La stagione 2003/2004 fu una stagione molto particolare che si chiuse con una serie di risultati alquanto clamorosi: il Porto che vince la Champions League, la Grecia che vince l’Europeo, il Valencia che vince la Liga sfruttando il suicidio del Real Madrid dei Galacticos, l’Arsenal che vince la Premier da imbattuta. In Italia, invece, è l’annata in cui l’albero di Natale di Carlo Ancelotti riporta lo scudetto nella Milano rossonera che mancava dall’impresa di Zaccheroni nel 1999.
Il trionfo di quel Milan avvenne ai danni di due squadre che negli anni precedenti si erano giocate il titolo per più stagioni, ossia la Roma di Fabio Capello e la Juventus di Marcello Lippi. La sera dell’8 febbraio 2004 giallorossi e bianconeri si sfidano proprio per designare chi tra le due avrebbe potuto cercare di inseguire la formazione dell’attuale tecnico del Real Madrid.
Alla fine è stata una partita entrata nella storia per la clamorosa lezione impartita dalla Roma alla squadra bianconera, oltretutto perché ricca di fatti che ancora oggi ci accompagnano nei racconti calcistici e nella definizione degli sfottò tra avversari. Ma fu soprattutto la serata in cui la coppia formata da Francesco Totti ed Antonio Cassano si espresse al massimo del proprio livello.
Che squadre erano Roma e Juventus
Gli schieramenti in campo delle due squadre erano abbastanza indicativi del modo di fare calcio di Fabio Capello e Marcello Lippi. Da una parte l’ex allenatore di Milan e Real Madrid che ha sempre fatto della solidità della squadra un proprio mantra, dall’altra il tecnico viareggino che provava sempre ad imporre il proprio gioco ed avere in mano il controllo della partita, non è un caso che le migliori prestazioni (soprattutto in trasferta) della formazione bianconera in Champions League siano arrivate sotto la sua guida.
Così la Roma si schierava con un 4-4-2 formato da un centrocampo particolarmente robusto, vista la contemporanea presenza di Emerson, Dacourt e Lima, giocatori in grado di coprire tanto campo con il loro dinamismo e atletismo. Dall’altra parte la Juventus si schierava con un 4-2-3-1 che poteva essere anche un 4-3-1-2, questo in base a come si vogliono inserire nel meccanismo le posizioni di Nedved e Di Vaio, con il giocatore ceco libero di muoversi dove ritenesse più opportuno, mentre all’attaccante arrivato dal Parma toccava attaccare la profondità, sfruttando le sponde o l’attenzione della difesa romanista rivolta verso il suo compagno di reparto David Trezeguet.
Le carriere inverse di Mancini e Zambrotta
Oggi si parla tanto di calcio fluido, rotazioni posizionali e calcio di posizione: la rivoluzione cruyffiana/guardiolista era ancora lungi dal fare presa in Italia in quel tempo, tuttavia possiamo notare come, in base alle caratteristiche dei giocatori, alcune asimmetrie negli schieramenti erano presenti e, anch’esse, denotavano il modo di intendere il calcio dei due allenatori.
La spia di questa differenza la possiamo vedere nella posizione in campo di due giocatori nello specifico: Amantino Mancini da una parte e Gianluca Zambrotta dall’altra.
Oggi i terzini rappresentano la cartina di tornasole dello schieramento tattico di una squadra ed è loro richiesta una serie di compiti assai assortita, che partono dalla regia in fase di costruzione, alle sovrapposizioni in attacco per finire con le famigerate diagonali difensive. Mancini e Zambrotta hanno vissuto in quelle stagioni due parabole completamente opposte, rappresentando a quel tempo le armi di Capello e Lippi per sistemare lo schieramento delle due squadre.
Mancini fu la grande sorpresa di quella stagione. Tornato a Trigoria dopo un anonimo prestito a Venezia, il brasiliano era un terzino perfettamente aderente agli standard dell’epoca in Brasile: grande spinta, fascia destra arata, ma grosse difficoltà quando c’era da difendere.
La Roma doveva coprire l’eredità lasciata da un omologo che ha fatto la storia di quel ruolo, ossia Cafù (andato al Milan nel frattempo), così la scelta di Capello è stata quella di sfruttare le qualità offensive di Mancini esonerandolo dai compiti difensivi, lasciando a Zebina il compito di fornire copertura in quella zona di campo. In questo modo il numero 30 di quella Roma doveva occuparsi solamente delle sortite del suo dirimpettaio: Gianluca Zambrotta.
La parabola di Zambrotta è stata completamente opposta a quella del suo avversario diretto quella sera. Il Bari lo acquistò nell’estate del 1997 dal Como in qualità di attaccante; alla sua seconda stagione in biancorosso Eugenio Fascetti decise di iniziare a sfruttare le sue capacità nei duelli individuali e quelle aerobiche spostandolo sull’esterno del campo, una scelta che gli valse la prima convocazione in Nazionale ed il passaggio alla Juventus.
Quando ormai sembrava consolidarsi una carriera da ala arriva l’evento che ne cambia nuovamente la carriera fino a farlo diventare campione del mondo. Nell’estate del 2002 alla Juventus arriva Mauro Camoranesi dal Verona, un’ala molto offensiva di cui Marcello Lippi si infatua dopo pochi allenamenti e cui decide di affidare fascia destra. Con la contemporanea presenza di Nedved in rosa, per Zambrotta il rischio è quello di perdere la titolarità, ma ecco che Lippi trova la grande intuizione aprendo Thuram in posizione di terzino destro (posizione già occupata nella nazionale francese) e spostando il giocatore comasco sulla sinistra dove avrebbe continuato ad avere licenza di spingere, lasciando maggiore libertà di movimento allo stesso Nedved.
