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Receba, o dell’importanza di coltivare un sogno

Il 23 novembre 1996 c’era la Premier League. Era un sabato e si giocava Southampton-Leeds United, che sembrava una partita di campionato come tante altre, ma nessuno sapeva sarebbe passata alla storia come la partita in cui sogno e realtà si fusero in una singola entità dalle fattezze umane. Ali Dia non era l’anticristo, ma poco ci mancava. Quantomeno, era la prova che per calcare un campo di calcio del campionato più seguito al mondo non serviva essere un calciatore. Sembra un paradosso, eppure non lo è, perché Ali Dia, subentrato all’infortunato Matthew Le Tissier nel corso del primo tempo, ha veramente giocato una partita di Premier League col Southampton senza avere un pedigree degno di quel palcoscenico. Nel suo passato tante squadre amatoriali e poi, una trovata geniale, di quelle che avrebbero anche potuto costare la panchina all’allora allenatore dei Saints, Graeme Souness.

La storia è questa, e se non mi credete va benissimo così, perché è più che legittimo continuare a strabuzzare gli occhi a distanza di oltre venticinque anni: Ali Dia si spaccia per il cugino di George Weah, vincitore del Pallone d’Oro, e chiede a questi di telefonare al tecnico del Southampton per farsi raccomandare. Ovviamente, questa pièce teatrale si svolge diversamente, perché Ali Dia non ha legami con Weah, e soprattutto a telefonare a Souness non è il fuoriclasse liberiano ma un compagno d’università di Dia. Per fortuna sua, Dia, in quel momento, si trova nella stessa dimensione spaziotemporale in cui Souness abbocca come un pesce al diversivo da lui ideato, e così finisce per venire ingaggiato dal Southampton. Come se non fosse abbastanza la sua fortuna, passa dal dover esordire con la squadra riserve al farlo con la prima squadra. Così si verifica quello che chiameremo sarcasticamente “Southampton-Leeds incident”: Dia, appunto, scende in campo e gioca per cinquantatre minuti davanti agli occhi del mondo intero, lasciando senza parole nel senso più negativo possibile compagni e allenatore. Le Tissier dirà che “sembrava Bambi sul ghiaccio“, criticando i movimenti dinoccolati e scoordinati di Dia sul prato del The Dell (il vecchio stadio dei Saints) quel pomeriggio. Chiaramente, quella sarà la prima e ultima partita di Ali Dia per il club inglese, nonchè l’ultima in Premier League di tutta la sua vita. Basta e avanza, però, per poter affermare ancora una volta che tutto è possibile, per davvero.

Iran Ferreira, il ragazzo coi guanti da muratore

Forse Iran Ferreira non sa di questo evento, ma sarebbe bene che qualcuno glielo raccontasse, per alimentare ulteriormente la sua fiducia, la sua voglia di giocare una partita di calcio ufficiale pur senza essere un calciatore. Ci deve credere già tanto Ferreira, che noi tutti abbiamo visto almeno una volta sui vari social nell’ultimo mese. D’altronde, è impossibile scansare la sua inesorabile ascesa. Per questo motivo, mi sembra logico immaginare che un domani la grande occasione possa arrivare pure per lui, che di certo si sta dando molto da fare per farsi notare. E ci sta riuscendo, a giudicare dai numeri impressionanti che registra su TikTok e Instagram, dove conta oltre venti milioni di follower in totale. Ci sono calciatori di Serie A che, anche se messi insieme, non arrivano al numero totale di interazioni del ragazzo coi guanti da muratore (“Luva de pedreiro“, un soprannome che si porterà dietro per sempre).

A rendere un fenomeno mediatico Iran ci ha pensato la sua autenticità, una caratteristica sempre apprezzata e ricercata sui social media. La prima volta che l’ho visto su TikTok, sono rimasto impressionato da quanto fosse surreale vederlo calciare un pallone evidentemente più leggero del solito, infilarlo sotto al sette in un campetto spelacchiato che sembra piantato lì per caso, dimenticato dal resto del mondo. Iran Ferreira, che a vederlo sembra sottopeso, tira dei bolidi che pescano sempre l’incrocio dei pali, con una pulizia tecnica nel suo calcio considerevole – tipicamente sudamericana, o meglio: figlia del calcio di strada. Poi esulta in maniera liberatoria, urlando tutta la sua felicità come se avesse appena deciso una finale di Champions League. Si toglie la maglietta, la lancia in aria, la bacia, mostra i “muscoli”, ringrazia Dio e poi si lascia andare con l’iconico “Sium” di qualcuno che conosciamo molto bene, e che naturalmente deve essere uno dei suoi idoli – è sensazionale come i più piccoli cerchino di copiare in tutto e per tutto le movenze dei loro campioni del cuore, dalle giocate alle esultanze stesse, fantasticando di essere loro almeno per pochi attimi. Ogni suo video è così: gli unici elementi che cambiano sono le maglie che indossa, talvolta improvvisate (tipo questa della Roma, mai presentata ufficialmente), il colore dei palloni che calcia, l’angolo di porta che cerca di colpire.

