Un bacio. L’espressione più elementare e idealizzata dell’amore. La manifestazione di un sentimento tanto semplice, quanto intenso e totalizzante. Completamente trasportante. Una delle raffigurazioni più iconiche di questo atto la dobbiamo senza ombra di dubbio al pittore austriaco Gustav Klimt, che tra il 1906 e il 1907 realizzò appunto “Il bacio”, una delle sue opere più famose nonché una delle più celebri dell’intera storia dell’arte.
In un luogo etereo, sospeso dal tempo e fuori dallo spazio tangibile, due figure sono avvolte in un intenso abbraccio. L’uomo cinge la donna e le porge un appassionato bacio. È la glorificazione dell’eros, inteso sia in chiave fisica che platonica. Dell’amore carnale e di quello spirituale. Una fusione di due corpi e due menti che parte dall’incontro delle reciproche labbra.
Un bacio molto famoso, certamente non artistico come quello di Klimt, ma senza dubbio iconico, è quello che si sono scambiati il portiere della Spagna Iker Casillas e la giornalista Sara Carbonero l’11 luglio 2010. A. Johannesburg, le Furie Rosse hanno appena battuto l’Olanda vincendo per la prima volta nella loro storia il titolo mondiale. Nel post-gara, il capitano spagnolo Casillas è pronto per le interviste di rito e all’improvviso cinge con passione la giornalista e la bacia, sulle labbra. Una glorificazione dell’amore, come nel quadro di Klimt, ma non solo tra due individui, ma tra un popolo intero. Quel bacio al termine di Spagna-Olanda è diventato il simbolo dell’impresa della nazionale iberica e la realizzazione fisica di tutto l’amore provato da un’intera nazione in quella notte di luglio del 2010.
Quel bacio era come l’arte moderna
All’alba del Mondiale del 2010 in Sudafrica, il primo nel Continente Nero, la nazionale spagnola è nel momento di massimo splendore della propria storia. Le Furie Rosse vengono dal successo nell’Europeo di due anni primi in Austria e Svizzera, il primo trionfo dal 1964, quando gli iberici vinsero il campionato europeo in casa. Rispetto a due anni prima, Vicente Del Bosque può contare su nuovi protagonisti come Pique, Pedro e Sergio Busquets, prodotti della cantera catalana che sta dominando il mondo, dando vita a quella che passerà alla storia come una delle squadre più forti di sempre.
Il centrale catalano prende il posto di Marchena, titolare in Austria e Svizzera mentre in mezzo al campo rispetto a due anni prima manca Marcos Senna, ma c’è uno Xabi Alonso fatto e cresciuto e pronto a guidare il centrocampo iberico. Davanti la coppia è quella delle meraviglie, Torres-Villa, anche se in Sudafrica solo uno dei due brillerà.
Ai nastri di partenza la Spagna è la grande favorita per la vittoria del Mondiale, anche se c’è da combattere contro la tradizione negativa. Le Furie Rosse non sono mai arrivate in fondo a un campionato del mondo, anche con ottime squadre hanno trovato il modo di venire eliminate. Certo, una Spagna così non c’è mai stata, con quella spina dorsale proveniente dal Barcellona di Guardiola, e gli altri innesti madridisti come Casillas, Ramos e Alonso. La sensazione di poter fare qualcosa di grandioso c’è, ma anche la paura che alla fine possa trattarsi solo di un’enorme illusione è altrettanto viva.
Un bacio, insomma, che cos’è mai un bacio?
L’avventura sudafricana della Spagna, in realtà, inizia nel peggiore dei modi. Nel match d’esordio, le Furie Rosse cadono nella trappola architettata dalla Svizzera di Ottmar Hitzfeld. Gli elvetici ingabbiano gli spagnoli, tagliando le linee di gioco, spezzandone il ritmo. La squadra di Del Bosque è disorientata e al 53’ va sotto con un tap-in vincente di Gelson Fernandes, che spinge in rete il pallone dopo un rimpallo confuso in area di rigore. La Spagna non riesce a reagire e al termine del 90’ deve registrare subito la prima sconfitta nel Mondiale in cui avrebbe dovuto rivestire il ruolo di reginetta indiscussa del ballo.
