Il 20 gennaio 1985, Paolo Maldini era ancora lontano dalla torta con le 17 candeline. Eppure, quel giorno iniziò una storia d’amore prevista, ma non scontata.
Eredità rossonera
Senso della morale, del dovere, della fedeltà e dell’etica. Sintesi telegrafiche di come si può descrivere un’icona del calcio. Riassunto emblematico dell’apice a cui può aspirare un calciatore bambino che sogna di vestire i colori della maglia del cuore. Se poi ci aggiungiamo tecnica e correttezza, velocità e prestanza fisica, bisogna star attenti a rimanere ancorati a terra. Perché giocatori così sono esistiti davvero.
Il nostro calcio può vantare un discreto numero di bandiere. Tra queste non può mancare la persona di Paolo Maldini, con la sua dinastica dedizione al Milan. Da dove tutto è cominciato? Nonostante il cognome predestinato e un talento che probabilmente sarebbe sbocciato comunque, la sua entrata in scena nel palcoscenico italiano del calcio è arrivata presto. Aveva 16 anni e si ritrovò in prima squadra per qualche coincidenza. Da quel giorno però, ha saputo lui stesso diventare autore del suo destino, scrivendo una storia che continua tutt’ora: lo Sliding Doors di Paolo Maldini.
Quando Paolo Maldini nacque a Milano nel 1968, suo padre Cesare aveva lasciato il calcio giocato da appena un anno, concludendo l’incredibile carriera nel Torino. Cesare Maldini, una delle prime bandiere rossonere, aveva infatti compiuto un’inimitabile ascesa con la maglia del Diaviolo, dove nei suoi dodici anni di gioco aveva indossato anche la fascia da capitano. Giocando 347 partite con la squadra della Curva Sud del Meazza, Cesare diventò uno dei simboli di quel calcio romantico e casalingo degli anni sessanta. E uno dei suoi sei figli, Paolo, avrebbe calcato le sue orme.
Quando Maldini-figlio si avvicinò al calcio, l’importanza di quel nome e di quella maglia lo guidavano verso un futuro che alla fine sarebbe stato simile, e anzi, ancora più glorioso, di quello di Maldini-padre. Dopo il provino nelle giovanili del Milan nel 1978, Paolino iniziò a crescere sotto l’orgoglio rossonero di famiglia. E da quel giorno infatti, non si tolse più quei colori di dosso.
Inoltre, il momento di staccarsi dall’egida del padre ed emergere invece come personalità distinta e comunque diversa, arrivò presto, molto presto. Per caso, come accade spesso per le più grandi occasioni. Accadde nella stagione del 1984/1985, quando si giocava la prima partita del girone di ritorno della Serie A. Paolo Maldini era un giocatore della Primavera e non aveva mai salito lo scalino della prima squadra. Mai, prima della vigilia di Udinese-Milan.
Lo Sliding Doors di Paolo Maldini
Mancavano pochi giorni alla trasferta a Udine e il cielo del Nord Italia era perlopiù bianco-neve. Faceva freddo e il ghiaccio copriva le strade, perfino la tratta da Milano al Friuli. La partita in trasferta dei rossoneri era quindi un’incognita, e tra i cristalli di ghiaccio vagava nell’aria anche l’ipotesi del rinvio del match.
Nel frattempo però, a Paolo Maldini fu detto si prepararsi, perché nel caso si fosse giocato sarebbe toccato a lui prendere il posto dell’indisposto Mauro Tassotti. Il ragazzo appena 16enne, con la maglia numero 14 sulle spalle, e l’ombra di essere “figlio di Cesare” che ancora lo copriva, fece la borsa per partire per la gara. Era la prima volta che il difensore, ancora verde e inevitabilmente inesperto del massimo campionato, sedeva di fianco ai più grandi della sua società.
Guardò il primo tempo dalla panchina, rinchiuso nel giaccone per coprirsi dal gelo. Di fianco a lui c’erano Nuciari, Ferrari, Cimmino e Giunta. Mentre Liedholm aveva schierato la difesa a quattro con Galli, Baresi, Russo e Di Bartolomei. Dopo poco più di dieci minuti Selvaggi dribbla in area difensore e portiere e porta l’Udinese in vantaggio. Ma sullo scadere del primo tempo il centrocampista Battistini si fa male, e tutto diventa un’incognita.
Paolo Maldini non credeva che fosse davvero capitato a lui. Ma l’allenatore gli chiese dove fosse solito giocare e lui disse a destra. Si riscaldò nell’intervallo e dal primo minuto del secondo tempo esordì in Serie A. Era il 20 gennaio del 1985 e Paolo Maldini, uno dei più grandi difensori italiani di sempre, iniziava a scrivere la sua epopea con la maglia rossonera.
In campo Maldini appare sicuro e determinato, a suo agio tra i compagni più esperti. Con qualche intervento chiude con perfetto tempismo alcuni episodi fondamentali. Grazie anche a lui il Milan riesce a tenere testa all’Udinese pur insidiosa. Al 63′ poi Hatelay regala il pareggio alla rosa milanese. E i complimenti vanno anche al ragazzino 16enne che era riuscito a spogliarsi del cappotto pesante per combattere nel gelo. Quella, in fondo, era solo la prima delle grandi battaglie che avrebbe affrontato con quella divisa.
