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CALCIO ESTERO

Siviglia, una città che sogna in grande

L’ultima volta che il trofeo della Liga è finito lontano sia da Madrid che da Barcellona era il 2004. Quell’anno il Valencia di Rafa Benitez, vittorioso anche in Coppa UEFA, trionfò coronando una clamorosa rimonta. Da allora però, il campionato spagnolo è stato affare esclusivo di Real e Barcellona, tra acquisti galacticos, sfide all’ultimo gol tra Messi e Ronaldo e invenzioni tattiche dei vari Mourinho, Guardiola e Zidane. Nelle ultime annate si è aggiunto poi l’Atletico Madrid di Simeone, rendendo più avvincente la lotta, ma non spostando di un centimetro il confine geografico. L’ultimo derby di Siviglia giocato domenica scorsa è però forse il simbolo tangibile di un possibile cambiamento.

La piazza andalusa negli anni è stata rappresentata fieramente sia dal Siviglia che dal Betis, ma raramente, almeno nell’ultimo trentennio, ha potuto contare a pieno regime su entrambe nello stesso momento. Al giro di boa della sosta per le nazionali si trovano rispettivamente al terzo e al quinto posto e la Real Sociedad in vetta non appare così lontana. Il momento non felicissimo di Atletico e Barça potrebbe essere il pretesto perfetto per imbucarsi alla festa e iniziare a ballare. Ovviamente al ritmo di flamenco.

Alex Moreno e Gonzalo Montiel a contrasto
Il derby tra Siviglia e Betis, vinto 2-0 dai biancorossi, è stato a tutti gli effetti uno scontro tra due squadre che lottano per una posizione importante (Foto: Fran Santiago/Getty Images – OneFootball)

La rivincita di Lopetegui

Chissà se Julen Lopetegui ha qualche rimpianto quando ripensa alla gestione della sua carriera. Un percorso importante con le giovanili spagnole, portando alla vittoria sia l’Under 19 che l’Under 21 e valorizzando ragazzi del calibro di De Gea, Koke, Thiago, Isco, Bernat e Kepa. Un’avventura al Porto tortuosa e terminata ante tempo, ma di cui rimane uno splendido quarto di finale di Champions League. Poi la grande occasione: la Spagna. L’allenatore basco ereditò la nazionale dopo l’eliminazione agli ottavi di EURO 2016 contro l’Italia e il conseguente ritiro di Vicente Del Bosque. Ricostruire dopo un ciclo vincente non è mai semplice, ma un profilo giovane e già pratico con le selezioni nazionali come quello dell’ex-Porto sembrava ideale. Effettivamente le qualificazioni per il mondiale russo nel 2018 filarono via senza neanche una sconfitta, Julen aveva trovato la quadra perfetta.

Con la squadra già in Russia per il mondiale arrivò il colpo di scena. Il Real Madrid annunciò Lopetegui come nuovo allenatore con effetto immediato alla fine del torneo. Impossibile rifiutare per il coach basco, impossibile accettare lo smacco per la federazione spagnola, che optò per l’esonero. I mesi a Madrid furono travagliati, tra pressioni di una piazza esigente come poche altre e in ebollizione per l’addio di Ronaldo e una rosa che non riusciva ad assimilare i dettami dell’allenatore. In ottobre arrivò quindi un altro esonero, questa volta per motivi prettamente calcistici. In poche settimane Lopetegui era passato da uomo di punta del calcio iberico a disoccupato.

La chiamata di Monchi a giugno 2019 ha simboleggiato a tutti gli effetti un nuovo inizio. Il dirigente del Siviglia, il cui tocco magico si era perso nell’esperienza alla Roma, ha individuato in Lopetegui qualcuno che come lui aveva voglia di rivalsa, e che allo stesso tempo poteva valorizzare tramite il gioco il progetto in costruzione.

Il calciomercato portò subito in Andalusia alcuni dei giocatori che sarebbero diventati lo scheletro portante dei biancorossi: Diego Carlos e Koundè al centro della difesa, Joan Jordan e Oliver Torres (con Lopetegui anche al Porto) a centrocampo, Ocampos e a gennaio En-Nesyri in attacco. In quella prima annata, stranissima per tutti causa Covid, il Siviglia chiuse quarto e soprattutto portò a casa l’Europa League. Non una novità per una società che nella competizione europea minore si esalta, ma un enorme tabù sfatato per l’allenatore di Asteasu, fino ad allora con i club spesso bello, ma mai vincente.