Nella seconda gara del girone si palesa per la Spagna un impegno decisamente più abbordabile, contro l’Honduras. Del Bosque decide di cambiare pelle alla sua squadra, reinserendo Fernando Torres al fianco di David Villa, apparso troppo isolato contro la Svizzera, e togliendo dal campo David Silva. I cambiamenti danno i loro frutti, anche se sicuramente molto incide la caratura abbastanza modesta dell’avversario. La Spagna supera 2-0 l’Honduras con una doppietta di Villa e si rimette in carreggiata per il passaggio del turno.
Nell’ultima giornata della fase a gironi, le Furie Rosse devono vedersela col Cile, a punteggio pieno fino a quel momento. Ancora due punte per Del Bosque, con Iniesta che torna tra i titolari al posto di Jesus Navas per dare sostegno alla coppia d’attacco. La Spagna parte forte e al termine del primo tempo è già avanti di due reti: prima la parabola da distanza siderale di Villa su una sciagurata uscita del portiere avversario, poi il piattone chirurgico di Iniesta dall’interno dell’area. Il Cile rimane anche in dieci, ma all’inizio del secondo tempo accorcia le distanze con Millar, che trova un tiro deviato che beffa Casillas. Gli uomini di Del Bosque mantengono comunque il vantaggio fino al termine del match e ottengono una vittoria che vale la qualificazione e il primo posto nel girone, col sorpasso proprio ai danni dei sudamericani.
Il bacio di un uomo è la sua firma
Dopo l’inizio in salita, la Spagna ha risalito la china e rimesso tutto in ordine, conquistando il primo posto nel girone H. Agli ottavi, però, la strada riappare improvvisamente ripida. Il tabellone propone infatti l’affascinante e sentitissimo derby iberico col Portogallo. I lusitani sono arrivati secondi nel loro gruppo, alle spalle del Brasile, e rappresentano in tal senso una delle mine vaganti di questi ottavi di finale.
Per la sfida Del Bosque conferma gli undici che hanno battuto il Cile e si porta a casa una sfida molto dura e soprattutto molto brutta. Due squadre spente danno vita a 90 minuti di quasi nulla. Da una parte Ronaldo è latitante e irriconoscibile, dall’altra Torres continua a essere l’ombra di sé stesso e il povero Villa deve lavorare per due in avanti. È proprio El Guaje a firmare il successo delle Furie Rosse, sfruttando all’ora di gioco un filtrante di Iniesta e battendo Eduardo in seconda battuta dopo una respinta del portiere lusitano.
La Spagna si porta così a casa un match combattuto e anche controverso, con un gol di Villa viziato da un’abbastanza evidente posizione di fuorigioco. Alla fine vince la squadra con più qualità in un match narcolettico, defibrillato solo dagli acuti delle fastidiosissime vuvuzelas sugli spalti.
Colla e calce dell’amore
Se agli ottavi di finale l’impegno è stato probante, il tabellone grazia la Spagna ai quarti, proponendo un incrocio sulla carta decisamente più abbordabile contro il Paraguay. I sudamericani hanno già scritto la loro storia. Per la prima volta sono arrivati ai quarti dei mondiali e la pancia ha già iniziato a riempirsi a sazietà. Il Paraguay ha vinto il proprio girone sfruttando anche l’irriconoscibile Italia del Lippi bis, poi ha superato agli ottavi di finale il Giappone ai rigori. Ora si trova davanti una sfida quasi impossibile contro la Spagna.
Senza troppe pretese, il Paraguay prova più a distruggere il gioco degli iberici che a creare il proprio. Del Bosque conferma ancora una volta lo stesso undici, ma ancora una volta la sua squadra non brilla. Come con la Svizzera, la Spagna fatica a trovare ritmo. Fa la partita perché il Paraguay nemmeno ci prova, ma i centrocampisti sono ingabbiati e linee di gioco completamente tagliate. Gerardo Martino compie il proprio capolavoro di devastazione totale.
