C’è stata una sfida in particolare, durante l’avventura di Radja Nainggolan con la maglia della Roma, che ha lasciato il segno: Inter-Roma, in una gelida domenica 26 febbraio 2017.
L’aspirazione più grande dell’uomo è la realizzazione dei propri desideri. Di qualunque natura essi siano. La storia culturale dell’umanità è disseminata di riferimenti a pratiche, oggetti e personaggi in grado di garantire, anche se per fugaci istanti, la piena realizzazione di qualsivoglia desiderio umano. Dalla lampada di Aladino alla leggenda del Sacro Graal, l’uomo ha sempre cercato – figurativamente e non – questi oggetti per colmare il senso di vuoto proveniente, in fin dei conti, proprio dal suo essere umano. La finitezza è ciò che ci contraddistingue nostro malgrado, l’esistenza umana si svolge da punto a punto, ha un inizio e un’inesorabile fine e nel mezzo non c’è niente, quantomeno di dimostrato, di mistico o ultraterreno in grado di esaudire i nostri desideri più reconditi.
La croce dell’uomo è la frustrazione dei propri desideri. Proprio per questo le rare volte in cui ogni tessera del mosaico della nostra volontà finisce al posto giusto, quei momenti sono di un’unicità cristallina. Sembra strano quando tutto va bene, quando ogni cosa prende la piega desiderata. Accade di rado, eppure accade. Il tormento della nostra finitezza è proprio ciò che rende il racconto di questi momenti particolarmente evocativo. La storia di oggi riguarda proprio i desideri realizzati, la perfezione volitiva che, raggiunta in una notte, si è eternizzata in una delle prestazioni individuali più memorabili cui abbiamo assistito nel nostro campionato.
Loro combattono perché devono
Nella cultura orientale, il Kuji-kiri è una particolare pratica esoterica, che ha lo scopo di permettere ai ninja di compiere gesta sovrumane. Letteralmente dal giapponese “taglio dei nove caratteri“, si tratta di una sequenza di gesti con le mani, chiamati mudra, che compiuta alla perfezione permetteva l’accesso ai leggendari guerrieri nipponici a poteri che esulavano dall’umana condizione.
Il Kuji-kiri è ciò che deve avere compiuto Radja Nainggolan il 26 febbraio 2017, quando durante un match tra Inter e Roma il belga si è reso protagonista di una prestazione praticamente perfetta, apparendo un gigante tra gli uomini e vivendo quella che, per un calciatore, a livello individuale può davvero essere considerata la piena realizzazione delle proprie aspirazioni professionali.
È dunque il 26 febbraio 2017. La Roma guidata da Luciano Spalletti fa visita all’Inter. I giallorossi si trovano al secondo posto in campionato: un occhio guarda sognante alla Juventus lontana 7 lunghezze, l’altro si preoccupa del Napoli che è sotto di 5 punti. Di fronte lo sguardo si posa sull’Inter, sesta in campionato, agognante un posto nella successiva UEFA Champions League.
È un crocevia importante per la Roma: vincere per mantenere quelle flebili residue speranze di scudetto e per tenere a distanza di sicurezza il Napoli. Una sconfitta complicherebbe il discorso, facendo allontanare definitivamente la Juventus e permettendo ai partenopei di arrivare a distanza d’attacco. Un pareggio farebbe poco più. Il risultato obbligato è la vittoria.
Inter-Roma è sempre una sfida significativa e affascinante, consacrata ormai da quel duello che le due squadre hanno messo in scena nella seconda metà del primo decennio del XXI secolo. La potentissima Inter ha lasciato le briciole in realtà a una Roma tenace e volitiva, ma decisamente troppo meno attrezzata rispetto ai nerazzurri. Eppure i giallorossi si sono tolti le loro soddisfazioni, dal 6-2 in Coppa Italia alle Supercoppe vinte. Resterà sempre, comunque, il rimpianto per quello scudetto mancato nel 2010, gettato all’aria dai capitolini nel match contro la Sampdoria.
I match tra Inter e Roma presentano sempre tantissimi spunti, quello di quel 26 febbraio ne offriva un’ulteriore e ne creerà uno nuovo e memorabile. Calcare il prato di San Siro rappresenta un’emozione sempre particolare per Radja Nainggolan, che proprio su quel prato ha conosciuto per la prima volta la Serie A. Era il 7 febbraio 2010 e il giovane Radja ventiduenne arrivava a coronare il proprio sogno, inconsapevole forse che si trattava solo dell’inizio della sua incredibile storia.
Dopo un’infanzia complessa a causa dell’abbandono del nido familiare da parte del padre, la rivincita di Radja Nainggolan sulle difficoltà e la precarietà cui la vita lo ha messo davanti sta proprio nel rincorrere un pallone in mezzo al campo. E Radja lo fa con una voglia unica, non si ferma mai, non si stanca nemmeno un secondo di lottare per conquistare quel pallone. Chi ha vissuto delle privazioni nella vita sa bene quanto sia importante lottare, quanto sia vitale. Radja non ha mai smesso di combattere, dalla precarietà della sua infanzia all’agiatezza del mondo del calcio. Non ha mai barattato sé stesso con i suoi successi e non perde occasione per dimostrarlo in campo, indossando i panni dei mitici ninja giapponesi, guerrieri insuperabili e spietati, temuti e venerati.