Nell’anno e mezzo successivo il Siviglia e Lopetegui hanno continuato a costruire, arrivando alla creatura perfetta che adesso, senza le disponibilità economiche né il blasone di Barcellona e Real Madrid, compete e fa divertire. Nel 4-3-3 sevillista ogni pedina è integrata alla perfezione. Palleggio, tanti cambi di gioco e l’ampiezza sulle fasce sono i principi fondamentali e ogni interprete, anche quelli senza nome altisonante, è perfettamente funzionale. Ne è un esempio lampante Bono (Yassine Bonou), il portiere marocchino spuntato quasi dal nulla e diventato titolare fisso regalando sicurezza al reparto.

Davanti a lui la coppia di cui abbiamo già parlato, quella composta da Diego Carlos e Koundè. Il primo è un difensore solido, abile palla al piede e forte fisicamente, seppur talvolta un po’ troppo falloso e aggressivo. Il secondo è uno dei talenti più importanti del calcio europeo, corteggiato da mezza Europa, molto forte in impostazione e nonostante la stazza non eccezionale difficile da superare. Entrambi si adattano perfettamente al gioco di Lopetegui grazie alle doti in fase di possesso, la velocità e la predisposizione al pressing sugli attaccanti avversari. Sulla sinistra l’argentino Acuña, autore di uno splendido gol da fuori area nel derby, ha rimpiazzato portando sostanza il più talentuoso Reguilón, mentre sulla destra merita una menzione a parte Jesus Navas. Andaluso e tifoso del Siviglia sin da bambino, ala purissima come ce ne sono poche, si è riscoperto terzino nella sua ultimissima fase al Manchester City e sta attraversando una seconda giovinezza.

A centrocampo il filtro e la primissima impostazione sono affidate, alternativamente a Fernando Reges e Thomas Delaney. Il mediano danese è arrivato in estate dal Borussia Dortmund proprio per concedere al brasiliano, ormai 34enne, di giocare soltanto quando al top della condizione. Ritmo e geometrie sono affare di Ivan Rakitic, tornato a Siviglia, dove ha indubbiamente fatto vedere le cose migliori, dopo gli ultimi anni non felicissimi al Barcellona. Anche lui, come Navas, in quella che considera una seconda casa si è ritrovato. Insieme a lui, a non far rimpiangere Ever Banega, per anni fulcro della squadra, ci pensa Joan Jordan. Probabilmente una delle intuizioni più brillanti di Monchi, la mezzala spagnola ha percentuali di dribbling e passaggi riusciti da top in Europa.

L’attacco è il reparto più ricco di alternative, con una serie di vecchie conoscenze italiane a popolare entrambe le fasce, dove Lopetegui impiega gli esterni rigorosamente a piede invertito. Suso e il Papu Gomez (usato anche da mezzala) fanno rifiatare Ocampos ed Erik Lamela, arrivato nell’affare che ha portato al Tottenham il talentuosissimo Bryan Gil. Per gli ultimi due l’aria di Siviglia è stato un enorme toccasana. Ocampos, dopo anni tra Monaco, Marsiglia, Genoa e Milan con l’etichetta di discontinuo appiccicata addosso ha trovato finalmente la chiave per mettere in mostra tutte le sue qualità. Lamela invece sembra aver ritrovato confidenza con la porta avversaria e soprattutto continuità fisica. Il tutto unito alla solita grande applicazione in fase difensiva, con numeri di pressioni e tackles che farebbero invidia ad un mediano di rottura. Al centro, a dar man forte ad un En-Nesyri (24 gol lo scorso anno) ormai esploso, dal mercato è arrivato anche Rafa Mir. Più agile nel cercare la profondità e giocare con i compagni il primo, più potente e abile nel gioco aereo il secondo.

Per ora l’unica macchia in una stagione quasi perfetta è stato il rendimento in Champions League, in cui adesso serviranno due vittorie per poter sperare nella qualificazione. La sua sfida comunque, plasmando a sua immagine una squadra in cui tutti sanno cosa fare a prescindere dal minutaggio, Lopetegui l’ha già vinta. Certo è però che aggiungere qualcosa in bacheca a scapito del Real che lo ha scaricato con così tanta facilità sarebbe la ciliegina su una torta già parecchio gustosa.

