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Non succede a tutti i diciassettenni del mondo di tornare in classe un lunedì e ricevere gli applausi dell’intera scuola. A meno che tu non ti chiami Pedro de la Vega e ti sia ritrovato in campo contro il Racing Club de Avellaneda praticamente dal nulla. Non solo, essendo stato il migliore dei suoi e giocando con l’aria e le idee di uno che fa quel mestiere lì da sempre. Non si parla neanche di adattamento, è come se letteralmente sia nato in mezzo ai ritmi del calcio argentino. O ancora meglio, di piegarli al suo volere. Luis Zubeldía ha brutalmente saltato tutti i passaggi con lui, dalle giovanili a titolare nel giro di un giorno. Da quel momento, il contributo di “Pepo” non è mai mancato. Parliamo ancora di un ventenne con tutti i suoi alti e bassi, ma i primi hanno avuto la forza di impressionare il calcio mondiale.

Come un tornado

Al di là dei capelli biondi corti e lunghi, de la Vega assomiglia ad un salto nel passato. Ala destra naturale in partenza, in poco tempo ha ampliato la sua influenza nel gioco del Lanús fino alla fascia opposta ed alla mediana. Bisognoso di associarsi con i compagni, di essere al centro dell’azione per poter creare. Dotato di ottime intuizioni anche senza palla e capace di profondere un grande impegno anche in fase difensiva nonostante un fisico ancora da teenager. Ma le vere qualità di Pepo richiedono un pallone tra i piedi per essere messe in mostra.

La sua prima partita tra i grandi racconta molto su di lui. A fine primo tempo, riceve un pallone largo sulla destra, potrebbe puntare il fondo e crossare, c’è spazio per farlo e del resto calcia quasi indistintamente con entrambi i piedi. Avrebbe anche senso, creare un’opportunità da goal in maniera piuttosto facile per un “osservato speciale” come lui porta un buon compromesso tra efficacia e sicurezza nella giocata. La forza di attrazione che la trequarti ha su di lui prende invece il sopravvento. Controlla con delicatezza e sposta la palla verso l’interno. Renzo Saravia ha, anche giustamente, ragionato in maniera preventiva cercando di chiuderlo verso la linea di fondo ma viene costretto a remare all’indietro. Due tocchi velocissimi di esterno, conta i passi e calcia col destro da fuori area. Il pallone che parte dal suo piede sorprende tutti ma non Gabriel Arias, che con un intervento plastico tira fuori il pallone indirizzato non troppo lontano dall’incrocio dei pali.

Emerge prepotentemente anche la sua tendenza a muoversi all’indietro per facilitare l’uscita di palla e raccordare. Ancora Saravia che lo marca strettissimo, de la Vega riceve il passaggio, assorbe due interventi del terzino del Racing, lo sbilancia sterzando a 180° gradi e riparte a campo libero. Vero che fisicamente deve ancora formarsi del tutto, ma la capacità di sfruttare spalle alla porta interventi così aggressivi non è assolutamente banale.

Pedro de la Vega in azione contro il Venezuela U-20
(Foto: Marcelo Hernandez/Photosport – Imago Images – One Football)

Pedro de la Vega, a caccia del pallone

Chiama e cerca tantissimo la palla, anche scendendo fin sulla linea dei mediani e ripartendo in progressione. Impressiona poi per la gestione degli spazi e dei tempi dell’azione. Non è un giocatore che carica a testa bassa palla al piede, bensì accompagna la sfera con il destro a testa alta in modo da poter decidere la scelta migliore. A volte si butta in mezzo a più difensori fidandosi, forse anche troppo, della sua agilità e del gioco di gambe, in altre, asseconda sovrapposizioni e tagli in profondità. Il Lanús di Zubedia cerca con naturalezza le combinazioni in spazi stretti, situazioni in cui l’apporto di de la Vega è fondamentale.

