelsea, non fu l’unica vinta da Sir Alex Ferguson e dai suoi ragazzi della Classe del ’92. Molti di voi ricorderanno anche la straordinaria impresa compiuta dai Red Devils al Camp Nou di Barcellona, nell’atto conclusivo dell’edizione 1998/1999. Parliamo ovviamente della clamorosa rimonta nei minuti di recupero, contro il povero Bayern Monaco di Ottmar Hitzfeld. Ribaltone targato Teddy Sheringham e Ole Gunnar Solskjær, entrambi partiti dalla panchina. Scorrendo i nomi dei calciatori in campo quella sera, notiamo però un’assenza importante: nientepopodimeno che Paul Scholes…
Ma dov’era? Un problema fisico lo aveva fermato sul più bello? Macché. Scelta tecnica di Sir Alex, che aveva deciso di lasciarlo fuori? Impensabile. Scholesy era già da tempo una pedina imprescindibile del centrocampo per il tecnico scozzese. In realtà, Paul era a “godersi” la partita in tribuna, a causa di una squalifica.
Un cartellino giallo rimediato nella semifinale di ritorno con la Juventus, per un fallo su Didier Deschamps, gli aveva precluso la possibilità di giocare quella finale. Con tanto di polemica da parte del diretto interessato, il quale aveva accusato il campione francese di essersi lamentato “come una ragazzina“, pur di convincere l’arbitro ad ammonirlo.
Paul Scholes è ancora uno dei migliori calciatori in Inghilterra e il suo contributo ai successi del Manchester United è assolutamente immenso. Personalmente mi dispiace che non sia stato sempre il più corretto dei giocatori. C’è un lato un po’ più scuro in lui, alcune volte, che non mi piace.
Sul comportamento di Scholes in campo e sulla durezza dei suoi interventi si è espresso, con queste parole, Arsène Wenger, storico tecnico dell’Arsenal, il quale forse avrà preso spunto dalle letture londinesi de Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Ma che, pur metaforicamente, coglie alla perfezione uno dei pochi, pochissimi difetti di Paul. Forse l’unico. Probabilmente, l’allenatore francese aveva ancora negli occhi il tackle “da horror” compiuto ai danni del compianto José Antonio Reyes, durante una semifinale di FA Cup nel 2004.
Un episodio violento, ma non insolito. Non a caso, Scholes si colloca al quinto posto di una classifica non invidiabile: quella dei cartellini gialli rimediati in Premier League. Le sanzioni per Paul sono state ben 97, condite da quattro cartellini rossi. Mentre, in Champions, il primato a lungo detenuto (con 36 ammonizioni) gli è stato recentemente sottratto da un certo Sergio Ramos.
Una cosa è certa: la prospettiva di giocare contro Roy Keane e Paul Scholesy avrà fatto tremare le gambe a molti avversari del Manchester United…
Scholes e l’Inghilterra, un amore mai sbocciato
A proposito di cartellini, Scholes è anche l’unico giocatore della Nazionale Inglese ad essere mai stato espulso nel vecchio Wembley (in 223 partite). E visto che “il tempio” del calcio britannico non esiste più, dopo la sua demolizione nel 2003, Paul manterrà l’esclusiva in eterno.
Probabilmente l’unica traccia significativa di un rapporto mai sbocciato completamente tra il Silent Hero dell’Old Trafford e la nazionale dei Tre Leoni. Una storia ben diversa da quella scritta assieme ai Red Devils di Ferguson. E dire che all’inizio non sembrava affatto così. L’esordio arriva il 24 maggio del 1997, contro il Sudafrica, mentre segna il primo gol già alla seconda presenza, nel Torneo di Francia, contro l’Italia. Rete con la quale Scholesy inizia a farsi conoscere anche oltre lo Stretto della Manica.
A cavallo tra anni 90 e 2000, diventa un perno imprescindibile della Nazionale. Che però, nonostante la buona volontà di tutti, non eccelle nei risultati. Il mondiale del 1998 li vede uscire agli ottavi di finale, dopo aver perso ai rigori contro l’Argentina. L’avventura nei seguenti Europei in Belgio e Olanda va anche peggio: terzo posto nel girone, dietro a Portogallo e Romania, e tutti a casa.
Scholes fa comunque la sua parte, segnando gol importanti sia durante le competizioni – in entrambe timbra il cartellino nella gara di esordio – che nelle relative qualificazioni. Memorabili rimangono la tripletta segnata nella vittoria per 3-1 sulla Polonia e la doppietta nel 2-0 rifilato alla Scozia ad Hampden Park.
