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Nemiciamici

Nel 1967 il romanziere statunitense Daniel P. Mannix, famoso per aver prodotto il materiale su cui si sarebbe basato Ridley Scott per il suo capolavoro “Il Gladiatore“, pubblicò il romanzo “The Fox and the Hound“. La storia racconta le vicende di una volpe e un cane e qualche anno dopo, nel 1981, è stata ripresa dalla Disney che ne ha fatto il suo classico cinematografico numero 24.

Red e Toby – Nemiciamici“, com’è stato distribuito in Italia, parla appunto dell’amicizia tra una volpe, Red, e un segugio, Toby. Il filo morale che soggiace al racconto è il superamento delle diversità naturali. Una volpe e un cane, diffidenti tra loro per natura, possono essere uniti da un legame saldo, come parte di un unico universo armonico. I nemici diventano amici, nonostante le mille difficoltà e gli impedimenti, apparentemente insormontabili ma alla fine inevitabilmente vinti.

Una storia simile è avvenuta a Berlino, sul finire del XX secolo. In una città divisa, segnata da un secolo di guerre e conflitti, capitale di uno Stato che per ben due volte ha portato scompiglio nel cuore del vecchio continente. Qui, nella capitale tedesca, una volpe massacrata in cerca della propria identità e un cane inesorabilmente fedele al proprio padrone hanno sovvertito l’ordine naturale delle cose e sono diventati amici, anche se per un brevissimo istante. D’altronde non siamo in un qualche reame magico, siamo nella Berlino degli anni ’90 e il lieto fine è un agio che solo il mondo fatato firmato Walt Disney può permettersi.

Ora sono un cane da caccia, io

Il segugio berlinese ha una vita lunghissima. L’Hertha Berlino viene fondato il 25 luglio 1982, il nome originario è BFC Hertha 92. Artefici della nascita del club sono Fritz e Max Linder e Otto e Will Lorenz. Il nome, Hertha, viene dalla nave a vapore sulla quale Fritz Linder aveva viaggiato in una gita con il padre. I colori adottati sono subito il bianco e il blu. La squadra berlinese si afferma presto come una delle più importanti realtà del calcio tedesco, vincendo a cavallo degli anni ’20 i suoi due unici titoli nazionali e disputando in totale sei finali.

L’ascesa dell’Hertha continua anche durante il Terzo Reich, di cui Berlino ne era la gloriosa Capitale. Risale a questi anni, tra l’altro, la costruzione dell’Olympiastadion, che diventerà dopo la guerra la casa dell’Hertha. L’impianto è un vero e proprio monumento architettonico sportivo al nazismo e viene inaugurato dal Führer in persona nel 1936 in occasione dell’inizio dei giochi olimpici. Quest’esaltazione della disciplina sportiva rientrava nel più vasto piano di glorificazione della virilità ariana improntato da Adolf Hitler. Non a caso, tra le altre cose, il regime nazista si occupò anche di riformare i campionati i calcistici e di risistemare in generale il mondo dello sport. 

Berlino Olympiastadion
Olympistadion (Foto: Matthias Kern/Bongarts/Getty Images – OneFootball)

Ad ogni modo, la caduta del Terzo Reich e la fine della dittatura nazista portano a un chiaro sconvolgimento nel paese. La Germania viene divisa, così come Berlino, situata nella parte orientale del Paese ma comunque ridistribuita in zone d’influenza ai 4 vincitori alleati del secondo conflitto mondiale: Usa, Francia, Gran Bretagna e URSS. Ogni retaggio nazista viene prontamente spazzato via e nel calderone cadono anche molte squadre di calcio, sciolte e riorganizzate. L’Hertha Berlino viene ricostituito nel 1945, col nome di SG Gesundbrunnen, per poi recuperare la dominazione originaria nel 1949, quando il processo di denazificazione, quantomeno ad ovest, si muta in un semplice processo di rimozione del doloroso passato dittatoriale.

