C’è stato un momento in cui avete detto “basta, Schick non diventerà forte come pensavo” ? Personalmente c’è stato eccome. Lo ricordo bene, quel momento. Nella stagione 2018-2019 precisamente. Quando durante la rincorsa Champions League, nonostante il cambio allenatore – e quindi di organizzazione offensiva – della Roma, da Di Francesco a Ranieri, la stagione è rimasta deludente. Anzi, fallimentare.
Eppure, ognuno di noi ha bisogno del suo tempo. Di incontrare le persone, in questo caso gli allenatori, giusti, per capire come potersi esprimere. Il tempo di Schick, gli incontri sul suo cammino, le vicissitudini non erano state abbastanza per metterlo a suo agio. Per far sì che quel talento grezzo, quell’innata capacità di toccare il pallone in contro-tempo mandando tutta una difesa al bar, potessero diventare potenza pura. L’efficienza che incontra il talento. La capacità di incidere sui risultati grazie ad esso.
Schick vuole la comfort zone
Le due stagioni alla Roma, post-esplosione alla Sampdoria, sembravano dirci che l’attaccante ceco faticasse molto in sistemi lontani dalla sua comfort-zone tattica. Nella squadra genovese, allenata da Marco Giampaolo, Schick giocava stabilmente in un sistema a due punte, molto spesso si trovava a dividere lo spazio offensivo con Fabio Quagliarella. Il calciatore campano è una prima punta molto atipica, anche se con l’avanzare dell’età ha cambiato molto il suo modo di giocare, ha sempre avuto un’interpretazione estremamente cinetica del ruolo. Grazie a queste caratteristiche del suo compagno di reparto e al modo di giocare associativo dell’ex allenatore del Milan, Schick alla prima esperienza in Italia, ad appena 20 anni sfoderò una stagione da undici gol (tutti su azione) e quattro assist.
V’è di più. Perché la fattura di alcuni gol fu estremamente pregevole, quasi accecante. Il più celebre, perché richiama alla memoria quello ancora più famoso di Dennis Bergkamp, è senza dubbio quello contro il Crotone.
Quando l’anno seguente si trovò in un sistema profondamente diverso come la Roma di Eusebio di Francesco le cose cambiarono molto. Nel sistema del tecnico giallorosso, Schick era un pesce fuor d’acqua. Non poteva giocare al posto di un totem come Edin Dzeko sia per motivi ambientali che più squisitamente tecnici. Ancor meno, poteva essere un’ala del gioco di Di Francesco; in quel tipo di sistema, l’esterno offensivo è deputato all’occupazione del mezzo spazio, con compiti di grandissima regia. Non a caso, nell’esperienza precedente a quella capitolina, Di Francesco aveva sfruttato al massimo Domenico Berardi per quello slot. Ma Schick ha un’altra inclinazione, rispetto al talento calabrese. È più punta, ha meno visione di gioco periferica.
Sfumato l’amore con il tecnico abruzzese, nonostante la stagione trionfale giallorossa, chiusa con una semifinale di Champions League, per Schick non arrivarono tempi migliori. L’anno seguente ancora a Roma, iniziato con Di Francesco e terminato con Claudio Ranieri la musica non cambiò: pochissimi gol, tanti equivoci tattici, un intristimento generale che anche quando il sistema cambiò non gli consentì di incidere in alcun modo sulla stagione giallorossa. Era tempo di cambiare aria.
La fondamentale esperienza con Nagelsmann
L’aria da cambiare è stata come un tornado per il ceco. Da Roma e Claudio Ranieri, una città eterna, una squadra con una storia lunga poco meno di un secolo e un allenatore agli sgoccioli della carriera al RedBull Lipsia e Julian Nagelsmann. L’allenatore tedesco è stato negli ultimi tre anni senza dubbio il massimo esponente della nuova generazione del sistemismo. Squadre che esaltano il singolo grazie all’estrema funzionalità che le caratteristiche di questo hanno nel sistema. Così grazie all’affiatamento tecnico con Timo Werner e in generale, ai compiti che il sistema prevedeva per lui, Schick è (ri)diventato un terminale offensivo molto più concreto e in grado di fare gol in molteplici situazioni.
