Una retorica neanche troppo velata, quella che si stringe attorno al cordoglio di una persona scomparsa, ricoprendola indistintamente di elogi. Succede anche nel calcio, spesso. No, non è il palcoscenico né il tempo adatto per farlo un’altra volta: per ricordare José Antonio Reyes ci limitiamo ad un suo momento da protagonista, quando ancora Siviglia ed i trionfi in Europa League erano lontani. Un momento mascherato nella fiumana di frasi dedicategli, ma che ha segnato la sua carriera in maniera indelebile.
Dicevamo, niente Siviglia e niente Europa League, la Competizione con la C maiuscola nella parte della città andalusa che si tinge di biancorosso. Togliete il secondo dei colori elencati nella combinazione e spostatevi dalla regione che si affaccia sia sul Mediterraneo che sull’Atlantico, spuntando sul mappamondo la capitale, Madrid. Coordinate: 40°27’5.99″ N, -3°41’10.19″ W. Due parole ed un’arena leggendaria: Santiago Bernabeu.
L’occasione è una di quelle speciali, ma al contempo caratterizza un out-out da brividi per gli 80.354 che riempiono gli spalti della casa delle Merengues: da un lato, l’opportunità di conquistare la 30ª Liga della propria storia, mentre dall’altro l’incubo di consegnarla nelle mani degli acerrimi rivali catalani.
Timore da Tarragona
Entrambe le squadre si presentano all’ultima giornata di campionato con 73 punti. In testa alla classifica, però, ci sono i Blancos di Fabio Capello, in virtù degli scontri diretti favorevoli con il Barcellona: 2-0 a Madrid ed un pirotecnico 3-3 al Camp Nou. Il sipario si chiude con la capolista che ospita il Mallorca tra le mura casalinghe ed i blaugrana di Frank Rijkaard al Nou Estadi Municipal di Tarragona, contro il fanalino di coda Gimnàstic. Insomma, una trasferta agevole per gli inseguitori ed un’altrettanto decisamente non complicata gara interna per la capolista; la palla, però, è rotonda.
Un uno-due micidiale, a distanza di pochi minuti. Negli stadi diametralmente opposti del massimo campionato iberico 2006/2007, l’arena dei giganti ed il piccolo stadio in provincia. Sono le 21:17 quando il Mallorca si porta in vantaggio e le 21:20 quando il Barcellona sigla il momentaneo 0-1 a Tarragona, grazie ad un insospettabile tocco sotto porta di Carles Puyol, spintosi dalle retrovie per cercare un gol che sappia di trionfo.
Il Bernabeu in festa si ammutolisce: si sentono solo i festeggiamenti degli isolani, in estasi dopo il destro di Varela che trafigge Casillas. La classifica recita “Real Madrid 73, FC Barcelona 76”, ma il risultato a Madrid non cambia anche dopo l’intervallo; a Tarragona, invece, al 51′, i catalani conducono per 0-4: una doppietta dell’astro nascente Lionel Messi (il primo un sinistro a giro imparabile) ed una rete di Ronaldinho (punizione su cui l’estremo difensore dei padroni di casa ha più di qualche colpa) spingono il popolo blaugrana alla gloria, epilogo da mani nei capelli per i rivali a Madrid.
Capello le prova tutte: il giovanissimo Gonzalo Higuain, arrivato a dicembre dal River Plate, prende il posto di Ruud van Nistelrooy, costretto a lasciare il campo per infortunio al 33′, mentre all’inizio della ripresa Emerson lascia spazio a Guti, con un Real Madrid a vera e propria trazione offensiva. Le cose, però, non si sbloccano. Persino David Beckham, alla sua ultima apparizione con i Galacticos prima dell’approdo in terra statunitense ai Los Angeles Galaxy, non ingrana: il mister italiano lo toglie ed inserisce José Antonio Reyes, capace finora di collezionare 4 gol e 2 assist in stagione.
È il 66′, quando il britannico cammina per l’ultima volta sul prato del Santiago Bernabeu, coccolato da una miriade di applausi dagli spalti e consapevole di non aver dato il massimo nella gara decisiva per il campionato. Tutto si risolverà, però: don’t worry, Spice Boy.