L’immediatezza dei suoi filmati è ciò che li rende veramente efficaci: sono (quasi) tutti uguali, sono tutti brevi, sono tutti “da vedere”, perché ogni volta ti chiedi cosa farà, dove insaccherà la palla, quanto forte griderà il suo già leggendario “RECEBA“, che si potrebbe tradurre con “prendi questo“. Inizialmente, si pensava che urlasse “EUSEBA“, e gli utenti italiani che guardavano i suoi video (con mia sorpresa, sempre di più di TikTok in TikTok) si chiedevano ironicamente chi fosse questo Seba. Poi, con la fama che aumentava, sono arrivati i traduttori. Questo profilo traduce in inglese ciò che dice Iran nei suoi video, ed è utile per approfondire ulteriormente cosa c’è di tanto affascinante in un ragazzo come tanti, che fa qualcosa di veramente comune – tutti giochiamo a calcio ed esultiamo come i professionisti – su un social dove chi la fa più grossa, chi rompe la barriera della normalità, di conseguenza è anche chi ha più followers e visualizzazioni ai video. Iran Ferreira, invece, fa milioni di like semplicemente rimanendo sé stesso, facendo le stesse cose che certamente faceva già mesi e anni fa, cioè divertirsi, ma facendosi riprendere nel mentre. La spontaneità di tutto questo è palesata dalla qualità media delle immagini (mi rifiuto di credere che i video non siano realizzati con un iPhone), dalle sue battute – è solito omaggiare la sua patria e affermare di essere il migliore al mondo, sempre “graças a Deus Pai” – e dalla naturalezza del tutto. Iran Ferreira esiste davvero, e che ci crediate o no, è proprio come noi, ed è questo che lo ha reso virale in Rete, permettendogli negli ultimi giorni di conoscere alcuni dei suoi calciatori preferiti – Neymar o Ronaldinho – e di visitare lo stadio del Vasco da Gama e conoscere la squadra come fosse un eroe tornato a casa dopo tempo, oltre a essere protagonista di alcuni video pubblicati sulle pagine di svariate squadre più o meno famose, dal Catanzaro al Bayern Monaco e il Barcellona, che in Iran hanno chiaramente visto la possibilità di aumentare l’engagement sui loro profili social. Il Vasco, squadra del cuore di Ferreira, con la visita offerta al giovane fenomeno del web ha superato il milione di visite su TikTok la scorsa settimana, spazzando via la concorrenza locale.

Coltivare un sogno, la storia di Receba

Quanti di voi, da piccoli, sognavano di diventare calciatori? E quanti altri non hanno ancora smesso? Iran Ferreira è fra questi, è un ragazzo con un sogno, con una fantasia da fanciullo. Gli basta un pallone, uno spazio aperto e una maglia di uno dei suoi calciatori preferiti – e ne ha tantissime, da quella del Tottenham di Lucas Moura a quella di Renan Lodi dell’Atlético Madrid, passando ovviamente per quella del Paris Saint-Germain di Neymar -, la forma non ha importanza. Non è necessario che il campo sia in erba, che i palloni siano del tutto gonfi, che le divise non siano dei falsi, perché a tutto questo la soluzione è la fantasia, la capacità di immaginarsi compagno di squadra di Neymar e Cristiano Ronaldo – sebbene i due assi di PSG e Manchester United difficilmente riusciranno ad avere modo di dividere lo spogliatoio da qui alla fine delle loro carriere – ed esultare con loro. 

In un mondo sempre più ostile come quello del calcio, dove è sempre più difficile farsi strada partendo dalla strada, Iran Ferreira non ci sta a conformarsi. Non vuole togliersi i guanti da muratore, e probabilmente nemmeno se lo può permettere, perché è evidente come le sue origini siano molto umili. Da quanto si apprende, è originario dello stato di Bahia, da dove sono emersi campioni come Dani Alves e Bebeto. Iran Ferreira forse non avrà il loro stesso talento, ma ha la loro stessa fame, il loro stesso desiderio, e il fato ha voluto che il mondo si accorgesse di lui, nonostante il suo buffo modo di porsi davanti all’obiettivo del cellulare che lo riprende, malgrado la cornice dei suoi video sia un teatro spoglio e mal tenuto, i suoi vestiti non all’altezza dell’attenzione di milioni di persone. Tutto è superfluo di fronte al bisogno di un giovane ragazzo brasiliano di tirare calci a un pallone e divertirsi. E che c’è di più puro di voler giocare a calcio accontentandosi degli unici mezzi disponibili per farlo?

Autore

Classe 2001. Studio Scienze della Comunicazione all'Università del Salento. Sono innamorato di tutti gli enganche del mondo.

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