La situazione della Germania nel dopoguerra è comprensibilmente delicata. Uno Stato diviso, luogo di scontro tra le due grandi superpotenze che polarizzano il mondo. La divisione pian piano si accentua, nascono la BRD (Repubblica federale tedesca) e la DDR (Repubblica democratica tedesca). Se preferite, la Germania Ovest e la Germania Est. La guerra fredda incalza, scoppia il conflitto in Corea, si rischia il disastro a Cuba e, il 13 agosto 1961, spunta un lungo sistema di recinzione che taglia in due la capitale tedesca, dividendo fisicamente uno spazio che ideologicamente era da tempo già ben delimitato. In un clima così politicamente instabile e delicato chiaramente il pensiero non riusciva a concentrarsi su un pallone che rotola sull’erba verde. Come tutte le squadre berlinesi, l’Hertha fatica nel dopoguerra a raggiungere risultati a livello nazionale.

Nel 1963 avviene però un’importante svolta nel calcio tedesco: nasce il primo campionato unico non preceduto da una fase locale o regionale. Vede la luce la Bundesliga e l’Hertha Berlino viene ammesso al campionato nazionale come squadra campione di Berlino. Col salto tra i grandi, l’Hertha si sposta nell’Olympiastadion. Ormai quel passato nazista è quasi completamente rimosso, quel monumento non può far male.

La squadra piano cresce, fino ad arrivare risultati interessanti negli anni ’70, raggiungendo il secondo posto in campionato e giocando la Coppa UEFA. Il punto più alto è senza dubbio il raggiungimento delle semifinali di questa competizione nel 1978/1979, dove l’Hertha si arrende solo agli jugoslavi della Stella Rossa. La sconfitta con la squadra slava è un po’ il canto del cigno dell’Hertha. La squadra aveva calato il proprio rendimento in campionato e l’anno successivo alla cavalcata europea retrocede in seconda divisione. Continua a scendere, per poi ritrovare la Bundesliga solo verso la fine del secolo.

Muro di Berlino
Una celebrazione dei 30 anni dalla caduta del muro, durante Hertha Berlino-RB Lipsia (Foto: Odd Andersen/AFP via Getty Images – OneFootball)

Il nuovo millennio porta una ventata d’aria nuova, fresca e mai assaggiata dall’Hertha. Il club berlinese ottiene i suoi primi successi nella Germania calcisticamente (e non) unita, vincendo nel 2001 e nel 2002 la Coppa di Lega tedesca, battendo entrambe le volte lo Schalke 04. Un fuoco che presto si spegne, visto che verso la fine del primo decennio degli anni 2000 la squadra retrocede di nuovo, passa qualche anno a oscillare tra Bundesliga e Zweite Liga fino al 2013, quando finalmente l’Hertha ritrova la massima serie tedesca e non la lascia più.

Sai come ti chiamerò? Red!

La volpe berlinese ha avuto invece una vita ben più travagliata. La squadra che diventerà poi l’Union Berlin nasce il 17 giugno 1906, nel quartiere di Oberschöneweide, nella zona sud-est della città. Il luogo di nascita della società sarà profondamente influente sulla natura ideologica del club calcistico che lo rappresenterà. Oberschöneweide fu infatti, durante il periodo nazista, uno dei maggiori centri di resistenza operaia al regime. Una dura aspirazione alla libertà che poi verrà anche raccolta dai supporter dell’Union durante il periodo della DDR.

Il club berlinese nasce dalla fusione di Frisch Auf, Preußen e Vorwärts e fu chiamato Fussballclub Olympia 06 Oberschönweide. Presto la neonata società viene affiliata al più strutturato Berliner TuFC Union 92, ma già dal 1909 continua per la propria strada, sciogliendosi dalla collaborazione con l’altro club berlinese e rinominandosi Union Oberschönweide. L’Union gioca le sue prime partite in bianco-blu, proprio come i cugini dell’Hertha. Come loro, nell’immediato dopoguerra, ottiene importanti risultati, raggiungendo le fasi finali del campionato nazionale. In questo periodo spunta anche lo storico soprannome che caratterizzerà i giocatori dell’Union, Eisernen, da Eisern Union, unione di ferro,

L’avvento del regime nazista nel 1933 come detto porta alla riforma del calcio tedesco e la vita dell’Union fluttua in balia delle onde della storia. Durante il Terzo Reich e nell’immediato dopoguerra la società vive anni difficili, negli anni ’50 viene retrocessa dalla DDR-Oberliga, il massimo campionato della Germania dell’est, ma un’ancora di salvezza viene lanciata dal Deutscher Sportausschuß, l’organizzazione che sovrintendeva lo sport nella DDR.

