Kiev, 26 maggio 2018. Negli spogliatoi dello stadio Olimpijs’kij c’è un’atmosfera carica di fibrillazione. Come sempre d’altronde, quando sta per giocarsi l’atto conclusivo della più prestigiosa competizione calcistica europea. Tra le persone che popolano in sotterranei di quell’impianto c’è chi ricorda con affetto quei muri, quei corridoi, quelle stanze. Chi sei anni prima si è cambiato in quegli spogliatoi ed è sceso in campo per affrontare l’Italia, strapazzandola e annientandola, portando a casa il secondo titolo europeo della propria carriera. Chi a quelle sensazioni ormai si sta abituando, le ha vissute negli ultimi due anni, ma in spogliatoi diversi, di stadi diversi. In città diverse. Più a occidente, a Milano e a Cardiff. Ora quella trasferta nell’estremo est dell’Europa può farli entrare nella storia, e magari questa volte le sensazioni sono un filo più intense.
In una stanza vicina però ci sono persone con uno stato d’animo completamente diverso. Sono una marea rossa, come il colore che ha dato il nome a quell’impianto per un certo lasso di tempo in epoca sovietica. Per loro quell’atmosfera è una novità: di fronte avranno i campioni delle ultime due edizioni, ma non hanno paura perché sanno di poter competere, di essere all’altezza. Non ha paura nemmeno l’uomo che guida quella marea rossa, che quell’atmosfera la conosce bene. L’ha vissuta cinque anni prima, nei sotterranei di Wembley. Quella volta non è andata bene, ma stavolta la storia sarà diversa. Deve esserlo.
Real Madrid e Liverpool stanno per affrontarsi nell’atto conclusivo della finale della Champions League 2017/2018. Da una parte gli spagnoli, vincitori degli ultimi due trofei. Dall’altra gli inglesi, che ritrovano la finale 11 anni dopo la disfatta di Atene. Mentre i giocatori si preparano negli spogliatoi, esorcizzano l’attesa con i loro riti, sgombrano la mente per cercare la giusta concentrazione, nella maestosa Kiev i tifosi si dirigono verso lo stadio. Quelli spagnoli si ricordano di quando, proprio lì, la propria Nazionale si è laureata campione d’Europa nel 2012: c’era anche Sergio Ramos. Gli inglesi forse sono meno tranquilli, ma sanno che l’est Europa gli porta bene e sognano di rivivere una notte folle come quella di Istanbul, lontana ormai 13 anni ma sempre vivida negli occhi e nel cuore di ogni tifoso dei Reds.
Tutto è quasi pronto. L’attesa sta per finire. Tra poco i giocatori usciranno dagli spogliatoi, i tifosi riempiranno i seggiolini dello stadio. Finalmente il match comincerà. Ma c’è ancora del tempo per guardarsi alle spalle, per rivivere il percorso che ha portato le due squadre a Kiev, a quella notte piena di paure e speranze.
I percorsi
Il percorso del Liverpool verso la finale di Kiev inizia addirittura dai playoff, dove la squadra di Klopp supera l’Hoffenheim vincendo 2-1 in Germania e 4-2 nel ritorno in casa. L’urna di Nyon poi accoppia i Reds con Siviglia, Maribor e Spartak Mosca. Il girone parte male, con gli inglesi che conquistano due punti pareggiando contro gli spagnoli e con i russi. Poi però la svolta, con i 7 gol rifilati al Maribor nella terza giornata. Un risultato impressionante, che i Reds replicano nell’ultima giornata, mettendo a segno altre 7 marcature, stavolta contro lo Spartak Mosca. In mezzo un altro successo con gli sloveni e il pirotecnico 3-3 a Siviglia. Con 12 punti il Liverpool passa il girone al primo posto.
Più tormentato il percorso del Real Madrid, impegnato nel gruppo H con Tottenham. Borussia Dortmund e l’agnello sacrificale Apoel Nicosia. Quella che prometteva di essere una sfida a tre si risolve però in un testa a testa tra Spurs e Merengues, con i tedeschi che raccolgono appena due punti, come i ciprioti. Il Real vince le doppie sfide con Borussia Dortmund e Apoel, ma contro il Tottenham raccoglie un solo punto: 1-1 al Bernabeu e una sonora sconfitta per 3-1 a White Hart Lane. La squadra di Zidane si qualifica agli ottavi, ma lo fa al secondo posto, esponendosi a un sorteggio molto pericoloso.
