Quando si parla di calcio, spesso, si fa riferimento a grandi campioni. Ci si ricorda di un gol, di un gesto tecnico, di una valle di lacrime ai piedi di una coppa alzata al cielo da altri. Associamo il calcio alle figure che ne hanno segnato la storia. Un giocatore, un allenatore, una bandiera che ha dedicato la propria carriera a portare in alto il nome di una singola società.
Capita alle volte, però, che insieme alla storia scritta sul campo, una squadra si carichi sulle spalle del peso di rappresentare un’intera città. Un popolo. Squadra e tifo si mescolano in un tutt’uno che non è possibile scindere e che di conseguenza facciamo fatica a delimitare con esattezza.
Quando parliamo di Borussia Dortmund è impossibile non avere in mente il muro giallo del Signal Iduna Park. Altrettanto impensabile parlare di calcio sudamericano, e argentino, senza evocare La Bombonera e tutto quello che ne consegue con il susseguirsi negli anni di partite dal risultato che nessuno ricorda più, ma che hanno fissato nell’immaginario collettivo un’idea di tifo ben chiara e precisa. Fatta di calore e folklore.
La Stella Rossa di Belgrado
La Seconda Guerra Mondiale è entrata nell’ultima fase della sua terribile e controversa storia. In Europa si comincia con fatica a vedere una luce in lontananza fatta di speranza e rinascita, e il calcio come sempre fa da culla e cornice al proliferarsi di storie.
Siamo nel febbraio del 1945 e un gruppo di studenti dell’Università di Belgrado, dalle ceneri del SK Jugoslavija, fondano la società che oggi conosciamo tutti con il nome di Stella Rossa di Belgrado (Fudbalski klub Crvena zvezda, ndr).
Il primo trofeo (la coppa di Jugoslavija) conquistato nel novembre del 1948 e il primo campionato vinto nel 1951. E poi un susseguirsi di titoli vinti in patria, fino all’exploit del periodo d’oro con la generazione di fenomeni sul finire degli anni ’80 e nei primi anni ’90, che hanno segnato il calcio anche a livello europeo.
La Stella Rossa di Belgrado però è famosa anche, se non purtroppo soprattutto, al grande pubblico per la propria tifoseria. Per uno stadio, il Rajko Mitić di Belgrado conosciuto anche come Marakana, con un riferimento decisamente esplicito, e una tifoseria altrettanto calda, finiti entrambi più e più volte sui giornali per fatti che nulla hanno a che fare con il calcio giocato. Non solo però le infinite e durissime sfide durante il derby eterno al Marakana contro gli odiatissimi fratelli del Partizan Belgrado.
Il 13 maggio 1990, infatti, si sarebbe dovuta giocare, a Zagabria, la sfida contro gli storici rivali della Dinamo ma, mai come in quel periodo, il calcio era solamente la punta dell’iceberg di un profondo e radicato processo di trasformazione che stava travolgendo la Jugoslavia. Quella partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa non si giocò mai.
I risultati, dal punto di vista storico, che seguirono il voto del 6 maggio in Croazia con conseguente vittoria dell’Unione Democratica Croata di Tudman, sono oggi normalizzati nell’immaginario collettivo, ma è difficile anche solo ipotizzare quale fosse all’epoca il clima che portò a quella partita. A dimostrazione di come il calcio spesso sia solamente un veicolo. Di emozioni. E tanto altro.
12/10/2010, Italia-Serbia
Il nostro calcio, dopo i fasti del 9 luglio 2006, ha vissuto un momento cupissimo, sulla scia di Calciopoli, figlio di una generazione di talenti andati in pensione e senza degni eredi pronti a sostituire i campioni che ci hanno regalato la gioia più grande dal 1982. La spedizione in Sud Africa è stata un totale fallimento e sulla maglia azzurra le critiche cadono impetuose come un temporale. Le qualificazioni ad Euro 2012 sono forse l’occasione migliore per lasciarsi alle spalle un brutto periodo. Come insegna lo sport e come fa il calcio, che nel tempo ha dimostrato più volte di essere capace.
La mattina del 12 ottobre 2010, a Genova, nulla avrebbe fatto presagire quello che da lì a qualche ora avrebbe offerto probabilmente uno degli spettacoli peggiori visti nel nostro calcio. Protagonisti, ancora una volta, i tifosi serbi e della Stella Rossa. In campo a sfidarsi sul terreno di Marassi l’Italia, ovviamente, e la Serbia. Una valanga di tifosi ospiti riversati dai Balcani pronti a sostenere la propria squadra e un finale di partita tutt’altro che scritto.
Nel pre partita, però, la situazione già aveva mostrato l’incipit di un qualcosa che nessuno si sarebbe immaginato. Scontri tra tifosi serbi e polizia iniziati prima del fischio d’inizio e proseguiti poi per tutta la notte. Un fischio d’inizio che, tra l’altro, è stato posticipato di quasi quaranta minuti e che poi ha visto il calcio giocato, quello che veramente conterebbe, per appena 6 minuti. Al termine della situazione di crisi i feriti sono stati 16, gli arrestati 17 e oltre 30 invece i denunciati.
Dure le parole di Marta Vincenzi, all’epoca sindaco di Genova:
Mi domando una cosa: chi ha permesso a questi disgraziati di entrare in Italia? Va fatta chiarezza. Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti. Diverse ore prima, alcune centinaia di questi che non possono chiamarsi tifosi si sono radunati. Dopo una fase iniziale in cui sembravano chiassosi, scomposti ma non particolarmente delinquenziali, hanno cominciato a correre, sono volate bottiglie, sono stati imbrattati muri preziosi di palazzi antichi e hanno cominciato a fare i loro bisogni ovunque.
Ivan Bogdanov
Nel marasma visto a Marassi, però, un volto, anche se per buona parte delle immagini che sono arrivate dal campo coperto, è rimasto nell’immaginario collettivo e nella memoria storica di quell’evento. Quello di Ivan Il Terribile Bogdanov.
Un nome che, fino a quel momento, non voleva dire praticamente nulla, ma che a distanza di anni è ancora in grado di evocare alla memoria tutto il susseguirsi di immagini di cui abbiamo parlato fino ad ora.
Sky TG24, all’indomani della non-sfida, lo delinea così:
Il capo della tifoseria serba che ha messo a ferro e fuoco lo stadio Ferraris durante la partita Italia-Serbia si chiama Ivan Bogdanov, ha 29 anni ed è uno dei leader della tifoseria della squadra belgradese Stella Rossa. Con il soprannome di Coi, appartiene alla fazione estremista e militante degli Ultra Boys ed è noto da tempo alla polizia serba.
Senza cercare di fare falsa retorica, è innegabile che negli anni una frangia della tifoseria della Stella Rossa si sia resa protagonista a più riprese di fatti incresciosi. Fatti che, ovviamente, nulla hanno a che vedere con il calcio e ancor meno con il tifo organizzato.
Quello che però va sottolineato è che in alcune zone del mondo il calcio è ancora qualcosa di profondamente territoriale. Tifare non significa solamente sostenere una squadra, ma farsi carico di una serie di questioni extra-calcistiche che vedono sul terreno verde di uno stadio il più rapido strumento di emancipazione e condivisione.
Il calcio è fatto di storie. Quella della Stella Rossa di Belgrado si lega indissolubilmente con il calore della propria tifoseria.