Mancini e Zambrotta rappresentavano le asimmetrie degli schieramenti di Roma e Juventus in quella partita ed anche in quella stagione, erano gli uomini designati a dare ampiezza al gioco delle due squadre, ma allo stesso tempo erano rappresentazione del modo di vedere il calcio dei due allenatori: Capello ha trasformato un terzino in un’ala, Lippi ha trasformato un’ala in un terzino. Le due scelte hanno avuto entrambe successo dal punto di vista della carriera dei calciatori, mentre quella sera fu Mancini (e Capello) a vincere il duello.
Lo show di Totti e Cassano
Al pari del discorso sui terzini, il falso nueve oggi è diventata una pratica molto comune, quasi mainstream oserei dire, ma si tratta di un concetto calcistico molto recente esploso con il modello spagnolo negli anni ’10 di questo secolo, per cui la coppia d’attacco Totti-Cassano di quella Roma 2003-2004 era davvero un gigantesco elefante nella cristalleria tattica della serie A.
La scelta di avere come coppia d’attacco Totti-Cassano non è propriamente di prima mano. Capello si è trovato a fronteggiare da una parte una serie di lunghi infortuni di Vincenzo Montella e dall’altra lo scarso rendimento del norvegese John Carew, chiamato un po’ inopinatamente a raccogliere un’eredità scomodissima come quella di Gabriel Omar Batistuta. Per questo motivo, questa mossa non è stato altro che un piano B atto a coprire un’emergenza offensiva in cui la squadra giallorossa si è trovata in quella stagione, un po’ come accadrà qualche anno dopo a Luciano Spalletti quando farà diventare Francesco Totti un “vero” nove.
Roma-Juventus di 18 anni fa fu molto probabilmente la più grande esecuzione in tandem del talento di Porta Metronia e quello di Bari Vecchia. Oltre alle rispettive doppiette che hanno delineato lo score finale di questa partita, Totti e Cassano mostrarono un’intesa e dei colpi quasi telepatici che furono in grado di far ammattire la retroguardia bianconera mettendo a nudo i limiti della fase difensiva della Juventus, particolarmente visibili non solo quella sera ma in tutta quella stagione, come ben si evince dall’esempio dove Totti, Cassano, Mancini e Dacourt possono giocare il pallone in una voragine tra centrocampo e difesa bianconera.
La centralità dei due fuoriclasse giallorossi nell’economia del sistema di gioco di Capello era quello di massimizzare il pericolo attaccando con al massimo quattro uomini (come in questo esempio e quello precedente). Addirittura, una volta che il pallone giunge tra centrocampo e difesa avversaria, Totti e Cassano avevano priorità totale su di esso, per cui vediamo addirittura Lima scansarsi dal pallone nel momento in cui il capitano si appresta a giocarlo. Come si può ben intendere siamo su livelli ben lontani dall’ordine geometrico e l’interscambiabilità di ruoli e compiti del calcio attuale, qui la rifinitura e la finalizzazione è demandata a solo due giocatori che hanno precedenza su tutto.
Ed eccoci al punto forte: la telepatia tra i due, ben riconoscibile ed esemplificabile tramite lo scambio che porterà al rigore del 2-0 che, assieme alla successiva espulsione di Montero, indirizzerà il match in maniera definitiva. Dalla rimessa di Panucci, Totti e Cassano sono soli contro quattro giocatori della Juventus, il loro punto di forza sta nel giocare sempre molto vicini l’uno all’altro, come uniti da un filo. Il barese appoggia di testa dalla rimessa, il capitano giallorosso di prima intenzione gliela restituisce alle spalle di una difesa della Juve posizionata malissimo anche perché questa combinazione accade nel giro di due secondi, troppo pochi per poter riorganizzare il posizionamento da rimessa laterale.
Nel corso della partita e della stagione, Totti e Cassano si renderanno continuamente protagonisti di queste combinazioni strette in grado di aprire spazi che un normale occhio non sarebbe in grado di vedere. In quei 90 minuti Francesco Totti ed Antonio Cassano ci hanno spiegato cosa sia il genio.
Cosa ha lasciato Roma-Juventus 4-0
Per molti quel Roma-Juventus oggi è un ricordo forte non tanto per i rapporti di forza esistenti in quella stagione tra la formazione giallorossa e quella bianconera, quanto per la bandierina rotta da Cassano in occasione del goal del 4-0 (con ammonizione ed annessa predica di Collina) e, soprattutto, per il famoso gesto di Francesco Totti che fa il segno del 4 a Tudor prima di uscire dal campo.
In realtà quella partita ci ha mostrato come il calcio italiano demandava la fase offensiva completamente alle qualità dei propri singoli. Il fatto che Totti e Cassano siano stati in grado da soli di mandare in tilt un’intera retroguardia giustifica le scelte dei principali allenatori dell’epoca di organizzare prevalentemente la fase difensiva demandando alle qualità individuali degli attaccanti la fase offensiva.
Non è un caso che al termine di quella stagione il secondo ciclo di Marcello Lippi alla Juventus terminò, quella squadra non aveva più organizzazione difensiva e così la scelta del club fu proprio quella di chiamare in panchina Fabio Capello, che traslò quel centrocampo solido da Roma a Torino facendo tornare la Juventus ad essere una macchina compatta ed in grado di sprigionare tanti cavalli.
Di Totti e Cassano, invece, oggi si parla solo in relazione al loro rapporto di amicizia di quegli anni a Roma. Anche le ultime narrazioni cinematografiche di cui l’ex capitano della Roma si è reso protagonista hanno rivangato tutto ciò, facendo un gran torto alle nuove generazioni che meriterebbero di rivedere le immagini di quell’intesa telepatica tra i due principali talenti italiani degli ultimi 30 anni dopo Roberto Baggio.