Voi credete nel destino? C’è chi risponde sì e lo usa come giustificazione delle più grandi delusioni o come rafforzamento delle cose belle che capitano. C’è chi risponde no e non si lascia disilludere. Sicuramente ad esistere sono le coincidenze. Quelle occasioni o eventi straordinari che fanno sbrogliare il filo rosso che congiunge due punti distanti ma inevitabilmente legati, come potrebbero essere l’Estadio Juan Domingo Peron e San Siro. Sì perché che crediate nel destino o meno, questa storia congiunge davvero i due stadi alle due facce del mondo.
Oggi è il 22/10. E non è invece una coincidenza se parliamo in questa giornata di due fuoriclasse che per l’Inter hanno segnato, oltre che importanti gol, un grande impatto tanto per la società che per la tifoseria. Uno è Lautaro Martinez, il Toro col numero dieci sulla schiena, che oggi trascina l’attacco della Curva Nord del Meazza insieme a Lukaku. L’altro è Diego Milito, che certo non ha bisogno di molte presentazioni. C’è un giorno simbolico però in cui avvenne il passaggio di testimone tra il numero 22 e il numero 10 interisti.
Bisogna scorrere indietro di cinque anni, e andare dall’altra parte del mondo. Siamo sui campi del Racing Club in Argentina in una giornata di fine ottobre. E l’allenatore della squadra fa una scelta che sa di profezia, sostituendo Milito con Lautaro. L’esordio del giovane sarà l’inizio della sua carriera, che passerà proprio dall’Italia, dove il compagno argentino aveva solcato il terreno e conquistato i gradini più alti del calcio. Una responsabilità tosta e un talento personale grande, ma che sta ancora crescendo: lo Sliding Doors di Lautaro Martinez.
Un pallone non mancava mai
Dormivano tutti in una stanza, tre figli, mamma e papà. L’infanzia di Lautaro Martinez non è stata facile. A raccontarlo è stato lui stesso in una lunga intervista a La Repubblica, in cui ha posto una lente di ingrandimento su quello che si è lasciato alle spalle in Argentina. Nel 1997 è venuto al mondo a Bahia Blanca. C’erano pochi soldi ma tanta passione per lo sport.
Suo padre era stato a suo tempo un calciatore e aveva così trasmesso l’amore per il fútbol ai suoi figli. Venerato come una religione, per lo sport di Maradona, come ha spiegato Lautaro, c’era sempre il tempo e i suoi genitori non gli hanno mai fatto mancare la possibilità di andare agli allenamenti, che fosse in bicicletta, in bus o a piedi.
I soldi erano molto pochi, ma un piatto in tavola e un pallone non ci sono mai mancati. Se ce l’ho fatta è merito dei miei genitori.
La prima squadra fu quella della sua città. Lì iniziò a giocare da difensore, un passato che il numero 10 nerazzurro sente ancora suo, nell’accanirsi contro chi possiede palla anche in fase offensiva. Prima di passare al Racing poi, ha giocato con il Liniers per una stagione. Da qui però fu notato dall’allenatore del club di Avellaneda, dove poi è effettivamente rimasto fino al 2018.
Dopo una stagione salì in prima squadra, avendo quindi la possibilità di condividere campo e allenamenti con giocatori più forti e affermati nel calcio argentino e non solo. Il suo esordio nella prima serie avvenne il 31 ottobre 2015, quando entrò all’80esimo con una sostituzione. Quella data fu a dir poco importantissima per la sua carriera.
Lo Sliding Doors di Lautaro Martinez
Chi l’avrebbe mai detto che quella sostituzione sarebbe diventata molto di più? Nel giorno di Halloween di cinque anni fa infatti, Lautaro Martinez stava sedendo tranquillo – si fa per dire – sulla panchina del Racing. In campo c’erano i suoi compagni e tra tutti uno, Diego Milito. Tornato da un anno al Racing Club, El Principe, aveva deciso di chiudere la sua carriera nel club dove era iniziata.
L’attaccante argentino infatti allo scoccare del XXI secolo era sceso sui campi da calcio della squadra di Avellaneda, nella periferia di Buenos Aires, e lì era tornato dopo dieci anni di carriera. Una carriera bella e importante, che ha avuto la sua coronazione con la piena conquista della Milano nerazzurra. Soprattutto nella stagione del suo arrivo, 2009-2010, con il Triplete vinto da protagonista.
La partita si giocava contro il Crucero del Norte, squadra allora nelle zone molto basse della classifica e sulla carta meno preparata rispetto al Racing. I primi 45 minuti sono infatti coerenti con le aspettative, e a violare le porte sarà soltanto il colpo di Milito nel recupero del primo tempo. Un colpo di testa sotto porta è l’occasione per il vantaggio prima di andare tutti nello spogliatoio.