Con i ninja Radja Nainggolan condivide anche gli aspetti negativi che circondano i loro racconti. Sicari, mercenari, assassini senza scrupoli: l’altro lato della medaglia del fascino dei ninja è il terrore che instilla la loro spietatezza. Allo stesso modo, dietro il centrocampista che domina in mezzo al campo c’è un ragazzo che conduce una vita sregolata, fatta di eccessi, foto con sigarette e video discutibili a Capodanno.
Quel 7 febbraio 2010 però in campo non c’è ancora quel ninja amato e odiato a seconda di chi gli si palesa davanti. C’è un ragazzo che sta coronando il proprio sogno, che vive uno di quei rari istanti di piena soddisfazione, destinato al contempo a non rimanere un unicum nella sua vita, ma ad essere bissato sette anni dopo tramite tortuosi e complicati ricorsi.
Il ninja è un esploratore perfetto
Da Inter-Cagliari del febbraio 2010 a Inter-Roma del febbraio 2017 tante cose sono successe. In rossoblù, il ninja si è consacrato come uno dei migliori prospetti del campionato, il 31 ottobre 2010 ha segnato il suo primo gol in Serie A contro il Bologna: una grande botta al volo, su un pallone impennato da un difensore felsineo, che Nainggolan infila in porta all’angolino sinistro. Il belga si afferma come un ottimo centrocampista box-to-box, preziosissimo in fase difensiva, un recupera-palloni impressionante. Più evanescente in fase offensiva, con colpi spettacolari ma sporadici.
Nainggolan resta in Sardegna cinque anni, conquistando i tifosi, tanto da rientrare anche nella top 11 della storia del club sardo. Nel gennaio 2014 però arriva la grande chiamata, quella della svolta per il ninja: la Roma. Nella Capitale, Radja Nainggolan vive una maturazione eccezionale. Arrivato come un ottimo prospetto, ma da semplice alternativa al centrocampo – eccezionale, composto da Pjanic, Strootman e De Rossi – il belga si ritaglia subito un ruolo da protagonista, complice anche il brutto infortunio occorso all’olandese. Esordisce due giorni dopo il suo arrivo nella città eterna, in Coppa Italia con la Sampdoria, ancora contro il Bologna trova anche il suo primo gol in giallorosso, il 22 febbraio 2014.
A Roma il ninja si è contaminato di quello spirito genuinamente romano che anima specialmente la parte giallorossa della città. Lo spietato e cinico ninja ha assunto in sé anche le specifiche del gladiatore, il carattere trascinante, la tendenza alla spettacolarizzazione della propria performance. Tanto i ninja agivano nell’ombra, tanto i gladiatori offrivano uno spettacolo “mediatico“, per quanto il termine sia decontestualizzato per l’epoca.
A Roma Nainggolan si completa, fondendosi con l’anima primigenia romana, acquisendone anche in questo caso pregi e difetti. Il carattere, la voglia, l’attaccamento hanno fatto da contraltare a una certa spregiudicatezza che in fondo è insita nel gene capitolino. Questo mix ha realizzato il prototipo del perfetto centrocampista moderno, che corre, recupera palla, la gestisce e finalizza. Nainggolan a Roma è diventato un centrocampista completo, tra i più forti al mondo nel suo ruolo, e la notte del 26 febbraio 2017 è quella della sua definitiva consacrazione.
La vita di un ninja non si misura da come è riuscito a vivere, ma da cosa ha fatto prima di morire
Torniamo dunque al punto d’inizio della nostra storia. La Roma va a Milano per continuare il proprio ottimo campionato. Tra i giocatori più in forma e decisivi c’è ovviamente Radja Nainggolan, spostato trequartista da Spalletti in una delle sue numerose intuizioni tattiche. In quel momento il belga è tra i migliori interpreti del suo ruolo, eppure quella finitezza latente nell’essere umano lo tormenta. Serve qualcosa in più, l’aspirazione è alla perfezione, il desiderio è di eternarsi. Serve una scintilla, un quid che plachi quel tormento.
Tutti conosciamo la saga di “Harry Potter“, la più celebre del nostro tempo con tutta probabilità. Il punto di svolta, supremo, in tutta la narrazione, si trova nel sesto film, quando in una complessa fase di stallo Harry attinge a una particolare pozione, la “felix felicis“, in grado di fargli realizzare, per un giorno, qualsiasi obiettivo si ponga. Detto fatto, Harry beve la pozione, conosce il segreto di Voldemort e la chiave per sconfiggerlo, senza quell’aiuto esterno probabilmente non sarebbe mai stato in grado di farcela.
