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Pelé veniva dal futuro

Quando si parla di Pelé si viaggia spesso a metà strada tra la mitologia e i soliti confronti con Diego Armando Maradona. Ma in special modo bisogna parlare di Edson Arantes do Nascimento come un innovatore. Dalla mistica della maglia numero 10 a un infinito arsenale di giocate, alcune più o meno conosciute all’epoca, che sono diventate famose tanti anni dopo, grazie al progresso culturale e tecnologico che ha permesso un flusso sempre più costante di parole, suoni e immagini provenienti da ogni parte del globo.

Due persone, un camino acceso e Pelé

1 maggio 1972. Stadio Sant’Elia, Cagliari. Cagliari-Santos. Si tratta dell’ennesima amichevole nel tour globale che questi Harlem Globetrotters del calcio provenienti da San Paolo affrontavano in quegli anni. La sfida assume un significato particolare. È Pelé contro Gigi Riva. Per l’epoca è lo scontro tra il manifesto del calcio brasiliano (e uno di quelli a livello globale) e il manifesto del calcio italiano in una sfida tra squadre di club.

Il 1° maggio a Cagliari è il giorno della festa di Sant’Efisio ma il Sant’Elia è ricolmo di spettatori (forse anche più della capienza massima). Non c’è festività che regga il confronto quando c’è la possibilità di assistere a una sfida tra due squadre che possono schierare fenomeni di quel livello. Per la cronaca, la partita finì sul punteggio di 3-2 in rimonta per il Santos (doppietta di Pelé, autogol di Poletti e doppietta di Riva).

Conosco quest’evento perché ho una grande fortuna: mio padre era una di quelle decine di migliaia di persone che riempirono gli spalti del Sant’Elia in quel lunedì pomeriggio. Nonostante fosse un ragazzino all’epoca, si ricorda ancora bene cosa voleva dire assistere alle gesta di gente come Riva e Pelé.

Durante le vacanze natalizie, tra una chiacchiera e l’altra di fronte al fuoco di un camino, gli ho chiesto di raccontarmi com’è stato vedere giocare dal vivo un calciatore come Edson Arantes do Nascimento. Mi dice subito che al primo tocco del pallone chiunque poteva avere la sensazione di avere davanti agli occhi un giocatore totalmente diverso dagli altri, un marziano.

«Durante la sua carriera giocava in un modo che sarebbe moderno oggi».

Illustrazione: Pelé in dribbling
È così che mi sono immaginato Pelé. Catapultato sul campo da un’astronave. L’unico calciatore a colori che viaggia a un’altra velocità rispetto a compagni e avversari, bloccati in un mondo in bianco e nero (Illustrazione: Mirko Piseddu)

Effettivamente, unendo queste parole alle immagini visibili al giorno d’oggi, il discorso non è così esagerato. In quegli anni l’immaginario collettivo calcistico era stato plasmato per l’ennesima volta dalle immagini – finalmente a colori – dei Mondiali di Messico ’70 trasmessi in tv, vinti dal Brasile in finale contro l’Italia. Fu il momento in cui Pelé asfaltò definitivamente la strada per chi desiderava un calcio più libero dal punto di vista tecnico-tattico. Una scelta che involontariamente assecondava il fiorire delle prime rivoluzioni culturali. Colori che diventavano sempre più luminosi, dando una nuova vita alle immagini sui media e maggiore sensazione di libertà, che si legava al bisogno di rompere barriere mentali per mostrare nuove possibilità all’essere umano. Come potevano risaltare queste scelte? Ponendosi contro tutti quei contesti in cui il concetto di libertà (in ogni aspetto della società) veniva ulteriormente limitato.

