Il Benfica, o amor da minha vida (“Benfica, l’amore della mia vita”) fa da colonna sonora a tutte le partite della squadra della capitale portoghese, sia quando si innalza, coinvolgente, in tutto l’Estadio Da Luz, sia in quei momenti in cui le spedizioni di adeptos che partono per tutto il paese e per tutta Europa sovrastano il frastuono degli stadi avversari, colti da un momento di onnipotenza. Non è, però, un coro qualunque. La melodia e il testo sono presi da una delle più celebri canzoni di fado, una musica popolare tipica del Portogallo e soprattutto di Lisbona: “Lisboa menina e moça”, di Carlos Do Carmo.
L’autore canta, malinconico, le bellezze della sua città, città di cui è innamorato, paragonandola ad una donna, la donna della sua vita. Il fado, però, non è musica allegra, nasconde un velo di tristezza, più o meno esplicito, quando non la proverbiale saudade. Fado è la traduzione di “fato”. C’è sempre qualcosa di triste ed irrimediabile: la lontananza da casa, la lontananza dal proprio amore ad esempio. In Lisboa menina e moça non c’è però alcuna lontananza. La malinconia della canzone deriva piuttosto, se ci pensiamo, da un sacrificio. Se si ama una città a tal punto da ritenerla l’amore della propria vita, non c’è spazio per un’altra donna. Diventa irrimediabilmente impossibile. Si è condannati a rinunciare all’amore vero, quello umano, verso un altro essere umano.
A pochi chilometri da Lisbona, a Vila Nova de Xira è nato Rafael Alexandre Fernandes Ferreira da Silva, per tutti Rafa Silva. Quasi tutti i più importanti talenti portoghesi sono cresciuti, calcisticamente, in una delle tre big del paese: Porto, Benfica e Sporting. Lui, invece, è partito dall’Alverca, la squadra più importante della sua zona, per poi trasferirsi più a nord, nell’under 19 della Feirense e poi ancora più a nord, al Braga. Qui si è fatto conoscere e in tre anni ha conquistato la Seleção. A Lisbona, al Benfica, nell’élite del calcio portoghese ci è arrivato a 23 anni, da fresco campione d’Europa, e non se n’è più andato.
Pian piano si è imposto anche con la maglia encarnada delle Aguias. Prima co-protagonista del gruppo allenato da Rui Vitoria che vinse il titolo nella stagione 2016/17, poi punto fermo e trascinatore a suon di gol (17) di quello che si laureò campione con Bruno Lage due anni dopo. Oggi, la fascia da capitano è sul braccio di Otamendi, ma l’uomo simbolo del club è lui. Non solo per essere quello che, assieme a Grimaldo, fa parte da più tempo del gruppo dei titolari, non solo per il suo apporto offensivo (la scorsa stagione 12 gol e 18 assist in tutte le competizioni), ma anche e soprattutto per il suo attaccamento a una maglia con cui non è nato, né cresciuto, ma che si sente cucito addosso.
Il 19 settembre scorso, a soli 29 anni, ha declinato la chiamata di Fernando Santos e annunciato il proprio addio alla nazionale, per “motivi personali” non specificati. Nonostante venisse sempre convocato, lo spazio per lui, con giocatori come Cristiano Ronaldo, Diogo Jota, Rafael Leão, Bernardo Silva e João Felix nel suo ruolo, era sempre di meno. Si dice, ma sono solo ipotesi, voci di corridoio, che l’abbia fatto per potersi dedicare a tempo pieno al suo Benfica, senza rischiare infortuni (che negli ultimi anni ne hanno limitato la costanza) lontano dal Da Luz, solo per giocare qualche minuto in Nations League. Intanto, in questa stagione è già a quota 8 gol (e 5 assist) in 17 partite, l’ultimo dei quali segnato proprio lo scorso weekend, quando ha deciso il Clássico contro il Porto. A breve proverà a trascinare i suoi alla qualificazione agli ottavi di Champions League, davanti ai 60 mila del Da Luz, contro la Juventus. Poi sarà caccia ad un titolo che manca proprio dalla stagione 2018/19, la sua prima da protagonista sulle rive del Tago, e che mai era sembrato così alla portata come quest’anno (sono già a +6 sui Dragões, i più vicini inseguitori).
Quella fra Rafa Silva e il Benfica sembra la più dolce delle storie d’amore, ma proprio come nella canzone di Carlos Do Carmo, non è una storia d’amore qualunque. Fra le note melancoliche del Benfica, o amor da minha vida che accompagnano le sue giocate si cela quel velo di tristezza tipico delle melodie del fado. Se il grande amore della sua vita è il Benfica, non c’è spazio per un’altra presenza nel suo cuore, nella sua carriera. Come ogni uomo sogna la donna della propria vita, finché non la incontra, il sogno di ogni calciatore è vincere i Mondiali, o almeno giocarli. Rafa, però, con la sua nazionale non ha mai esordito né in Brasile (quando ha fatto parte del gruppo senza mai assaggiare il campo), né in Russia (quando invece non era nemmeno convocato). Sarebbe successo molto probabilmente in Qatar, dove tra l’altro il Portogallo si presenterà come una delle favorite, ma lui stesso ha deciso che non ci sarà. Per il suo Benfica, Rafa Silva ha perso quest’occasione, si è condannato a rinunciare irrimediabilmente al suo più grande sogno, ancora irrealizzato, e questo è il più grande atto d’amore che si possa compiere.