Nel secondo tempo poi succede di tutto. Al 58’ Pique strattona in area di rigore Oscar Cardozo e l’arbitro indica il dischetto. L’attaccante paraguaiano tira però un rigore molto brutto, centrale, e Casillas sventa la minaccia. Tre minuti dopo il difensore sudamericano Alcaraz atterra in area Villa, giunto a tu per tu col portiere, e l’arbitro indica ancora il centro dell’area. Xabi Alonso a differenza di Cardozo segna, ma il direttore di gara fa ripetere per l’ingresso di alcuni calciatori spagnoli in area. Alonso stavolta fa esattamente come Cardozo, anche se tira un filo meglio, e si fa ipnotizzare da Villar.
Dopo le montagne russe dei due rigori passano altri venti minuti e alla fine, al minuto 83, la Spagna riesce finalmente a sbloccare questo agonizzante match. Pedro viene pescato in area, batte in diagonale Villar, ma il pallone impatta sul palo. La sfera carambola quindi sui piedi di Villa, che mira sull’altro angolo e scarica. Ancora palo, ma la sfera poi si deposita in rete.
La Spagna abbatte il muro del Paraguay, ancora una volta con David Villa, mattatore assoluto di questo Mondiale. I sudamericani escono a testa altissima dalla competizione. Le Furie Rosse conquistano la semifinale, ma davanti si trovano un ostacolo molto più arduo di quelli incontrati sinora.
Oh dammi mille baci e cento ancora
“Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. Questo mantra di Gary Lineker fotografa al meglio la storia dei Mondiali: in qualche modo, la Germania negli atti finali c’è sempre. La Nazionale teutonica crea spavento, ha una capacità di vincere e una tradizione fuori dall’ordinario. Nel 2010 però fa ancora più paura del solito, perché il suo cammino in Sudafrica è semplicemente eccezionale.
Il girone vinto con le vittorie su Australia e Ghana, nonostante la sorprendente sconfitta contro la Serbia alla seconda giornata. Poi una fase finale, il vero habitat naturale dei tedeschi, pazzesca. Agli ottavi la squadra di Löw supera l’Inghilterra con un secco 4-1. Ai quarti la Mannschaft rifila un altro poker, stavolta all’Argentina. Due delle squadre più attrezzate del Mondiale spazzate via come se niente fosse. La Spagna fino a quel momento invece ha faticato tremendamente, vincendo solo di misura e con un cammino meno probante. Insomma, i presupposti per ammirare la perfetta vendetta per la sconfitta di due anni prima ci sono tutti.
La Germania infatti è stata la finalista di Euro 2008, battuta in finale dalla Spagna grazie a un gol di Torres. E proprio El Nino, l’eroe di Vienna, è la grande novità di questa gara. O meglio, lo è la sua assenza. Dopo una serie di prestazioni a dir poco opache e di sostituzioni premature, Del Bosque decide di tirarlo fuori dall’undici di partenza, premiando la vivacità di Pedro. Dall’altra parte, Löw deve fare a meno dello squalificato Müller.
Tutto ciò che non è riuscito contro Portogallo e Paraguay viene messo in campo dalla Spagna contro la Germania. Le Furie Rosse partono forte, incalzano i teutonici e li avvolgono nella propria rete di palleggi. La violenta Mannschaft, capace di rifilare otto gol a Inghilterra e Argentina, pare un cucciolo indifeso. Si difende come può, resiste e attende. Attende tanto, troppo e l’attesa si spezza al 73’. Sugli sviluppi di un calcio d’angolo svetta Carles Puyol, che incorna e batte Neuer. Il trionfo della fisicità, il salto in cielo del difensore, proprio contro la Nazionale più fisica per antonomasia. La Spagna indebolisce con le proprie armi la Germania, e poi la ferisce a morte con la sua stessa spada.
La capocciata di Puyol è decisiva e vale alla Spagna la finale. Finalmente, a una curva dal traguardo, si rivede la grande Spagna di due anni prima. Quella che avrebbe potuto e dovuto vincere il Mondiale senza grossi patemi. Giusto in tempo.