Paolo Maldini e il fiorire della sua carriera
Paolo ha un grande avvenire.
L’allenatore rossonero Nils Liedholm sintetizzò così, a caldo, il tempo giocato dal giovane Paolo. Oggi, dopo più di trent’anni da quel giorno, sentiamo di dire che aveva proprio ragione. L’avvenire di Paolo Maldini era sul punto di sbocciare.
Dopo la trasferta di Udine infatti, Maldini iniziò sempre di più a entrare nelle grazie dell’allenatore, che lo schierò a sinistra. Lì dove poi rimase per quasi tutta la sua carriera. Dopo un paio d’anni arrivò anche il primo gol in Serie A contro il Como. Ma quello che il difensore seppe dare alla squadra e ai suoi tifosi erano soprattutto amore e continuità. 647 presenze in Serie A, 7 scudetti, 5 Supercoppe italiane, una Coppa Italia, ma soprattutto 5 Champions League tra l’88 e il 2007, altrettante Supercoppe UEFA, due Coppe Intercontinentali e persino una Coppa del mondo per club. Nei suoi venticinque anni di carriera ininterrotta al Milan, Paolo ha fatto parte dei rossoneri più forti della storia, regalando al calcio puro spettacolo.
Milan, talento e successi
Maldini diventa titolare inamovibile sotto la guida di Arrigo Sacchi, quando arrivano i primi trofei. Nella difesa milanista è il più giovane, di fianco a lui Baresi, Tassotti, Galli e Costacurta da mentori diventano presto compagni alla pari. Paolo inizia a cucirsi la maglia numero 3 sulla schiena, che la società deciderà poi di ritirare dopo il suo addio.
Bisogna tener conto che Paolo Maldini si trovava in una delle squadri più forti del mondo. “Il club più forte di tutti i tempi”, lo chiama la rivista World Soccer parlando dell’era di Sacchi. Tanto in Italia che in Europa quindi, Maldini si trovava sotto le lenti pesanti del calcio mondiale e ormai era diventato chiaro che viveva di vita propria ed era ben pronto a superare anche le prestazioni del padre Cesare.
Con Fabio Capello, inoltre, per la prima volta viene impiegato al centro della difesa. È la finale di Champions di Atene e il Milan doveva affrontare il Barcellona. La squadra italiana, mancante di due dei suoi pilastri, Baresi e Costacurta, ripiega quindi su Maldini. E la prova riesce bene: la prestazione è ottima anche da difensore centrale e Maldini dimostra di saper fare tutto. Dopo qualche anno di difficoltà per la squadra poi, il difensore conquista la fascia da capitano dopo l’addio di Baresi e la terrà al braccio per tutta la successiva era Ancelotti.
Chi parla di lui da compagno lo definisce idolo ed esempio sia come giocatore che come persona. Chi parla di lui da avversario sorride rassegnato. Ronaldo ha dichiarato che dalla sua parte era difficile arrivare sulla fascia: Maldini anticipava, dava noia. Zidane lo ha definito “duro” e Vieri si è lasciato andare all’idea che in cinque anni di derby, dal 1999 al 2005, riuscì a fare solo un gol proprio a causa del muro che Maldini erigeva dalla sua parte. E che per ogni anno sapeva rinnovare e rinnovarsi.
Per questo è difficile indicare la stagione di Maldini al Milan. La sua versatilità, tra fisicità e sicurezza in zona difensiva, e controllo razionale in fare offensiva, lo hanno reso adeguato in ogni momento della storia del Milan. Forse però, l’immagine più iconica è la Champions League alzata a Manchester nel 2003. Dopo un percorso in continuo crescendo, Maldini da capitano guida il Milan verso l’Old Trafford, dove poi si arriverà ai rigori contro la Juventus. Sempre in Inghilterra, poco più di quaranta anni prima, anche papà Cesare aveva alzato la coppa dalle grandi orecchie. Con la maglia del Diavolo e con la fascia da capitano. Più che un passaggio di testimone, un filo rosso(nero) che li ha ricongiunti.
Eredità rossonera (pt. 2)
Paolo Maldini al Milan e il Milan di Paolo Maldini. Un connubio rimasto saldo per tutto il tempo in cui Paolo ha giocato. Tra la partita da 16enne a Udine, e il maggio del 2009 quando si ritirò, Paolo Maldini ha plasmato la sua esistenza con i colori e lo spirito di una sola squadra, in una crescita unica e fatta di continue soddisfazioni e riconoscimenti. Un esempio raro da ripetere.
La sua eredità però non si ferma. Il 2 febbraio 2020 un giovane Daniel Maldini, figlio e nipote dei Maldini grandi, ha esordito nella prima squadra. Lo scorso 6 gennaio 2021, nella gara contro la Juventus, sono diventate mille le presenze totali della dinastia Maldini nel Milan. Suo padre inoltre, lo segue dagli spalti. Dall’estate del 2018 è entrato nella società di Casa Milan con il ruolo di Direttore allo Sviluppo Strategico dell’Area Sportiva, per poi diventare Direttore dell’Area Tecnica. Prima affiancato da Leonardo e Boban, Maldini fa ora coppia con Massara.
Il suo sogno è concreto: contribuire a riportare il Milan ai livelli in cui era quando indossava la fascia da capitato. Nel frattempo, a casa sua, si mastica sempre rossonero.