All’interno del sistema di gioco spicca l’ottima intesa con Nicolás Orsini in particolare. I due hanno infatti imparato in fretta come bilanciare i propri movimenti ed attaccare dinamicamente le difese avversarie. Nel teorico 4-4-2, I movimenti di Orsini verso l’esterno liberano spazio per le conduzioni interne di de la Vega, con Sand che può attaccare l’area ed una mezzala più il terzino destro a dare ampiezza. Non manca sicuramente ambizione nella sua gestione del pallone, sia quando si tratta di servire i compagni (famoso uno suo filtrante telecomandato contro il Boca Juniors) sia nel cercare in prima persona la conclusione. Non privilegia nessuna soluzione specifica da fuori area. Nel non (ancora) esteso campionario dei suoi goal troviamo sia calci a pelo d’erba verso la base del primo palo che tiri a giro.

È pronto per sbarcare in Europa? Sì, ma con calma. Se dovesse essere una questione esclusivamente tecnica, l’importante sarebbe scegliere bene quale maglia andare ad indossare. Se qualcuno lo va a prendere in questa sessione di mercato, lo fa per risparmiare potenzialmente quei 25-30 milioni in più che il costo del cartellino potrebbe presentare tra due anni. Serve però un ambiente che smussi gli spigoli del suo gioco e non richieda subito un contributo da 90 minuti . Giocare in una squadra che attacca in maniera dinamica e verticale farebbe bene al suo gioco, “costringendolo” a limitare quelle occasioni in cui, invece di dare pausa alla manovra, sembra dare proprio lo “stop”. A volte, restituisce l’impressione di voler trovare la giocata perfetta anche a costo di passarne alcune subottimali ma comunque buone. Serve anche un lavoro sul fisico che non lo snaturi ma gli dia gli strumenti, soprattutto dal busto in su, per resistere meglio ai contatti in corsa.

Francisco Pizzini del DyJ contende il pallone a Pedro de la Vega
(Foto: Nicols Aguilera – Imago Images – One Football)

Se non oggi, domani

Il suo nome ed il calciomercato hanno fatto più volte reciproca conoscenza. Molte squadre italiane lo hanno cercato già negli anni passati, partendo dal Genoa (in un affare combinato assieme all’Inter) fino ad Atalanta e Juventus. Provando ad immaginare un suo arrivo domani, la Lazio potrebbe essere una buona meta. I biancocelesti cercheranno sicuramente ali destre sul mercato ed avere un giocatore così da affiancare a Luis Alberto non è affatto una pessima prospettiva. D’altra parte, passare dal Lanús ad una squadra che vuole reinserirsi nel discorso Champions richiederebbe un salto di mentalità non indifferente e non concederebbe i tempi di adattamento necessari. Milan? Sarebbe un’ottima alternativa a Castillejo e Saelemaekers, o anche a Brahim Díaz sulla trequarti, ma vale lo stesso discorso fatto per la squadra di Sarri, in quanto potrebbe non arrivare un contributo dal primo giorno.

Atalanta o Udinese, per motivi diversi, avrebbero più modo di prepararlo gradualmente. Nel primo caso, de la Vega venne già stato accostato alla Dea come cambio di Ilicic due anni fa, idea logica tanto più oggi che non c’è più Gomez. In Friuli invece vi è un posto lasciato aperto da Rodrigo de Paul che il giocatore del Lanùs potrebbe riempire con la promessa di un potenziale offensivo paragonabile a quello dell’ex numero dieci nel giro di 2 o 3 anni. A sua volta anche la Fiorentina avrebbe rappresentato un’ottima occasione, ma l’addio di Gattuso e l’arrivo di Nicolás González hanno chiuso la questione.

C’è di certo che prima o poi lo vedremo in Europa. Le questioni sul suo futuro sono tante, ma non intaccano il suo potenziale da giocatore di élite di questo sport. Un’altra stagione in Argentina può fargli bene prima di venire da questa parte dell’Oceano Atlantico ed aprirsi la strada verso un brillante futuro.

