L’ultima puntata della serie Amazon in cui Sergio Ramos racconta sé stesso viene chiamata “Legacy“, termine di origine anglosassone che in italiano traduciamo come lascito, eredità: quando questo termine lo trasponiamo in ambito sportivo, lo facciamo per associare un atleta come icona di un periodo storico, in continuità o in discontinuità con i periodi precedenti.
Per fare un esempio, la legacy di Arrigo Sacchi è stata quella di aver portato una forte discontinuità nel modo di fare calcio in Italia ed in Europa. La difesa a zona con spostamento del focus sullo spazio anziché sul giocatore avversario è stata una rivoluzione spesso avversata dai suoi contemporanei, ma che oggi è ispirazione per qualsiasi persona voglia diventare un allenatore di calcio.
Sergio Ramos, invece, rappresenta un esempio di legacy in continuità: fu proprio Arrigo Sacchi a volerlo portare al Real Madrid nel 2005, spendendo 27 milioni di euro per strapparlo al Siviglia, alla ricerca di un giocatore che potesse ereditare la fascia destra difensiva da Michel Salgado. 16 anni dopo, siamo qui a discutere del suo ruolo nella storia del Real Madrid, di cui veste la fascia da capitano dopo essere diventato un difensore centrale di spessore mondiale.
La fascia di capitano del Real Madrid
Nell’atletica leggera, un mondo che si basa su discipline esclusivamente individuali, esiste un’unica gara a squadre, ossia la staffetta 4×100 o 4×400: a rendere particolare questa variante delle gare di velocità c’è il passaggio del testimone, la cui corretta esecuzione determina una vittoria o una sconfitta. Poco conta la somma delle velocità dei singoli corridori.
Come in una staffetta, il passaggio della fascia di capitano al Real Madrid è un atto che ha una certa sacralità: non basta essere il miglior calciatore al mondo per indossarla, devi essere in grado di afferrare il testimone nel momento e nel modo giusto, consegnandola al proprio successore nello stesso modo in cui è stata ricevuta, ossia dopo aver contribuito ai successi della squadra.
Sergio Ramos ha ereditato la fascia da capitano da Iker Casillas che, a sua volta, l’ha ereditata da Raul e ancor prima da Fernando Hierro. Una successione che collega la storia del Real Madrid ai suoi capitani: ogni ciclo dei Blancos è legato a tanti giocatori, ma i tempi sono scanditi da chi indossa quella fascia, un po’ come a rappresentare l’identità della squadra nei vari periodi storici.
Se guardiamo ai periodi storici del Real sulla base dei rispettivi capitani, infatti, notiamo tante sinergie tra chi indossa la fascia e come il club abbia deciso di costruire la squadra: nella storia recente delle Merengues, l’unico capitano non appartenente al pacchetto arretrato della squadra è stato Raul. Non è casuale che la sua parentesi da capitano abbia coinciso con gli anni dei Galacticos, stagioni in cui il Real Madrid schierava contemporaneamente Beckham, Guti, Figo, Zidane, lo stesso Raul e Ronaldo.
Una squadra nata per intrattenere più che per giocare a calcio: un ciclo che, infatti, si chiuse con tante belle giocate, ma altrettante delusioni e pesanti sconfitte. Prima e dopo questa parentesi, la fascia di capitano è stata appannaggio, invece, di difensori o portieri, come se la leadership e le vittorie del Real dovessero scaturire da chi osserva lo scenario nella sua interezza, senza lasciarsi sfuggire nulla rispetto a ciò che accade in campo.
In “El Corazón de Sergio Ramos”, lo spagnolo colloquia proprio con alcuni dei suoi predecessori in quel ruolo, ed in particolare si sofferma con due di essi: uno è Fernando Hierro, l’altro è Jose Camacho, guarda caso due difensori come lui e leader dell’intero reparto. Il centro del dibattito, indipendentemente dal periodo storico preso a riferimento e dal tipo di squadra che il club aveva costruito, era lo stesso: al Real Madrid sei condannato a vincere ed il capitano deve incarnare a modo suo quel concetto.