Nel calcio di quel periodo questi cambi di paradigma si notavano con ancora più facilità. Parlando di Pelé, gli esempi sono numerosi ma si può serenamente partire dalle due partite citate qualche paragrafo fa: Cagliari-Santos e Brasile-Italia. Ci sono alcuni anni di distanza tra le due sfide ma lo scontro di stili tra due concezioni di calcio distanti tra loro rimangono gli stessi. Tenuta difensiva contro calcio offensivo. Sistema contro individuo. Tuttavia, l’elemento discriminante è Edson Arantes do Nascimento. Con lui in campo, sin dai Mondiali del ’58 (con il supporto di un altro fenomeno come Garrincha), cambia la concezione del calcio, ritornando ad un’accezione più ludica dello sport.

È un’evoluzione mentale che richiede un salto all’indietro per risultare efficace. Tornare bambini in un mondo di adulti, divertirsi e ottenere risultati in un contesto professionistico. Quando personaggi del genere riescono a coinvolgere i compagni, si crea una miscela esplosiva e incontrollabile: l’elevazione dell’individuo all’interno di un sistema. Le partite di Pelé con la maglia del Santos e della Seleçao sembravano delle jam session tra calciatori che parlavano la stessa lingua calcistica. Un calcio istintivo che tendeva a rifiutare schemi e moduli, legandosi maggiormente a princìpi di gioco condivisi da tutti. Mio padre aggiunge, mentre sistema un altro tronco dentro il camino:

«Non sapevi cosa aspettarti da Pelé e i suoi compagni. Si divertiva a giocare con gli altri. Gli avversari, invece, spesso non sapevano cosa fare».

L’attaccante ideale

I Mondiali di Messico ’70 hanno puntato una luce ancora più luminosa sull’idea dell’attaccante ideale. Chiunque all’epoca avrebbe detto che Pelé rappresentasse quell’ideale, persino i più scettici. Portava il numero 10 sulle spalle ma giocava come se portasse anche gli altri numeri che andavano dal 7 all’11. Faceva la prima e seconda punta, il trequartista e l’ala. Senza perdere in qualità ed efficacia, perché quella combinazione di tecnica, atletismo, intelligenza e fisico compatto non poteva non risultare devastante in ogni posizione sul campo. Era l’icona del progresso calcistico che ispirava gli altri a cambiare, a sovvertire le regole. Però non era così facile. Di Pelé ce n’era solo uno. Era il futuro, viaggiando ad anni luce di distanza dagli altri. Come potevano imitarlo se non riuscivano nemmeno ad immaginare come funzionasse? Semplice, non potevano riuscirvi volontariamente.

Analizzando Pelé ai raggi X c’erano una serie di elementi che giustificavano la sua unicità, anche compiendo una digressione dai concetti tattici. Il 10 brasiliano metteva il gioco e, nello specifico, il gesto tecnico al centro di tutto (aprendo la strada per altri calciatori in futuro che proveranno a viaggiare su quell’ideale percorso). Questa scelta più o meno volontaria ha origine nella sua infanzia, trascorsa tra le strade di Bauru. Lì giocava a calcio in condizioni non ottimali, su terreni non adatti al gioco e con palloni fatti di stracci, carta e lacci. La strada stimola l’evoluzione perché costringe a superare i limiti fisici, mentali e materiali per poter realizzare i propri obiettivi. Un contesto urbano di quel tipo si sposa alla grande con l’idea del calcio brasiliano fondato sulla corporeità.

L’uso del corpo diventa uno strumento per rimarcare la propria identità, differenziandosi dagli altri. Pelé superava gli avversari a modo suo, rendendosi indecifrabile per chiunque lo affrontasse. L’elemento sorpresa cattura l’attenzione sia in positivo che in negativo. Compagni e spettatori rischiavano spesso di essere protagonisti in un’esperienza quasi extrasensoriale, travolti da quella magnifica commistione di ispirazione e creatività. Gli avversari, invece, vivevano con il lato negativo dell’elemento sorpresa. La paura, l’ansia, l’impotenza e la preoccupazione per tutto ciò che era sconosciuto ai propri occhi.

