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SESTO UOMO

Sesto Uomo: Manu Ginobili

Ero al telefono con Pop, seduto a casa a guardare il Draft come ogni anno. A un certo punto è venuto fuori questo “Immanuel Ginobeeli” e gli chiedo: “Pop, ma chi cavolo abbiamo preso!?”. Lui mi fa “Tranquillo. Vedrai che sarà un grande”. “Ok Pop, come vuoi tu”.

Parole e musica di Tim Duncan, non proprio il primo che passa per strada in quel di San Antonio, Texas. Eppure anche il suo nome, qualche anno prima, era ignoto ai più: quel marcantonio venuto dal nulla di Christiansted, piccola cittadina delle Isole Vergini, dov’era solito nuotare. E nuotare, ancora. L’uragano Hugo ed il cancro al seno che colpì tragicamente la madre Delysia lo portarono lontano dalle onde del Mar dei Caraibi e dal cloro della piscina, l’unica sull’isola.

La sera del 30 giugno 1999, comodamente seduto sul proprio divano, l’ex nuotatore ed all’epoca numero 21 della franchigia texana, rimase stupito davanti a quell’argentino che, nel frattempo, aveva iniziato a farsi un nome dalle nostre parti, a Reggio Calabria prima e Bologna poi. Avrebbe imparato a pentirsi per quella reazione, per quanto comprensibile.

Estuario, Stretto e Torri

Parte tutto da un divano, forse, ma la brezza che avvolge casa Ginobili non è quella del Mar dei Caraibi. Sempre Oceano Atlantico, ma a latitudini decisamente più meridionali: siamo a Bahia Blanca (che ha dato i natali anche a Lautaro Martinez), nel luglio 1977, dove il fiume Napostá termina il suo percorso per abbracciare le onde del mare.

Il cognome, però, non mente: l’albero genealogico famigliare affonda le radici nelle Marche, regione dalla quale partirono i Ginobili di qualche generazione precedente. Quel ragazzino, però, non ha intenzione di guardarsi alle spalle, anche se la vita gli regalerà un paio di occasioni proprio nel Belpaese.

Cresce cercando di infilare la pelota in quel matrimonio perfetto in cui lo sposo è un ferro e la consorte una retina, con la prima grande occasione che sopraggiunge in una serata di fine settembre 1995. Viene mandato in campo in una gara complicata del suo Andino de la Rioja, quando le lunghezze di distanza dal Peñarol sono assimilate a due decine. Beh, in quella gara ha lasciato il segno, convincendo coach Sanchez a dargli spazio nelle gare successive.

Il risultato? Un’annata da protagonista, altre due stagioni da leader al Bahia Blanca ed il passaggio di cui sopra. Un transatlantico che lo porta direttamente nel campionato nostrano. Lo attende la Viola Reggio Calabria.

Manu Ginobili in maglia Virtus Bologna (Foto: Imago - OneFootball)
Manu Ginobili in maglia Virtus Bologna (Foto: Imago – OneFootball)

Appena 20 anni fa un ragazzo alto e magro, di naso prominente, andò via da Bahía Blanca con i suoi genitori, diretto a Reggio Calabria. Dicono che il Pibito era pieno di illusioni e molto entusiasta di iniziare la sua carriera europea.

Le parole e lo spartito, questa volta, sono del diretto interessato, in un post Instagram datato 19 agosto 2018. Appena otto giorni dopo, sarebbe arrivato l’annuncio strappalacrime del ritiro, ma per ora concentriamoci su quell’esperienza a pochi passi dallo Stretto. Lontano da casa, sì, ma insospettabilmente più vicino.

Furono due suoi connazionali, infatti, a raccomandarlo allo staff tecnico della Viola, Hugo Ariel Sconochini e Jorge Nelson Rifatti. In particolare, il primo dei due è stato universalmente eletto dagli dei del basket come fratello maggiore acquisito del giovane talento dell’Albiceleste, con cui ha condiviso la stanza in Nazionale l’anno precedente al suo arrivo in Italia. Manu non poté che beneficiarne.

Nel giro di pochi mesi arrivano una promozione un esordio da 32 punti, una promozione in A1 da leader assoluto della squadra ed una semifinale playoff nella massima serie, cavalcata interrotta da quella che sarà la sua seconda squadra italiana, la Virtus Bologna. In mezzo, una chiamata al Draft da parte di quei San Antonio Spurs dove, un giorno, ritroverà l’allenatore di una vita, Ettore Messina. Già, Ettore.

Ettore mi ha insegnato tutto. Dalla mentalità difensiva al mettersi a disposizione della squadra. Mi ha fatto diventare un giocatore vero.

È con l’attuale tecnico dell’Olimpia Milano che Ginobili fa il salto di qualità tanto voluto da quando ha allacciato gli scarpini per la prima volta dall’altra parte del mondo. Con il ritiro di Sasha Danilovic, il palcoscenico prevede la recita di un solo attore, un unico protagonista capace di riportare Basket City sul tetto d’Europa: la Virtus Bologna 2000/2001 vince Scudetto, Coppa Italia ed Eurolega.

Il salto di qualità, ora, prevede un altro transatlantico, direzione Texas. Prima di concentrarci su quella che è stata la sua spettacolare esperienza nel mondo NBA, è doveroso dedicare una parentesi alla sua Albiceleste.