Non vi è dubbio che Sergio Ramos abbia fatto suo quel concetto e lo abbia personalizzato, rendendolo riconducibile al suo modo di stare in campo e di vivere la contesa sportiva. Da quando (nel 2015) ha raccolto il testimone da Iker Casillas, il Real Madrid ha assunto quella connotazione che adesso tutti gli riconosciamo e che ben si rispecchia nelle caratteristiche in campo del suo capitano.
Il segno di Sergio Ramos al Real
Quella che potrebbe chiudersi a breve, è un’era – quasi inutile affermarlo – tra le più gloriose per il Real Madrid: da quando Sergio Ramos ha raccolto la fascia di capitano, i Blancos hanno portato a casa 3 Champions League, 2 Liga, 2 Supercoppe Europee e 3 Mondiali per Club.
Le tre Champions League consecutive ottenute tra il 2016 ed il 2018 rappresentano il marchio di fabbrica di questa epoca madridista, e Sergio Ramos ne ha perfettamente incarnato l’essenza: ognuna delle vittorie è stata costruita sulla base di un dominio mentale capace di far inclinare ogni partita decisiva dalla loro parte.
Dal punto di vista tattico, le lacune di quella squadra erano evidenti. I rischi difensivi che la compagine si assumeva in alcune partite, ad esempio, non davano certo l’impressione di una squadra imbattibile: in ognuna di quelle tre campagne europee, l’idea era che quel meccanismo potesse crollare come un castello di carte da un momento all’altro ed invece non è accaduto.
Quante volte vedendo il Real giocare le partite decisive di Champions League in quegli anni ci siamo interrogati su come siano riusciti a vincerle? Presi dalla frenesia e dall’emozionalità del momento, ci siamo sempre detti tra noi e noi che era solo fortuna, che “se quella partita la rigiocano dieci volte, ne vincono una” e così via. Ma ragionandoci a mente fredda, con qualche anno a dividerci tra quei trionfi ed i giorni nostri, sappiamo tutti che non è fortuna e che no, quelle partite le avrebbero vinte anche rigiocandole dieci volte.
Le stesse impressioni affiorano nel momento in cui si va a guardare il modo di giocare di Sergio Ramos. Prendendo a riferimento le sue prestazioni da centrale difensivo, è lecito domandarsi se siamo di fronte ad un grande difensore: diverse sono le situazioni, infatti, in cui il capitano del Real ha perso l’uomo o ha sbagliato lettura difensiva. Tutto questo è frutto della sua visione del ruolo di difensore centrale, basata sullo scontro e sul contatto con l’attaccante avversario. Nella versione di Sergio Ramos difensore centrale, non esiste l’attesa, ma solo l’azione e l’aggressione a scapito, appunto, della lettura della situazione e della copertura degli spazi. Sarà questa visione della difesa come chiusura degli spazi che noi abbiamo in Italia a distorcere i pareri su Sergio Ramos come difensore e sul modo in cui il Real Madrid giocava quelle partite.
Semplicemente osservando i valori statistici attualmente disponibili – ossia quelli delle ultime quattro stagioni (fonte FBRef) -, abbiamo chiara l’interpretazione del ruolo da parte di Sergio Ramos: ha una grande propensione al contrasto ed al duello con l’avversario diretto, anche e soprattutto in zone alte del campo.
È una visione del ruolo che nasce sicuramente dalla sua grande mania per la competizione, del voler vincere partendo dal duello con il suo avversario, ma anche dalla sua formazione da terzino, dove è richiesta maggiore propensione al duello individuale ed al contrasto rispetto al difensore centrale classico. Questa sua interpretazione del ruolo e della sfida, tramite la fascia da capitano, è trasmessa alla squadra: non conta se lasci spazio all’avversario o se gli dai l’impressione che possa farti goal in ogni occasione, alla fine hai sempre la qualità necessaria a vincere la contesa.
La migliore esemplificazione dell’importanza del capitano Sergio Ramos arrivava proprio dalle partite in cui era assente: la sua ricerca del duello e del contrasto ha come rovescio della medaglia il fatto di oberarsi di falli, quindi cartellini, dunque squalifiche. Era squalificato in quel quarto di finale di ritorno del 2018: i tifosi juventini difficilmente possono dimenticare quanto siano stati vicini all’impresa al Bernabeu nel 2018 dopo aver rimontato lo 0-3 dell’andata. Molti ricorderanno quella partita per l’episodio del rigore finale e per l’espulsione di Buffon, ma va anche sottolineato che in quella partita il Real perse la propria capacità di controllare la partita a livello tecnico e, soprattutto, a livello mentale, proprio perché il suo capitano era fuori per squalifica.
