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Non c’è una data, non c’è una partita. Non c’è un’azione e nemmeno una singola parata. C’è invece per lui un intero Mondiale. Keylor Navas arriva alla Coppa del Mondo del 2014 in Brasile come il portiere più forte della Liga, ma la Costa Rica non è una delle favorite per la vittoria. E nemmeno per arrivare ai piani alti della competizione. Grazie (anche) a lui, invece, la squadra potrà sognare di stare lassù tra i migliori del mondo.

A Roma, le persone sembrano amare con più entusiasmo, uccidere con più fantasia, sottomettersi ai bisogni creatori più spesso, e perdere il senso della logica più facilmente che altrove.

Quando hai sulle spalle tremila anni di storia, il peso del tempo che passa hai imparato a gestirlo. Roma vive nel riflesso di quello che hanno scritto sui libri, cantato nelle canzoni e narrato i poeti. Roma non è retorica. È l’osteria a Trastevere che serve vino dei castelli, è l’odore di cornetti caldi in piena notte e gruppi di ragazzi che tornano dai locali.

Nel nostro ultimo tour ci siamo spinti oltreoceano, sulle coste del Brasile, al Maracana. Quest’oggi, con la tappa al Luigi Ferraris, facciamo ritorno nella penisola nostrana, in una città che con il Sudamerica ha un forte legame, e in particolare con l’Argentina. Per la precisione con Buenos Aires, dove un gruppo di nostri compatrioti diede il via ad una delle storie calcistiche più belle di sempre, quella del Boca Juniors, degli xeneizes, ovvero dei genovesi.

Le stelle illuminano la volta blu scuro che circonda Istanbul. Quella del 25 maggio 2005 non è una notte come le altre nella città turca. L’atmosfera è ricca di trepidazione, di lì a poco andrà in scena la finale della cinquantesima edizione della Champions League tra Milan e Liverpool. I riflettori si accendono sullo Stadio Olimpico Atatürk, intitolato a quello che è il padre della Turchia moderna, mitico generale, fondatore e primo Presidente dello Stato. La serata più importante dell’anno calcistico europeo sta per cominciare in una cornice a dir poco suggestiva.

Vorrei invitare chi legge a fare una passeggiata nell’entroterra marchigiano, a 30 chilometri dalla costa, nella Valle del Tronto, ad Ascoli Piceno, o ‘culë’, in dialetto ascolano. Un luogo gentile che sorride a chiunque lo guardi. Una città illuminata dal suo travertino bianco o dorato, a seconda della luce che si riflette su di esso; dal cuore medievale, con strade antiche romane e bellissime piazze rinascimentali.

Il 20 aprile del 2010 è una data simbolo per tutti i tifosi interisti. Quella sera di primavera, infatti, è ricordata per l’impresa a dir poco titanica che i ragazzi di Mourinho realizzarono a San Siro. Era la partita di andata della semifinale di Champions League e i nerazzurri sconfissero per 3-1 i mostri sacri del calcio europeo, il Barcellona di Pep Guardiola. In quella melodia europea con la chiave di violino puntata sul Meazza, però, una nota stonata colpì l’atmosfera. Si tratta della sfuriata di Mario Balotelli, la sua prima grande balotellata, l’incipit della sua storia di “cattivo ragazzo“.

Nella sua storia ultracentenaria sono state più le delusioni che le gioie per la nazionale norvegese. Solo tre partecipazioni alla Coppa del Mondo e una agli Europei sono davvero troppo poche, ma sulla penisola scandinava sembra essere arrivato un vento nuovo che i piccoli vichinghi sono pronti a cavalcare. Il c.t. Lars Lagerbäck ha arruolato una generazione di futuri campioni capitanata da Haaland. Ora la Norvegia fa sul serio.

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