L’urna di Nyon mette infatti di fronte al Real il PSG, mentre il Liverpool pesca il più abbordabile Porto. Gli uomini di Klopp risolvono la pratica travolgendo i Dragoes all’andata, con un 5-0 fuori casa. Al ritorno basta uno scialbo 0-0. Gli spagnoli anche indirizzano subito la qualificazione, battendo 3-1 il PSG al Bernabeu, e vincono poi anche in Francia 1-2.
Ai quarti per il Liverpool c’è l’armata Manchester City, che viaggia verso la conquista del titolo in patria. Per il Real Madrid c’è la Juventus, nel remake della finale di un anno prima. L’andata sembra subito chiudere il discorso qualificazione per entrambe le squadre: il Liverpool vince 3-0 ad Anfield, il Real s’impone con lo stesso risultato a Torino, con quello che è probabilmente considerato il gol migliore nella carriera di Cristiano Ronaldo.
I match di ritorno sono però ben diversi: il Liverpool passa anche all’Etihad, vincendo 1-2. Il Real invece si fa rimontare dalla Juventus fino allo 0-3, poi un rigore, molto contestato, di Ronaldo all’ultimo secondo regala la semifinale ai Blancos. In semifinale il Real Madrid liquida il Bayern Monaco, vincendo 1-2 in Baviera e resistendo in casa sul risultato di 2-2. Il Liverpool invece elimina la Roma imponendosi 5-2 nell’andata ad Anfield, e perdendo 4-2 all’Olimpico in un match con troppi brividi per la squadra di Klopp.
Porto, Manchester City e Roma. Psg, Juventus e Bayern Monaco. Questi gli scalpi con cui le due squadre si presentano alla finalissima di Kiev, a 90 minuti – massimo 120 -, dal coronamento di quello strepitoso percorso.
La finale, Real Madrid-Liverpool
Il Liverpool ha dalla sua un percorso impressionante, con ben 40 gol segnati in 12 partite di Champions League. Può contare su un Salah semplicemente pazzesco, che in stagione ha messo a segno 44 reti in 51 presenze stagionali. Il Real ha eliminato tre delle squadre più forti della competizione e vuole alzare il trofeo per la terza volta consecutiva. Un’impresa sovrumana, riuscita nella storia solo all’Ajax di Cruijff, al Bayern Monaco di Gerd Muller e proprio al Real Madrid di Di Stefano (che ne vinse addirittura cinque). Battendo i Reds, i Blancos possono diventare l’unica squadra ad aver vinto la Champions per tre volte consecutive in due diverse occasioni.
I riflettori sono dunque puntati su Kiev, sulla sfida tra l’armata madridista e lo spettacolare Liverpool. Arriva finalmente la fatidica ora, il serbo Milorad Mazic fischia il calcio d’inizio e la sfida ha inizio. Il match scorre senza particolari sussulti nei suoi primi minuti, attorniato da una fitta ansia che rende rigidi i giocatori. Le due squadre si studiano, non affondano. A Kiev va in scena una lotta di nervi sul filo della tensione.
Al minuto 25’, proprio l’uomo che lì a Kiev ha già vinto, Sergio Ramos, si allaccia in mezzo al campo col pericolo numero uno tra gli avversari: Mohamed Salah. L’egiziano rimane a terra, si tocca la spalla e non si rialza. La paura inizia a serpeggiare tra i tifosi inglesi presenti all’Olimpijs’kij. Un cupo silenzio scende sullo stadio. Chi sta guardando la partita al pub posa la birra sul tavolino, aguzza la vista e cerca di vedere meglio le immagini lì sul televisore. I tifosi sul divano curvano in avanti la schiena, visibilmente preoccupati.
L’ansia per le condizioni di Salah domina il match, che intanto prosegue, con l’egiziano a bordocampo contornato dall’equipe di medici che cerca di capire le sue condizioni. Da cui ci si aspetta il responso positivo. E si teme la condanna. I giocatori del Liverpool riflettono lo smarrimento dei propri tifosi, Klopp urla per incitarli e intanto butta un occhio al medico che sta armeggiando con la spalla della sua stella. Dopo qualche minuto però, Salah si rialza, fa stretching con la spalla e alza il pollice in direzione di Klopp. Che può sciogliere i nervi in un sorriso liberatorio.
L’egiziano si avvicina a bordocampo, i tifosi allo stadio ricominciano a cantare, quelli al pub riprendono il proprio boccale e quelli a casa si riaccucciano sul divano. Arbitro e guardalinee si fanno un cenno: Salah può rientrare in campo.