Lui stesso parlando del suo rapporto con il tecnico tedesco ha ripetuto più volte quanto sia stato importante il loro incontro, per aggiungere nuove giocate al suo set. Non solo le classiche giocate che tutti ricordiamo alla Sampdoria, di forte propensione associativa. Ma anche una nuova tensione verticale. Grazie a queste nuove implicazioni tattiche (ma anche motivazionali) Schick da super-sub, nella stagione 2019-2020, realizza dieci gol e due assist. Nonostante le dolcissime parole che Julian Nagelsmann spende per lui, parlando di “calciatore dei suoi sogni“, non basterà per convincere la dirigenza RedBull a riscattarlo.
Numeri che però hanno convinto, proprio nell’estate 2020 il Bayer Leverkusen a investire su di lui 25 milioni di euro, versati nelle casse della Roma. In particolare a credere in lui è stato Rudi Völler, che, appena dal primo momento in cui lo ha ingaggiato con le Aspirine, ne ha sempre tessuto le lodi, parlando di un attaccante di livello internazionale che aveva fallito a Roma solo perché giocava fuori ruolo. A meno di due anni da queste dichiarazioni, si può notare come i miglioramenti dell’attaccante ex Sampdoria hanno probabilmente abbagliato anche il direttore tecnico che così tanto credeva in lui.
Contro Lewandowski, Haaland e Cristiano Ronaldo
Ad Euro 2020 (diventato 2021 per i motivi purtroppo ben noti) è stato impossibile non accorgersi di Schick. Non solo perché è arrivato a pari merito nella classifica marcatori con Cristiano Ronaldo, ma perché ha anche segnato il gol più bello della manifestazione, nonché uno dei candidati al Puskas Awards. Un gol che però ci dice poco sulla nuova forma assunta in Germania. Perché un gol così bello, geniale, quasi puro istinto ce lo aspettavamo anche prima. Ce lo aspettavamo alla Sampdoria e i tifosi della Roma se ne aspettavano qualcuno anche sulle sponde del Tevere.
Ma lo Schick di ora invece è tanto altro di più. Perché se nella classifica marcatori della Bundesliga riesci ad essere sotto solo al Lewandowski versione 2022 e ad essere sopra ad un alieno del gol come Haaland, vuol dire che a quel genio, a quell’istinto hai finalmente aggiunto l’efficienza, il killer-instict necessario. Il Bayer Leverkusen 2021-2022 è una squadra nata dalle ceneri di un (quasi) fallimento. L’annata scorsa infatti, dopo l’esonero di Bosz, si pensava che per tornare a dire qualcosa in campionato, giocandosi i piazzamenti importanti ci potesse volere del tempo. L’arrivo di Gerardo Seoane invece ha dato alle Aspirine un nuovo abito, quello del 4-2-3-1 in cui Florian Wirtz è il centro di gravità (e creatività) permanente, Schick è il più spietato dei sicari.
La squadra plasmata dal tecnico svizzero è una squadra estremamente cinetica, che quindi si trova molto a suo agio in spazi da percorrere rapidamente. Ci tiene ad allungare il campo e attacca in spazi così ampi, dove un attaccante dinamico come il ceco va a nozze. Schick ha imparato ad usare i suoi 191 centimetri per essere un solido riferimento, senza tralasciare la bravura nel farsi trovare pronto quando tutti sembrano essersi dimenticati di lui. Infine la diversificazione della finalizzazione. Nella stagione in corsa abbiamo gol di testa tagliando sul primo palo, gol segnati da posizioni defilata con tanti uomini davanti, gol alla Ibra in cui tiene dietro il difensore che non riesce a spostarlo di un millimetro e tira una staffilata sul palo interno.
📈📊Come stanno performando gli attaccanti nei Top 5 campionati europei?
Non-penalty xG per 90' e under/over performance.
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Di seguito qualche considerazione, ma per i più curiosi, i grafici interattivi sono disponibili qui:https://t.co/1QLBHxJVRMhttps://t.co/1QLBHxJVRM pic.twitter.com/voLDQxvrq7— Nicola Santolini (@NicSantolini) March 7, 2022
Nonostante come ci mostri il grafico ci sia dell’overperfomance negli straordinari numeri di Schick, c’è anche tanto della sua crescita. Di quanto la Bundesliga lo abbia portato ad essere un attaccante completo e moderno, in grado di stare nelle classifiche marcatori con calciatori o già infinitamente più grandi come il polacco e il portoghese, o altri designati per essere i prossimi dominatori del mondo.