Con l’avvento del nuovo millennio, qualcosa sembra cambiare. La buona prestazione ai Mondiali in Corea (eliminati ai quarti dai futuri campioni del Brasile) e l’inserimento nel gruppo di giovani promesse riaccendono le speranze inglesi. Ma saranno anche la fine per Paul. Il CT Sven-Göran Eriksson deciderà infatti di consegnare le chiavi del centrocampo ai nuovi arrivati, Frank Lampard e Steven Gerrard. Rimarrà libero solo il ruolo di esterno sinistro alto, posizione per Scholesy non ideale, ma che manterrà per tutti gli Europei del 2004 in Portogallo. Probabilmente controvoglia.
Infatti, nella stessa estate, Paul annuncia il suo ritiro dalla Nazionale a soli 29 anni, dicendo di volersi concentrare maggiormente sulla propria famiglia e sugli impegni con lo United. Vani saranno tutti i tentativi successivi, in particolare di Fabio Capello, di fargli cambiare idea. La decisione era già stata presa.
The Sound of Silence
Già, la famiglia e il Manchester United: gli unici veri amori che Paul Scholes abbia mai avuto. Tutto il resto è vano, superfluo, eccessivo per lui. Si potrebbe quasi definire un ragazzo “tutto casa e stadio”. Il tetto coniugale e l’Old Trafford sono stati e saranno sempre i luoghi del suo cuore. I porti nei quali attraccare, i rifugi nei quali nascondersi quando il mondo là fuori bussa e ti ricorda che la sofferenza e la vita sono due cugine che si odiano, ma che sono destinate ad incontrarsi sempre, come City e United. E allora hai bisogno di tuffarti negli abbracci di Claire, Arron, Alicia o Aiden. Oppure di rivedere gli amici di sempre, quelli con cui hai conquistato il mondo, ma che ancora sorridono quando ti chiamano “Scholesy”.
Legami intensi, sentimenti sinceri, che Paul non ha mai sentito il bisogno di sbandierare a tutto il mondo. Riservatezza ed umiltà le sue parole d’ordine. Quello del calciatore professionista, come ha detto lui stesso, è un lavoro e, come ogni altro, necessita di forte concentrazione per essere portato a termine. E se lo stipendio lo rende invece un privilegiato, la somma è indifferente. Mai una parola di troppo, mai una sterlina in più rivendicata, solo strette di mano e sorrisi con quello che è stato ben più di un semplice manager.
Ferguson, infatti, non ha mai nascosto la profonda ammirazione provata nei confronti del suo pupillo. Tanto da chiedergli di tornare a giocare dopo il suo primo ritiro, a causa degli infortuni che stavano tormentando la squadra. Scholesy aveva deciso di appendere gli scarpini al chiodo dopo la finale di Champions League, persa contro il Barcellona, del 28 maggio 2011. Per inciso, al termine di quella partita, Messi, Xavi ed Iniesta abbandonarono temporaneamente i festeggiamenti per omaggiare Paul e chiedergli la maglia del suo ultimo match. E a spuntarla fu Don Andrés.
Scholes viene richiamato ad inizio 2012, tornando a giocare l’8 gennaio contro il Manchester City, nella vittoria per 3-2 in FA Cup. Per l’occasione chiunque altro avrebbe firmato chissà quale collaborazione con uno dei grandi brand del panorama sportivo. Invece, lui si presenta con delle scarpette comprate per sole 50 sterline ad un negozio vicino casa. Nella prima partita in Premier invece, torna subito al gol, contro il Boston, e davanti al proprio pubblico.
A fine stagione decide addirittura di prolungare il contratto fino al termine della successiva. Fa in tempo a superare le 700 presenze con la maglia dello United, nella partita vinta contro il Wigan, occasione in cui, tra l’altro, segna. Grazie a quella rete, Scholes porta a 19 il numero di stagioni consecutive di Premier in cui è andato almeno una volta in gol. Soltanto il suo ex-compagno di squadra Ryan Giggs ha fatto di più, raggiungendo quota 21.
L’ultima partita giocata da Scholesy rimane quella del 19 maggio 2013 contro il West Bromwich Albion. Quella finita clamorosamente 5-5 con la rimonta dei padroni di casa, quella della tripletta di un ancora sconosciuto Romelu Lukaku, quella del 97esimo cartellino giallo di Paul in Premier, ma soprattutto l’ultima di Sir Alex Ferguson sulla panchina dei Red Devils.
Non poteva essere altrimenti. Le storie di Scholes e del suo padre calcistico erano così intrecciate che nessuno dei due poteva sopravvivere senza l’altro. E così, in un caldo pomeriggio primaverile il Manchester United disse addio al più grande allenatore che abbia mai avuto e al suo eroe, il piccoletto dai capelli rossi che, con il suo silenzio, aveva sempre fatto rumore.