Il primo tempo si conclude sullo 0-0. La fase di studio è stata seguita da quella di tensione, poi dall’attesa per il duplice fischio che mette pausa alle ostilità. I giocatori tornano in quegli spogliatoi dell’Olimpijs’kij. Salah saggia le condizioni della spalla, che risponde bene. Un quarto d’ora per riprendere le energie, riordinare la mente. Cosa sta facendo l’avversario? Cosa stiamo facendo noi? Come possiamo dare una svolta? Nemmeno il tempo di rispondere a queste domande che si deve tornare in campo.
Il secondo atto della sfida inizia. Lo studio del primo tempo è stato sufficiente, ora la gara sarà a chi riuscirà ad affondare per primo il colpo. Al 55’ il Liverpool si procura un angolo. Sulla battuta Lovren spizza di testa e la sfera arriva a Sadio Mané, che si rende conto di avere un’occasione ghiotta, probabilmente irripetibile. Si avventa sul pallone e lo spinge in rete. Una boato si alza dallo spicchio rosso dell’Olimpijs’kij. Il Liverpool è avanti 1-0.
I giocatori del Real Madrid si riposizionano a centrocampo, mettono in gioco il pallone e partono alla carica. Per 15 minuti buoni il Liverpool paga lo scotto di quella zampata di Mané, assorbe gli attacchi spagnoli e resiste. Poi colpisce, in contropiede, proprio con Salah, che s’invola verso la rete difesa da Keylor Navas e sigla il raddoppio del Liverpool.
La spalla di Salah regge bene anche l’urto dei compagni che per festeggiare gli salgono letteralmente sopra. La gioia, poi il ringraziamento, in ginocchio, perché Allah quella sera ci ha messo il suo zampino, ha messo una mano sulla spalla dell’egiziano e l’ha portato in trionfo. E Mohamed ringrazia, per la quarantacinquesima volta in stagione.
Il Real, sotto di due gol, non ha più la forza di reagire. Ci prova, ma poi lascia che il tempo scorra e ponga fine a quella notte deludente. I tifosi del Liverpool tentano di spingere in avanti le lancette dell’orologio al polso di Mazic, le sospingono con la voce. Arriva così il triplice fischio finale: dopo 13 anni, il Liverpool torna sul tetto d’Europa. La rincorsa del Real si ferma a due Champions consecutive. Klopp riscatta quella notte terribile di Wembley. Sergio Ramos, come il più cattivo dei villains fumettistici, viene punito per aver tentato di fare del male a Mohamed Salah. All’eroe di serata, che da vittima diventa carnefice dei Blancos.
Le conseguenze
Sono passati poco più di 6 mesi da quella notte di Kiev. Poche cose in realtà sono cambiate da allora: il Liverpool continua a mietere vittime in Inghilterra e in Europa, guidato dal suo formidabile tridente e da Loris Karius che, tra i pali, ha resistito allo stress di una finale di Champions League e ha trovato l’entusiasmo e la forza mentale per affermarsi come portiere titolare dei Reds.
Il Real dopo Kiev si è riorganizzato. Qualcuno parla di un patto tra Ronaldo e Zidane: bisogna tentare nuovamente l’ingresso nella storia. Il portoghese sembrava destinato a lasciare Madrid, ma un addio con una sconfitta non è nel suo stile. Se lascerà, vorrà farlo da vincitore. Già dal giorno dopo, dall’aereo in volo tra Kiev e Madrid, è partita la missione per la conquista della Champions League. E perché no, per la vittoria delle altre due edizioni successive. Per entrare finalmente nella storia.
Salah ha continuato a segnare. Dopo il Mondiale, non esaltante, col suo Egitto, ha ricominciato con la maglia dei Reds come aveva finito: segnando, segnando e segnando ancora. Nel mirino, dopo il trionfo europeo, c’è la vittoria della Premier, che manca addirittura dal 1990. Quando il campionato inglese nemmeno si chiamava ancora Premier League. Un’eternità, per un’istituzione calcistica come i Reds.
La strada per la conquista del titolo è lunga, anche se ben avviata. Il Liverpool di Klopp continua a vincere. Come detto Salah continua a segnare e il 3 dicembre 2018 viene insignito del premio come migliore giocatore del mondo. Senza maglia del Liverpool, ma in giacca e cravatta, l’egiziano tiene in mano quel Pallone d’Oro massiccio. E come sempre ringrazia. Come ha fatto il 26 maggio precedente. Come fa quasi ogni weekend sul terreno di Anfield. Come fa ogni giorno, perché sa di aver scritto la storia e di continuare a scriverla. E il merito è anche di Allah, che quella sera a Kiev gli ha messo una mano sulla spalla e l’ha fatto rimanere in campo. Cambiando per sempre la storia.