Reyes, hombre de leyenda
Passano appena due minuti dall’ingresso in campo dell’ala destra, reduce da due stagioni in Inghilterra con il celeberrimo Arsenal degli Invincibles, con cui ha vinto una Premier League, una FA Cup ed una Community Shield. Casillas rinvia cercando Raúl, faro offensivo dei suoi, il quale serve Robinho sulla fascia sinistra. Il brasiliano cerca di superare Héctor Berenguel, ma non ci riesce.
Serve il giovane Higuain, che invece che completare il dai-e-vai prende in controtempo con il piede destro la retroguardia dei palmesani, crossando al centro con il sinistro. Il subentrato è già pronto con il copione della favola in extremis ed appoggia di sinistro alle spalle di Moyá (futuro portiere dell’Atletico Madrid): è 1-1, ma non basta. Per ora.
La festa del Bernabeu si limita a qualche sorriso ed abbraccio, poiché al momento sarebbe medaglia d’oro agli acerrimi rivali sul Mediterraneo, a +2 sulla Corona della capitale. Passano i minuti, ma il Mallorca difende strenuamente il risultato, come se quel punto conquistato sul manto erboso più prestigioso di Spagna (e del mondo, forse) fosse vitale ai fini di una qualificazione europea o di una permanenza nell’Olimpo del calcio spagnolo. No, niente di tutto ciò, eppure il risultato continua a rimanere fisso sull’1-1.
80′. Un lampo di Robinho impegna l’estremo difensore avversario, che manda in corner un temibile sinistro dai 25 metri; una battuta dalla bandierina millimetrica fa spiovere il pallone in area di rigore, dove Lassana Diarra stacca come mai in carriera. Le radioline sintonizzate sul match di Tarragona si staccano, perché ormai non conta più seguire l’andamento di una schiacciante vittoria blaugrana che sapeva fin troppo di beffa: è 2-1, ed il meglio deve ancora (paradossalmente) venire.
Sì, perché ricordate la sceneggiatura dell’eroe dell’ultimo minuto? Il destino deve ancora girare la scena chiave, che arriva puntualmente tre minuti più tardi, quando curiosamente anche il Tarragona sigla il gol della bandiera contro i marziani del Barcellona.
Il Real amministra il possesso dalle retrovie, con il pallone che arriva velocemente tra i piedi di Higuain. L’ex River avanza a grandi falcate verso l’area avversaria e serve dal lato opposto Robinho, che stoppa la sfera in attesa del da farsi, prima di servire nuovamente l’argentino con il numero 20; una carambola fa pervenire il pallone a Reyes. Sinistro all’angolino, doppietta, estasi madridista. È 3-1, il Real ha vinto la 30ª Liga della sua leggendaria storia.
Un gol di Gianluca Zambrotta (sì, proprio lui) siglerà l’1-5 definitivo del Barcellona sul campo arrovellato dell’ultima in classifica, ma non conta più; i catalani potrebbero segnare anche una trentina di gol, ma non cambierebbe l’esito del campionato: il Real è campione, e lo è anche e soprattutto grazie all’allora 23enne cresciuto e maturato a Siviglia, dove tornerà direttamente dalla porta dei memorabili.
En paz
La Liga del 2007 è stato solo il primo di alcuni trofei conquistati con compagini iberiche, vista la stagione di successi in campo continentale inaugurata prima a Madrid (sponda Atletico) e poi, soprattutto, a Siviglia: 1 Supercoppa Europea e 4 (!) Europa League, un record condiviso solamente con Beto, Vitolo e Gameiro, anch’essi vincitori in biancorosso. Tante vittorie, però, non bastano a colmare il vuoto di una sconfitta, specialmente se avvenuta al di fuori del mondo calcistico.
Tutti ben sanno del tragico epilogo della carriera e della vita di Reyes, spezzata in un incidente stradale nel giorno della finale di Champions League 2019. Il modo migliore per omaggiarlo? Dedicargli le vittorie conquistate con la fatica e con il sudore, come fatto dal Siviglia nell’ultima finale di Europa League, quello che è sempre stato il suo palcoscenico.
Ricordarlo in pace, come quella che si gode dai migliori posti in Paradiso, a guardare dall’alto un altro pallone calciato dalla distanza, o una sostituzione efficace, un po’ come avvenuto a lui stesso nel giugno del 2007. Descansa en paz, José.