Pelé durante la finale dei Mondiali di Messico '70: Brasile-Italia
Pelé supera Tarcisio Burgnich (Foto: STAFF/AFP/ Getty Images – OneFootball)

La testimonianza video: l’avvistamento del marziano

21 novembre 2021. Il giornalista francese Didier Roustan pubblica su Twitter un video precedentemente postato dall’account Memes Futbolisticos (a sua volta pubblicato originariamente su TikTok dall’utente @retrofutbol58). Si tratta di un montaggio di immagini tratte dalla carriera di Pelé, che mostra come tantissime giocate divenute iconiche nel calcio siano in molti casi il frutto della creatività di O Rei. Il brasiliano era avanti dai dieci ai sessant’anni rispetto ai colleghi e quelle giocate lo dimostrano. Nei poco meno di tre minuti del video originale è presente un arsenale di trick e giocate varie che fa spavento, il tutto presentato con un’atmosfera vaporwave influenzata dalla colonna sonora (una versione rallentata e carica di riverbero di Homage dei Mild High Club). Per quanto sia quasi piacevole farsi travolgere da questo uragano di magie con il pallone, potrebbe risultare più comodo organizzarle in una lista.

• Classica sterzata verso l’interno del campo con il tacco in stile Cristiano Ronaldo √
• Dribbling di tacco su un pallone che arriva addosso per tagliare fuori l’arrivo dell’avversario, reso celebre da Zinedine Zidane √
• Dribbling da fermo con finta di corpo senza toccare il pallone √
• Combinazione di tunnel e cambio di direzione, dribbling associabile a Ronaldo √
• Dribbling secco in area (che fa ribaltare i difensori) e conclusione di sinistro, già visto più volte al giorno d’oggi grazie a Lionel Messi

• Virata di Crujiff √
• Croqueta di Andres Iniesta, tributo al dribbling di Michael Laudrup √
• Rabona (anche se dovrebbe essere stata inventata da Ricardo Infante intorno al 1948, resa famosa in Italia da Giovanni Roccotelli) √
• Rovesciata ad altezze vertiginose (ultimamente portata alla ribalta nuovamente da Cristiano Ronaldo) √
• Serpentina in area di rigore, spostando il pallone ripetutamente dal piede destro a quello sinistro (e viceversa) e conclusione col mancino (copia sputata di alcuni gol di questo tipo realizzati da Zinedine Zidane) √
• Altra serpentina in progressione palla al piede per superare svariati avversari (classica giocata di Ronaldo nelle sue versioni migliori) √

Per passare dunque ad una serie di reinterpretazioni del sombrero…

• Sombrero spalle all’avversario ma fatto con il ginocchio, stile Neymar √
• Stop di petto e sombrero √
• Sombrero in corsa post-stop di petto, mostrato in maniera identica da Diego Armando Maradona qualche anno dopo √
• Sombrero tramite passaggio rasoterra con avversario alle spalle (anche in questo caso Maradona l’ha riproposto tempo dopo Pelé) √

Non potevano mancare nemmeno i calci di punizione. Si sta pur sempre parlando di un extraterrestre con doti fisiche e mentali che non c’entrano nulla con gli altri.
• Punizione calciata di destro dalla distanza (Cristiano Ronaldo l’ha riproposta più volte negli anni in quello stesso modo) √
• Calcio di punizione battuto con il mancino dalla media-lunga distanza e sparato all’incrocio dei pali (recuperato tanti anni dopo da Lionel Messi) √
• Missile su punizione calciato col destro da lontanissimo in stile Roberto Carlos √

Qualcuno ha richiesto pallonetti di tipologia diversa? No? Pazienza, ci sono pure questi.
• Il meraviglioso pallonetto di Messi contro il Betis da posizione defilata? Già fatto da Pelé tanto tempo prima √
• Pallonetto al volo col piattone √

Oltre a questa serie infinita di giocate bisogna aggiungere controlli di petto-spalla e aperture volanti di tacco (vedi Ronaldinho); tunnel d’esterno per superare gli avversari in arrivo alle spalle (Zidane professore in questo genere di trick); tunnel di suola per superare l’avversario di fronte (un po’ come Ronaldo ma Pelé l’ha utilizzato per trafiggere un portiere in uscita); tanti, tantissimi tocchi in anticipo per eludere l’intervento dell’avversario all’ultimissimo momento.