La parte più difficile non è il primo bacio, ma l’ultimo
Nell’atto conclusivo del mondiale sudafricano, l’11 luglio 2010 a Johannesburg, si affrontano Spagna e Olanda. Torna una finale tra due squadre che non hanno mai vinto un Mondiale. Le Furie Rosse non hanno mai nemmeno disputato una finale. I tulipani invece ne hanno perse due, nel 1974 e nel 1978, e sono davanti a un’occasione di riscatto importante. Per entrambe le squadre è un appuntamento con la storia ricco di ansie e vertigini.
L’Olanda è la grande sorpresa di questo Mondiale. Punteggio pieno in un girone insidioso con Giappone, Danimarca e Camerun. Poi agli ottavi il successo sulla Slovacchia e soprattutto ai quarti quello sul Brasile, con una doppietta firmata da Wesley Snejder, al momento tra i migliori giocatori al mondo e reduce dal triplete con l’Inter. In semifinale gli Oranjes hanno superato l’Uruguay con un pirotecnico 3-2 e ora si trovano di fronte la Spagna.
Il match è un ballo delle debuttanti e l’ansia della prima volta si riflette con forza in campo. La sfida è nervosa, molto spezzettata. Le due squadre inizialmente combinano poco, poi però si prendono le misure a vicenda, ma non riescono a farsi male. Le occasioni ci sono, da una parte e dall’altra. Soprattutto sui piedi di Robben, che però si fa ipnotizzare clamorosamente da Iker Casillas nel duello a tu per tu.
La contesa si prolunga ai supplementari. All’inizio del secondo tempo viene espulso Heitinga, poi al 113’ la luce. Fabregas pesca Iniesta in posizione defilata in area di rigore. L’illusionista catalano controlla il pallone e dopo un rimbalzo sull’erba lo scarica violentemente alle spalle di Stekelenburg. Tutto s’infiamma, tra il rosso del fuoco e il giallo della luce. Iniesta è un toro impazzito, strilla la sua gioia e intanto mostra la sua dedica a Dani Jarque, venuto tristemente a mancare quasi un anno prima.
La zampata di Iniesta è il colpo di grazia per l’Olanda, che perde la terza finale mondiale della sua storia. È il paradiso per le Furie Rosse, la realizzazione di un sogno. L’estasi. Per la prima volta nella sua storia, la Spagna è campione del mondo. Il sipario può calare sul Mondiale sudafricano.
Il bacio è immortale
Quello che segue è il trionfo della gioia e del piacere. Dell’amore. Il Mondiale del 2010 per la Spagna è un enorme bacio di Klimt. Il Sudafrica sembra un po’ un posto etereo, senza tempo e spazio. Mai un Mondiale si era giocato in Africa. Mai la Spagna aveva vinto un Mondiale. Le Furie Rosse hanno rotto il tempo, hanno battezzato un nuovo spazio calcistico, fino ad allora inesplorato. Ma è stata una vittoria sofferta, quindi ancora più appassionante. Perché l’amore penetra più a fondo quando è sofferto. La Spagna doveva dominare gli avversari e invece non l’ha praticamente mai fatto. Ha vinto di misura sempre, tranne che con l’Honduras. Ha saputo resistere e poi trionfare.
Il gol di Iniesta è l’esplosione dell’amore, con quella toccante dedica a Dani Jarque, a chi non c’è più, ma rimane sempre presente. Il capitano dell’Espanyol è venuto a mancare l’8 agosto 2009, stroncato da un arresto cardiaco. A soli 26 anni. Anche lui, dall’alto, si unisce al trionfo della Spagna. Un paese tradizionalmente diviso, ma unito in un’unica massa festante dall’amore che solo il calcio, con le sue grandi imprese, sa instillare.
E poi arriva qualcuno che fa cadere tutti i simbolismi, e ci regala la realizzazione pratica di tutto quello che sta accadendo. Casillas bacia Sara Carbonero, la sua fidanzata, regalando un momento memorabile nella storia della Spagna. I due amanti, stretti in un bacio appassionato, diventano il simbolo del trionfo di un intero popolo. Della glorificazione dell’amore. Come nel bacio di Klimt.
LEGGI QUI TUTTE LE SUGGESTIONI