De la Vega in azione contro la Spagna alle Olimpiadi
In attesa di approdare in Europa le Olimpiadi hanno già rappresentato una importante vetrina per l’argentino (Foto: Imago Images – OneFootball)

Ogni compleanno rappresenta per ciascuno di noi un momento da festeggiare, ma anche un momento in cui dobbiamo riflettere e fare dei bilanci, capire quale visione abbiamo di noi stessi e magari rispondere a quella domanda che spesso gli head hunter amano fare ai candidati in sede di primo colloquio, e davanti alla quale oggi si ritrova anche un certo Harry Kane: “come ti rivedi tra cinque anni?”

Croazia e Repubblica Ceca sono ancora in quella comunemente definita come fase di studio quando, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Lovren colpisce con una gomitata il volto di Patrick Schick. La botta è piuttosto violenta, Schick stramazza a terra e si dimena per qualche secondo, prima di essere soccorso dai medici. Tra la selva di gambe che accorrono al capezzale del numero 10 ceco, l’occhio della telecamera coglie tracce di sangue sul suo volto. Le successive proteste dei compagni culminano con una revisione al VAR dell’episodio, ma quando il direttore di gara indica il dischetto, Schick si sta facendo ancora medicare, e in quel momento ci sono dubbi piuttosto fondati sul se potrà o meno proseguire la sua partita.

È un Natale un po’ particolare quello del 2016. Almeno per quei giocatori che, alzando lo sguardo al cielo, non vedono alberi illuminati e lucine decorative, ma solo enormi grattacieli e lo skyline di una città troppo futuristica per quei giorni dal sapore di festa. Doha è una perla del Medio Oriente, la Capitale dello stato del Qatar. Una città all’avanguardia, ultra moderna, lontana anni luce però da quel calore tradizionale che ci si aspetta di vivere il 23 dicembre.

C’è una curiosa costante, in quel della Firenze calcistica. Anno dopo anno, ciclo dopo ciclo, state pur certi che, nei ranghi gigliati, ci dovrà essere almeno un argentino. Una connection che parte piuttosto lontano nel tempo, e che nell’ultimo decennio ha assunto connotati ancor più specifici. Negli ultimi dieci anni, sono infatti ben cinque i difensori argentini che si sono avvicendati – giocando insieme o succedendosi – in maglia viola. In un solco da cui ormai pare inevitabile scostarsi, le varie dirigenze sportive si sono convinte che i profili battenti la bandiera col Sol de Mayo càlzino alla perfezione alle esigenze della Fiorentina.

Il passaggio dell’allenatore bresciano agli ucraini dello Shakhtar Donetsk è stato sicuramente tra gli argomenti più caldi nelle settimane subito successive la fine del campionato, dividendo oltretutto l’opinione pubblica tra chi ha guardato in maniera positiva ad una scelta di certo “originale”, e coloro che invece, davanti ad essa, hanno storto il naso. Checché se ne dica, con questa decisione De Zerbi ha tenuto ancora una volta fede alla propria, e personalissima, visione del calcio.

La morte di Giampiero Boniperti, arrivata oggi a 92 anni, ha segnato uno spartiacque, in un certo senso la fine simbolica di un’era calcistica ma anche socio-culturale del calcio italiano. La nostra giovane redazione è riuscita solo sfiorare un brillante simbolo del secondo dopoguerra italiano come il fu calciatore, dirigente e presidente della Juventus, perciò ci siamo rivolti a Enzo D’Orsi, giornalista del Corriere dello Sport che ha seguito la Juventus dal 1979 al 2000 e ha scritto diversi libri sulla squadra bianconera, tra cui i più recenti Gli Undici giorni del Trap. Atene 1983, Non era champagne. La Juve di Maifredi, Montezemolo e Baggio e Michel et Zibi. Gli amici geniali (2018, 2019 e 2020, Edizioni InContropiede). Ringraziando Enzo per la gran disponibilità mostrata nei nostri confronti, vi proponiamo questa sua riflessione su un monolite del Novecento calcistico tricolore.

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