La stessa situazione si è verificata esattamente un anno dopo. Anche questa volta Sergio Ramos squalificato, con il Real deve difendere al Bernabeul’1-2 ottenuto a fatica ad Amsterdam qualche settimana prima, ed anche questa volta la mistica del controllo degli eventi viene meno: l’Ajax trionfa con un sonoro ed esteticamente meraviglioso 4-1.
Un giocatore sleale?
In quella partita contro l’Ajax, Sergio Ramos non era in campo non per una semplice squalifica, ma perché decise deliberatamente di farsi ammonire nella gara d’andata in modo da spendere l’assenza nella gara di ritorno ed essere libero da diffide nei turni successivi.
La scelta si rivelò letale per lui e per la squadra, aprendo un dibattito sulla lealtà sportiva, alimentato anche dalla scelta della UEFA di punire questo suo atteggiamento con due giornate di squalifica. Una scelta indubbiamente molto forte, che è quasi sembrata come una presa di posizione del massimo organismo europeo rispetto al modo di intendere la competizione da parte di Sergio Ramos.
Il dibattito, in realtà, bolliva in pentola già da diversi mesi: nella finale di Kiev del 2018 contro il Liverpool, il suo intervento falloso su Mohammed Salah fu oggetto di diverse discussioni inerenti alla volontarietà dell’intento di Sergio Ramos di far male all’avversario.
A partire da questo episodio, la critica si è parecchio polarizzata sul modo in cui il capitano del Real Madrid si approcci ai duelli individuali ed alla competizione in generale. Da una parte, abbiamo i cultori del calcio agonistico, dove un infortunio è un incidente a volte necessario per mantenere alto il livello di agonismo del gioco. Dall’altra, invece, abbiamo coloro che ritenevano l’episodio dell’infortunio di Salah un evento premeditato allo scopo di togliere dalla disponibilità dell’avversario il giocatore più pericoloso.
Questa catena di episodi ha, indubbiamente, sporcato l’immagine di Sergio Ramos agli occhi dell’opinione pubblica. Non è un caso che la scelta di creare una serie Amazon sulla propria persona e chiamarla “El Corazón de Sergio Ramos” avvenga proprio in concomitanza con quegli eventi di Kiev: lo scopo era quello di raccontare la sua versione della vita e del calcio.
Quale legacy per Sergio Ramos?
È cronaca di questi giorni che la trattativa per il rinnovo di contratto di Sergio Ramos sia ancora in altro mare. L’infortunio al menisco subito nel corso di questa stagione ha aperto diversi interrogativi sul futuro del numero 4 del Real Madrid, che oggi compie 35 anni e che quindi si trova di fronte a riflessioni importanti sul proseguimento della sua carriera. Se questa sarà l’ultima stagione a Madrid, cosa resterà dei suoi 16 anni trascorsi alle dipendenze del club più glorioso al mondo?
Potrebbero essere i trofei a testimoniare il segno lasciato da Sergio Ramos. Una chiave di lettura a cui ha dedicato una puntata nella sua serie Amazon: suo fratello René, nonché suo agente, ha organizzato una mostra dei suoi trionfi prendendo in prestito una sala del museo Thyssen-Bornemisza, a pochi passi dal Museo del Prado, come a mostrare che quanto fatto con la maglia del Real meriti un posto non solo nella storia della squadra, ma anche della città di Madrid.
Ma vincere i trofei nella Capitale, sponda Real, è quasi il minimo sindacale richiesto ai giocatori. Perciò, non possono essere le vittorie il tratto distintivo dell’esperienza di Sergio Ramos. I suoi anni da capitano, però, hanno portato ad una versione del Real Madrid che resterà nella storia per il modo con cui le vittorie sono stati ottenute, ossia tramite il dominio mentale e la consapevolezza della propria forza. Anche quando di fronte hai avversari meglio organizzati di te, anche a costo di aprire un dibattito sulla lealtà sportiva.