Lopetegui a dialogo con Ocampos e Lamela davanti la panchina del Siviglia
Julen Lopetegui ha plasmato il suo Siviglia e avuto un impatto positivo su molti giocatori (Foto: Denis Doyle/Getty Images – OneFootball)

Il progetto di Manuel Pellegrini per la Siviglia biancoverde

I sudamericani hanno la simpatica, seppur a volte eccessiva, abitudine di affibbiare un soprannome davanti a chiunque. La denominazione di “ingeniero” però Manuel Pellegrini più che a qualche amico particolarmente fantasioso la deve alla laurea guadagnata sui banchi universitari di Santiago del Cile. Un po’ ingegnere, nel modo di pensare e pianificare ogni minimo dettaglio guardando anche al lungo termine, il tecnico cileno lo è anche con il suo Betis Siviglia, raccolto in una situazione complicata nell’estate del 2020.

Ad eccezione della stagione 2017/18 con Setien alla guida, negli ultimi anni il Betis ha fatto enorme fatica, incappando anche nella retrocessione nel 2014. Soprattutto i biancoverdi hanno dovuto fare i conti con una schiacciante inferiorità cittadina, un boccone duro da digerire in una città che vive il calcio in modo così appassionato. Dal canto suo Pellegrini, non più ragazzino, veniva da un’esperienza poco fortunata con il West Ham che poteva suggerire la sua carriera da allenatore avesse imboccato il viale del tramonto. Un matrimonio quindi, quello tra i beticos e l’ingeniero, costruito soprattutto sul senso di rivalsa.

Se tanto ha dovuto fare per ridare fiducia a un ambiente disastrato e a giocatori in una fase complicata della loro traiettoria, il lavoro tattico di Pellegrini non è comunque trascurabile. La chiave il tecnico cileno l’ha trovato con il 4-2-3-1, modulo a lui molto caro. Nonostante qualche scricchiolio di troppo nelle scorse settimane, l’ultimo anno solare del Betis, che ha portato al sesto posto nella scorsa stagione, è stato caratterizzato da una formidabile solidità difensiva, dovuta all’ottimo lavoro del reparto arretrato, ma anche dal lavoro in fase di non possesso di tutti gli uomini avanzati. Aver votato al sacrificio giocatori di talento ed estro come Canales e Fekir è uno dei segni della bontà del lavoro di Pellegrini.

All’ex-allenatore del City piace molto ruotare i calciatori, a maggior ragione in un’annata in cui si è impegnati su più fronti, e  si potrebbe dire che il Betis ha una battieria di 17-18 titolari. Neanche il ruolo del portiere è salvo dal turnover, come dimostra l’alternanza tra Rui Silva e il fedelissimo Claudio Bravo (su cui solitamente ricade la scelta quando le partite contano).

Nella linea difensiva il neo-acquisto German Pezzella, ex-Fiorentina, arrivato per rimpiazzare Aissa Mandi ora al Villareal, fa spesso coppia con il più giovane Edgar, 24enne dal fisico imponente e delle buone letture che gli permettono di intercettare e recuperare parecchi palloni. Da non trascurare anche la presenza di Victor Ruiz, più esperto e quindi centellinato a dovere. Sulla fascia sinistra Alex Moreno, una promessa mantenuta a metà fino ad ora, si è ripreso il posto da titolare dopo una stagione fatta da molti errori difensivi, mentre a destra sono Montoya e Bellerin a dividersi i minuti. Per entrambi si prospettava una carriera ben diversa, ma Pellegrini ha fatto un buon lavoro nel recuperarli mentalmente.

Un altro che deve molto al tecnico cileno è William Carvalho. Il mediano portoghese è un giocatore particolare, molto grosso fisicamente, intelligente e con un buon piede, ma con uno stile di gioco compassato e una fragilità emotiva che ne hanno intaccato la carriera nonostante l’interesse di squadre di alto livello e la presenza fissa nel Portogallo di Fernando Santos. Quest’anno Carvalho, seppur alternandosi col tuttofare messicano Andres Guardado, è tornato a giocare al livello fatto vedere con lo Sporting Lisbona. Una grande notizia anche per la società che per lui esborsò una cifra parecchio esosa. D’aiuto sia per Carvalho che per Guardado è sicuramente la presenza di Guido Rodriguez.