Ginobili in versione portabandiera a Pechino 2008 (Foto: William West/AFP via Getty Images - OneFootball)
Ginobili in versione portabandiera a Pechino 2008 (Foto: William West/AFP via Getty Images – OneFootball)

Ce lo ricordiamo bene il Ginobili di Atene 2004, noi italiani. È un oro olimpico di cui non può che andare fiero, conquistato dopo una semifinale da capogiro contro gli Stati Uniti ed una finale contro l’altra sorpresa del torneo, l’Italia dei vari Soragna, Pozzecco e Basile. L’MVP di quella competizione, manco a dirlo, è l’uomo con la maglia numero 5.

Poi arriverà Pechino, con un bronzo ed il ruolo da portabandiera, ma non si sarebbe mai raggiunto il picco ottenuto in Grecia quattro anni prima, specialmente con il Redeem Team di fronte. Il flash-forward ci ha portati al 2008, l’anno in cui la nostra narrazione incontrerà proprio la sua incoronazione a Sesto Uomo. Non c’è Ginobili, però, senza altri due nomi al suo fianco.

Duncan, Parker e Ginobili

I San Antonio Spurs festeggiano il titolo NBA 2014 (Foto: Robyn Beck/AFP via Getty Images - OneFootball)
I San Antonio Spurs festeggiano il titolo NBA 2014 (Foto: Robyn Beck/AFP via Getty Images – OneFootball)

Il primo l’abbiamo incontrato nel Mar dei Caraibi, lo stesso incerto sulla chiamata al Draft da parte dei suoi Spurs. Si era fidato, però, perché la parola di coach Popovich è Bibbia nella religione cestistica praticata a San Antonio.

Il secondo, francese ed oggi presidente dell’ASVEL, con un discreto interesse anche nei confronti dell’Olympique Lione, è stato scelto alla numero 28 (un altro draft-stealer, insomma) due anni dopo l’argentino, ma ha iniziato a giocare in terra statunitense con una stagione d’anticipo rispetto al conquistatore d’Europa arrivato da Bahia Blanca.

Ciò che conta, alla fine, è che la sinfonia Duncan, Parker e Ginobili non può sussistere con l’assenza di una sola delle tre note di cui sopra. Sono stati e sempre saranno l’essenza Spurs, la capacità di puntare costantemente e coerentemente su un progetto, senza svilirsi, senza denaturarsi, per il bene del gioco. Un po’ in contrasto con il meritocratico sistema sviluppato negli anni dalla Lega professionistica più famosa al mondo: un ciclo che tocca alti e bassi, ma che gli Spurs hanno saputo arginare per circa due decenni di playoff consecutivi.

Manu Ginobili in attesa dell'ingresso in campo contro i Golden State Warrios (Foto: Ezra Shaw/Getty Images - OneFootball)
Manu Ginobili in attesa dell’ingresso in campo contro i Golden State Warriors (Foto: Ezra Shaw/Getty Images – OneFootball)

Insieme, hanno vinto 4 titoli, nel 2003, 2005, 2007 e 2014, quando sul panorama texano era sopraggiunto un altro elemento imprescindibile, quel Kawhi Leonard tanto enigmatico quanto talentuoso. Ed è tutto dire.

Tornando al motivo per cui stiamo parlando del fuoriclasse con la maglia numero 20 degli Spurs, il 2007/2008. Il bronzo alle Olimpiadi, sì, ma soprattutto quell’unico titolo individuale vinto in terra americana. Niente MVP, ma Sesto Uomo dell’Anno, con 23 partite da titolare su 74, la miglior media realizzativa negli anni in NBA (19.5 punti a gara), 4.8 rimbalzi e 4.5 assist a partita ed un apporto fuori dal comune.

L’unico peccato, quel soprannome. El Contusion, visti gli innumerevoli infortuni che l’hanno costretto a saltare centinaia di sfide sui parquet americani. Quando c’era, però, seppur nella maggior parte dei casi partendo dalla panchina, portava con sé un corredo di agonismo, intelligenza cestistica e personalità che, per una 57esima scelta, erano oro colato.

Manu Ginobili durante la cerimonia di ritiro della sua numero 20 (Foto: Ronald Cortes/Getty Images - OneFootball)
Manu Ginobili durante la cerimonia di ritiro della sua numero 20 (Foto: Ronald Cortes/Getty Images – OneFootball)

È probabilmente la persona più competitiva che io abbia mai visto.

Le parole e la musica, stavolta, sono di un altro protagonista, quel Gregg Popovich che ha trovato l’ago nel pagliaio pescando quel ragazzo nato a Bahia Blanca ed esploso nel basket italiano. Grazie Pop, sarebbe stato un peccato privarsi della gioia nel veder giocare l’argentino venuto da lontano. El Contusion, Manu Ginobili.

Il campetto dedicato a Manu Ginobili a Buenso Aires (Foto: Sebastian Rodeiro/Getty Images - OneFootball)
Il campetto dedicato a Manu Ginobili a Buenos Aires (Foto: Sebastian Rodeiro/Getty Images – OneFootball)

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Autore

Classe 2000, scrive di calcio e basket, in attesa degli straordinari di aprile. Dall'estate 2020 dirige la redazione di Riserva di Lusso. È l'autore de "Il pipistrello sulla retina".

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