La vera particolarità in un video del genere è l’incredibile somiglianza tra le meraviglie proposte da Pelé e quelle proposte anni dopo dalle altre figure fenomenali che hanno reso il calcio sempre più spettacolare. La quasi totalità delle giocate moderne presenti in quel montaggio di immagini è fatta da calciatori che difficilmente potevano aver visto Pelé durante quei numeri di magia sul campo. Persino i movimenti dei difensori “scherzati” sono simili a quelli mandati in confusione dal 10 brasiliano, probabilmente perché pure quelle reazioni fanno parte dell’abilità insita nel gesto.

Pelé in azione durante un'amichevole nel 1960 contro il Malmoe
Pelé dribbla l’ennesimo avversario in un’amichevole tra Brasile e Malmoe (Foto: AFP/Getty Images – OneFootball)

Provando a contestualizzare Pelé in relazione alle diverse epoche del gioco, è possibile considerarlo come un calciatore venuto dal futuro? La risposta non è facilissima però non può che essere “sì”. Ancora oggi è difficile rintracciare nella storia di questo sport una combinazione di velocità, forza fisica (in relazione alla corporatura), agilità, senso del gol, controllo, capacità di calciare sia di destro che di sinistro (mostrata anche con i calci da fermo), bravura nel gioco aereo, dribbling, intelligenza, tiro, assist, resistenza e capacità associativa con i compagni. In aggiunta a tutte queste caratteristiche, c’è anche la competitività e la costante ossessione per la vittoria. Non bisogna farsi ingannare dai sorrisi, Pelé ha sempre giocato per vincere. Il divertimento rendeva solamente tutto più piacevole. Come mi è stato ricordato durante la conversazione padre-figlio davanti al fuoco:

«Il Santos giocava per vincere. Sempre. Pelé era il primo che voleva dominare. Nelle amichevoli che disputavano in giro per il mondo, i loro avversari giocavano in maniera dura, come se non fossero realmente delle partite amichevoli perché conoscevano già che tipo di reputazione avessero i brasiliani».

Questo aspetto fa associare Pelé a figure leggendarie del basket statunitense e mondiale come, ad esempio, Wilt Chamberlain, Bill Russell o Michael Jordan. Si gioca sempre al 100% delle proprie possibilità per vincere ogni sfida, ogni duello individuale e di squadra. Non importa che si tratti di partite d’allenamento, incontri ufficiali o amichevoli.

Dovendo proseguire nell’opera di contestualizzazione, bisogna considerare un ultimo elemento: il grado di difficoltà. Pelé giocava in un’epoca in cui c’erano metodi d’allenamento differenti da quelli odierni, scarpini e materiale tecnico di tecnologia totalmente diversa e, soprattutto, palloni pesantissimi di cuoio che rendono ancora più assurde certe invenzioni di Edson Arantes do Nascimento. E allora, dopo tutte queste parole, si può considerare Pelé come una figura catapultata nel mondo del calcio con decenni di anticipo rispetto al suo periodo d’attività? La risposta ora è più semplice: sì. Ha cambiato totalmente il concetto di attaccante e, in generale, la concezione di un certo tipo di calcio. A maggior ragione se si provano a fare dei parallelismi col calcio contemporaneo. In tanti l’hanno imitato e sono stati ispirati in maniera più o meno consapevole. Queste testimonianze confermano la modernità di Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé.

PS: un calciatore attuale potrebbe segnare un gol in rovesciata contro una squadra di nazisti? Direi proprio di no. Pelé è stato un innovatore anche in questo ambito.

Autore

Cagliaritano, classe '95. Appassionato di calcio, motorsport, basket e sport d'azione. Sempre pronto a parlare seriamente di cose stupide (e viceversa).

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