Appena rientrati in campo, però, La Academia vuole ipotecare già la vittoria e Leonardo Grimi buca la rete per il 2-0. Il dominio della squadra continua e sarà di nuovo Diego Milito, questa volta di destro, a segnare il terzo gol della partita e l’ottavo nella stagione.
Arriva l’80’. Mancano 10 minuti al fischio finale, e un giovane Lautaro Martinez siede a bordo campo con le gambe pronte a scattare. Nel Racing aveva giocato anche nelle giovanili, ma mai fino ad allora era giunta l’occasione di esordire nella Primera Division argentina. Diego Cocca, l’allenatore della squadra, decide così di far entrare il 18enne di Bahia Blanca proprio al posto dell’uomo partita Milito.
L’allievo e il maestro. Il piccolo e il grande. Il futuro e il passato. Lo scambio tra i due attaccanti è uno scambio generazionale, come di quelli che spesso si vedono nei casi in cui negli ultimi minuti di una partita, ormai con la vittoria in tasca, si dà la possibilità di masticare un po’ di gioco ai giovani.
I dieci minuti di Lautaro sono modesti. Il suo gol in campionato arriverà soltanto un anno dopo, nel novembre 2016. Ma là, nel dietro le quinte del Racing, c’era già chi lo chiamava El Toro.
L’arrivo in Serie A
Ad inventare il soprannome fu Santiago Reyes, suo compagno di squadra al Racing.
Avevo 17 anni. Ero forte e bruto: mi scontravo con tutti.
Anche questa sua attitudine sarà piaciuta alla dirigenza interista, che, messi gli occhi su di lui, gli propose di trasferirsi a Milano nell’estate del 2018. Lautaro si era mostrato anche in qualche amichevole in Nazionale a partire dal marzo di quell’anno, segnando per la prima volta contro l’Iran. Ma soprattutto nell’ultima stagione al Racing, si mise in evidenza segnando 15 reti, nonostante l’iniziale salto di sei partite per un infortunio al metatarso.
L’Inter, comunque, non sembrava fosse l’unica opzione. A contenderlo c’era anche il Borussia Dortmund. Giocare in Europa sarebbe stata una soddisfazione a prescindere, ma la scelta del Biscione è avvenuta per l’importanza della sua storia e per il livello dei giocatori, come ha raccontato lui stesso.
Il suo exploit in Serie A tuttavia, non sarebbe accaduto senza la presenza di Luciano Spalletti e l’assenza, dal campo, sempre più frequente, di Mauro Icardi. L’esordio avviene in una mediocre partita contro il Sassuolo, il 19 agosto, persa per un gol a zero. Dopo un mesetto però, è arrivata la prima rete di Lautaro in campionato, in seguito la doppietta in Coppa Italia e ancora in Europa League. A marzo si conquista ufficialmente il pubblico interista con il terzo gol segnato dal dischetto nel derby della Madonnina. La vera consacrazione arriverà qualche mese dopo.
L’exploit di Lautaro
Lautaro Martinez sta giocando in questo 2020-21 la sua terza stagione interista, dopo un’estate passata tra le notizie di cronaca che lo vedevano spesso affiancato al Barcellona. Per le più bizzarre addirittura protagonista di uno scambio con Messi. La sua affermazione di diritto nel calcio europeo è arrivata però lo scorso anno: l’arrivo in panchina di Antonio Conte e in attacco di Romelu Lukaku è stato definitivo per la sua crescita.
Non si esagera infatti a chiamarli gemelli del gol. L’incontro tra la fisicità del belga e l’istintività dell’argentino hanno trovato perfetto adattamento nel gioco di Conte. I due sembravano conoscersi da sempre e giocare insieme ha aiutato entrambi a crescere e familiarizzare con il campionato italiano. La seconda stagione in Serie A di Lautaro ha contato 14 gol e soprattutto in Europa la Lu-La ha dimostrato freschezza, forza e grandissimo margine di miglioramento.
La stagione è terminata con la sconfitta in finale di Europa League contro il Siviglia, ma con un record personale che rimarrà negli annali nerazzurri. Lautaro (21) e Lukaku (34) hanno raggiunto insieme quota 54 gol stagionali. Sopra di loro solo Lewandowski e Gnabry, campioni della Champions, con 78 gol.
Ma quello che è certo è che con una coppia d’attacco così l’Inter può davvero auspicare a un protagonismo non solo italiano. Se Lautaro continuerà a seguire le orme dell’ex compagno Diego Milito, si potrà solo pensare positivo. Si potrà persino iniziare tutti a credere nel destino.
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