L’11 settembre 2011, Torino tira su le coperte e accoglie una nuova giornata. Un sabato diverso dal solito, nella porzione di città tinta di bianconero. Passano le ore e all’ora di pranzo Stephan Lichtsteiner, Simone Pepe, Arturo Vidal e Claudio Marchisio apparecchiano la tavola per il primo picnic sul prato dello Juventus Stadium. Al 90′, però, quando le posate erano già nel cestino di vimini, pronte per una nuova vita culinaria una volta risciacquate, Marco Dejana urla: “Ha segnato il numero 10, Giovinco“.
La casa che avrebbe ospitato la Juventus del futuro, però, si riempie di fischi. La vittoria è ampiamente in cassaforte, ci si può incamminare a passo svelto lungo le gradinate per mettere sotto i denti un panino che sa di 3 punti. Ma 35.920 paia di occhi osservano 164 centimetri che si incamminano con il pallone sotto l’avambraccio destro. E fischiano, incuranti del fatto che, probabilmente, quello stadio nuovo lo sente anche un po’ suo.
Sebastian Giovinco quel giorno veste la maglia dell’ospite, osserva il tocco inaugurale di Alessandro Del Piero verso il neo arrivato Andrea Pirlo, il primo su quel manto erboso che avrebbe calcato nei mesi successivi, tornando ad indossare il bianconero con cui aveva dipinto la sua crescita calcistica. Nel mezzo, però, c’era stata un’altra tifoseria pronta ad accoglierlo e coccolarlo.
Giovinco è crociato
Il Seba che si affaccia al mondo dei grandi – il riferimento fisionomico è troppo vicino per non essere agguantato – non conosce ancora le vie esotiche che si troverà sul cammino. Sa, però, che la tecnica nello stretto, la velocità ed una spiccata finalizzazione sono di certo doti che non mancano al suo repertorio. Se ne rende conto la stessa Juventus che, prima di mandarlo a farsi le ossa ad Empoli, lo fa esordire in Serie B. Giovinco ringrazia, serve l’assist a Trezeguet in Juve-Bologna e torna a lavorare.
L’esperienza sotto la guida di Gigi Cagni è un ottimo appetizer per prepararsi al grande buffet che lo riaccoglierà in bianconero, questa volta in Serie A. Il ragazzo spinge e dimostra che i lampi non sono dovuti solo al fisico brevilineo, ma il 26 maggio 2009 una battuta d’arresto in salsa paulista interrompe la sua progressiva ascesa tanto nelle gerarchie juventine quanto nei cuori di quelle decine di migliaia di persone che riempiono gli spalti. Si chiama Diego Ribas da Cunha e ruberà il posto da titolare alla Formica Atomica, protagonista di un’involuzione inaspettata nella sua seconda stagione consecutiva dalle parti di Vinovo. C’è bisogno di una nuova sfida.
Sebastian Giovinco è nato a Torino e cresciuto a Beinasco. Prima del prestito all’Empoli, non aveva mai preso in considerazione né l’indossare dei colori diversi da quello yin e yang né l’affermarsi senza il vociare piemontese in sottofondo. Ma a 23 anni passati, su un campo da calcio, le porte scorrono più velocemente del solito. Sarà Parma.
In panchina trova Pasquale Marino, che ha preso il posto di quel Francesco Guidolin che farà le fortune di un’altra bianconera del nostro calcio. Gli viene data fiducia, finalmente, e lui ripaga: salta solo una manciata di partite per un problema ricorrente al ginocchio e a fine anno il jackpot è di 7 gol e 6 assist in 31 presenze, numeri mai raccolti alle sue spalle. Fa in tempo anche a rovinare l’Epifania al Delle Alpi: poker esterno alla Juventus, Seba ne fa 2. Ma è con la 10 sulle spalle che cambia tutto.
Prima dell’acero, prima di tutti
Un giovanissimo Danilo Pereira, un Jonathan Biabiany con la quinta sulla fascia, l’esperienza di Lucarelli, Crespo e Jaime Valdes. In panchina Franco Colomba. A svariare sul fronte d’attacco, il protagonista della nostra storia.
Il Sebastian Giovinco della stagione 2011/2012 è un giocatore di culto, a mio modesto parere. Parto dall’assunto più facile: innamorarsi del piccolino in mezzo ai giganti – o perlomeno, di quelli più grandi – è cosa fin troppo facile. Se poi l’outsider non fa altro che corroborare la tesi con un campionato da 15 reti e 13 assist, conducendo i ducali ad un’ottima ottava posizione in classifica, allora affezionarcisi diventa un gioco da ragazzi.
Ricordo che la sua figurina con mezzo sorriso abbozzato sul volto era una delle più ricercate nella mia maniacale caccia alla bustina che avrebbe svoltato la raccolta dell’album. Fondamentalmente perché quella fu una stagione a dir poco ispiratrice. Ce la fa lui, ce la fanno tutti. Ma è il come ce la fa, che segna il confine tra un exploit destinato a non ripetersi ed una visione di ciò che lo circonda in anticipo sulla tabella di marcia.
Da quel rigore con l’amaro in bocca contro il suo passato (e futuro), non si ferma più e tramortisce le difese avversarie in mille modi diversi. È un concentrato di dinamismo e concretezza, di classe, tecnica e fiuto del gol. Segna scavalcando il portiere, inserendosi alle spalle, dentro e fuori area. Il destro con cui calcia da fermo è una sentenza, sia che i metri siano 11 sia che l’arbitro fischi punizione dal limite. La ciliegina sulla torta la lascia per la penultima giornata, il 6 maggio 2012, in trasferta contro il Siena: il pallone vaga a 25 metri dalla porta di Pegolo, Seba la fa rimbalzare e poi calcia. Sempre con il destro, sempre gol.
Il ragazzo che avrebbe conquistato il Canada e l’America alla guida di Toronto, l’uomo che sta vivendo l’ultima porzione di carriera nella ricchissima Arabia Saudita. Il bianconero che ha provato ad affermarsi nella sua Juventus, ma che guardando in faccia la realtà ha optato per la strada migliore da percorrere. Come quella che è passata per Parma fino al 2012, quando Sebastian Giovinco ha deciso di sorreggere il peso del formicaio ducale. Atomicamente, senza dubbio.