Il mediano argentino, arrivato senza troppo clamore dal campionato messicano, ci ha messo poco ad affermarsi come uno dei migliori centrocampisti difensivi d’Europa (non inganni l’espulsione nel derby). I suoi numeri difensivi sono positivi in praticamente tutte le categorie statistiche, e in molte si trova persino oltre il 90esimo percentile. Se a questo si aggiunge che pur non provando soluzioni particolarmente complesse si tratta di un buon passatore e di un calciatore che non perde troppo il pallone, da una sua eventuale permanenza si capiranno anche le intenzioni del Betis per il futuro.

Uomo fondamentale per Pellegrini insieme a Rodriguez è Sergio Canales. Fantasista dal talento immenso, ma spesso limitato dagli infortuni che ne hanno segnato la carriera. Dalla metacampo in su Canales è il factotum dei biancoverdi. Parte dalla fascia destra, ma ha licenza di accentrarsi e abbassarsi per impostare a piacimento, libero di scegliere quando passare e quando invece portare palla. Dotato di enorme precisione nei passaggi, ma anche di dribbling e capacità di avanzare palla al piede, praticamente quasi tutto quando è in campo passa dai suoi piedi. La scelta di riportarlo sulla trequarti, dopo averlo inizialmente impiegato a centrocampo, ha segnato uno dei passaggi principali nella storia del Betis di Pellegrini.

Altro talento enorme è quello di Nabil Fekir, il cui trasferimento al Betis dal Lione fu particolarmente sorprendente dato che ai tempi si vociferava addirittura di un’offerta del Liverpool. La mezzapunta francese nella scorsa stagione ha raggiunto la doppia cifra di gol+assist, e sarà determinante ottenere da lui un contributo simile. Per ora è a metà dell’opera. Insieme a Canales e Fekir, Pellegrini può disporre di una serie di esterni e trequartisti dalle diverse caratteristiche. Tello è un’ala pura con grandi doti di corsa e aiuto in fase difensiva. Ruibal ha dribbling e corsa, anche se è poco incisivo sotto porta. Rodri è un trequartista giovane e di gran classe, seppur ancora esile fisicamente. Chi sta facendo meglio di tutti però è Juanmi, già a quota 6 gol in stagione. A loro va aggiunto Joaquin, ormai 40enne e probabilmente all’ultima stagione in carriera. Una leggenda vivente del Betis ancora in grado di tanto in tanto di dare un contributo.

A proposito di gol, il Betis è una vera e propria cooperativa. Nessun giocatore in grado di segnare 20 reti, ma insieme a una batteria di fantasisti folta ci sono due centravanti per cui la doppia cifra è abbordabile. Borja Iglesias con Pellegrini lo scorso anno ha ritrovato la forma che lo aveva consacrato all’Espanyol, mentre dal calciomercato è arrivato un altro ottimo elemento come Willian Josè. Entrambi sono già a quota 5 segnature in stagione, cui vanno aggiunte le già citate 6 di Juanmi e le 2 di Fekir.

Nell’ultima settimana il Betis ha subito un piccolo ridimensionamento, incappando in 3 sconfitte contro 3 squadre sulla carta superiori: Atletico, Bayer Leverkusen e Siviglia. Ciò che è balzato all’occhio è stato soprattutto l’atteggiamento fin troppo remissivo e poco combattivo. Su questo Pellegrini dovrà lavorare, convincendo i suoi uomini che il piazzamento in classifica sia in campionato che in Europa non è frutto del caso, ma riflette le qualità di una rosa che ha meritato sul campo la situazione in cui si trova.

Per il futuro poi, sarà importante integrare ragazzi del calibro di Rober, Diego Lainez e il già citato Rodri, oltre a muoversi sapientemente sul mercato. Con le mosse giuste il Betis può davvero puntare a essere con costanza nelle prime posizioni. Così come da progetto del suo ingegnere.

Manuel Pellegrini dà indicazioni alla sua squadra di Siviglia
Pellegrini ha completamente cambiato pelle al Betis (Foto: Fran Santiago/Getty Images – OneFootball)

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