Qual è il senso di questa digressione cinematografica? L’aspirazione al superamento dei propri limiti. Nella vita si arriva sempre a un punto massimo, oltre il quale è difficile procedere con le proprie forze. La finitezza porta l’uomo a non poter andare oltre i propri limiti tendenzialmente, salvo rare volte. Ci sono poi momenti, quegli unici e cristallini istanti di cui si parlava sopra, in cui quei limiti vengono bruciati, in modi spesso inesplicabili. Si “getta il cuore oltre l’ostacolo“, si attinge a forze difficili da razionalizzare, eppure si beffa quella concezione cardine dell’esistenza umana che impone l’insuperabilità dei limiti. Quella sera a uno dei migliori centrocampisti del mondo serviva quella pozione potteriana, al ninja serviva ricorrere al “Kuji-kiri”, a Nainggolan serviva una prestazione che lo consacrasse definitivamente. E tutto ciò accadde.
Minuto 12. Edin Dzeko raccoglie palla, col sinistro allarga per Radja Nainggolan, spostato sull’out di sinistra. Lì il belga raccoglie il pallone, ha davanti a sé Gagliardini. Con un primo tocco verso l’interno del campo lo spiazza, l’interista deve torcersi e il romanista guadagna una frazione di tempo. Un tocco di palla e strappa, un altro tocco e mette il nerazzurro alla giusta distanza di sicurezza. A quel punto basta solo il giusto impatto col pallone: il destro viene caricato, colpisce la sfera con un giro talmente rapido e potente dal risultare quasi impercettibile. In un istante il pallone dal piede di Nainggolan si trova alle spalle di Samir Handanovic. Una prodezza che apre la serata magica del ninja.
Nainggolan da lì continua a dominare la scena, mettendo in mostra da buon gladiatore tutto il proprio repertorio. La scivolata arpionata, il tratto di maggior distinzione del belga, che riassume in sé le sue due anime: quella orientale e quella romana. Con la spettacolarità del gladiatore insegue lo avversario, si butta con veemenza sul pallone, con la pragmaticità del ninja arpiona la palla, la riprende e fa ripartire l’azione. Poi gli strappi, i dribbling, gli scatti, un agglomerato di giocate preziose con cui prepara il colpo del k.o.
Colpo che arriva al minuto 56. Il portiere giallorosso Szczesny rinvia il pallone alla ricerca proprio del ninja, che con un movimento a sgusciare si libera nel contrasto aereo di Gagliardini. Nella propria metà campo dunque il 4 giallorosso riceve il pallone, alza la testa e va. Continua a trotterellare quasi come se intorno a lui il tempo non scorresse più alla sua canonica velocità. Avanza inesorabile, è un’onda pronta a infrangersi che prendendo campo aumenta le proprie dimensioni e la propria potenza. Il ninja sale, entra nella metà campo avversaria e non trova ostacoli. Davanti Dzeko e Salah recitano la parte dei sacerdoti che accompagnano quel rito, con i loro movimenti verso sinistra portano via gli avversari, si sacrificano per lasciare spazio all’inesorabile avanzata di Nainggolan, consci che è giunto il momento di assistere e non di realizzare.
Nainggolan arriva sulla trequarti avversaria, davanti a lui c’è solo Medel, e il momento di decidere come concretizzare quell’ascesa inesorabile. Strappare sul cileno, cercare i compagni, Radja può fare tante cose: sceglie la più difficile, perché la via della realizzazione è sempre la più ardua. Abbassa la testa, vede quella sfera lì sull’erba, la studia, ne percepisce ogni molecola della sua superficie. Fa partire il piede che impatta il pallone, che in un attimo buca ancora una volta Samir Handanovic. Stavolta il tiro è un diagonale terrificante, su cui lo sloveno davvero non può niente.
Un vero ninja è padrone di sé stesso
Dopo i due gol del ninja, Icardi e Perotti fissano il risultato sull’1-3 per i giallorossi. Il match finisce e passa quell’istante di piena realizzazione, fugace ma eternizzante. Con una prestazione altamente fuori dalla norma Nainggolan si è consacrato, ha lasciato ai posteri la sua fatica più grande, da narrare e rievocare. Ha lasciato ai testimoni della sua prova mozzafiato la sensazione di aver assistito davvero a un evento da ricordare, uno di quelli che si aspetta per tutta la vita.
Il 26 febbraio 2017 è la data in cui Radja Nainggolan ha sconfitto l’essenza limitante dell’uomo, è entrato nel novero di quei calciatori che hanno superato la propria natura, hanno colmato la propria finitezza e saziato l’aspirazione alla propria concretizzazione. Il calcio è uno sport che per antonomasia porta al desiderio di andare oltre i propri limiti e sono diversi i momenti in cui ciò è accaduto, in cui un protagonista ha superato sé stesso con una prova difficile da spiegare in termini razionali.
Per comprendere questa prova di Nainggolan è stato necessario il ricorso a leggende, pratiche esoteriche ed escamotage cinematografici, un intero armamentario di cui la cultura umana si è fregiata per motivare e auspicare il superamento del proprio tormento, causato dai propri limiti.
Razionale o no, quando la piena realizzazione di un individuo avviene, ci lascia sempre stupefatti. E ciò è accaduto quel 26 febbraio del 2017, quando la prestazione mostruosa di Radja Nainggolan con l’Inter ha tolto davvero il fiato a tutti.