Fu un periodo di grandi cambiamenti per l’Union, che abbandona i classici colori biancoblu per approdare al biancorosso. Nel 1963 la squadra viene chiamata TSC Berlin e accoglie l’orso berlinese come animale sociale. Piano piano la squadra risale la china negli anni ’60, ma si trova a dover affrontare nuove grane burocratiche. Nell’ennesimo quadro di rifondazione del calcio tedesco, riguardante stavolta la parte orientale del pallone, le autorità predisposte all’organizzazione dello sport stabiliscono che dovesse esistere un solo club d’alto livello per ogni distretto della DDR. Berlino però fa eccezione, in quanto sia la Stasi che l’esercito pretendono un proprio club di prima fascia.

Sciarpata biancorossa (Foto: Maja Hitij/Bongarts/Getty Images – OneFootball)

Al tempo c’erano infatti la Dynamo, sotto il controllo della Stasi, la polizia della Repubblica Democratica Tedesca, e la Vorwärts, oltre al TSC. Il presidente della federazione sindacale nazionale Herbert Wankte chiede dunque che fosse concesso anche un club civile, destinato ai lavoratori che rappresentava. Così, nel gennaio 1966, nasce dalla scissione con il TSC Berlin il 1.Fussballclub Union Berlin. 

La stagione d’esordio dell’Union è inaspettatamente di buon livello, con la squadra che conquista un inaspettato sesto posto. Ciò permette alla squadra di primeggiare sulle rivali cittadine e di giocare i primi match internazionali, attirando un pubblico sempre più crescente. L’anno successivo arriva il più grande successo del club biancorosso, la vittoria della FDGB Pokal, vinta in finale contro i campioni nazionali del Carl Zeiss Jena. L’Union non raccoglie però la possibilità di partecipare alla Coppa delle Coppe, cui accedevano i vincitori delle coppe nazionali, a causa delle misure prese dopo i fatti di Praga del 1968.

Nel 1971 il Vorwärts viene spostato a Francoforte sull’Oder e a Berlino Est restano solo Union e la Dynamo. La vita del club biancorosso diventa però complessa a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, ancora una volta per diversi giochi politici che si muovono alle spalle del calcio berlinese.

Il tempo tende sempre a cambiare le cose

Il calcio a Berlino è stato sempre variegato, ricco di interpreti e specchio di intrighi burocratici che di volta in volta venivano scatenati sulla Capitale, specialmente al tempo della divisione nazionale. A Ovest l’Hertha non ha mai avuto grossi rivali. Negli anni ’70 il Tennis Berlin visse un piccolo momento d’oro, giocando due volte nella massima serie. Una volta approdò in Bundesliga il Blau-Weiss Berlin, nel 1986-1987 e una volta il Tasmania Berlin, nel 1965, quando vi fu catapultato a causa del declassamento dell’Hertha e al vincolo federale che stabiliva la presenza di almeno una squadra di Berlino Ovest nel massimo campionato calcistico. La stagione del Tasmania restò a suo modo nella storia per via dei numerosi record negativi stabiliti. Tra queste squadre, si giocarono solo quattro derby cittadini nel massimo campionato.

A Est invece la rivalità tra Dynamo e Union assunse ben presto delle connotazioni politiche profonde. La Dynamo era la squadra controllata dalla Stasi e ben presto iniziò a godere di una serie di privilegi che la portarono a essere la squadra dominante, per distacco, nella DDR. La squadra vinse il campionato dal 1979 al 1988, grazie anche a vistose irregolarità. Vista l’impossibilità di poter competere regolarmente sul campo, l’interesse dei tifosi dell’Union per ciò che accadeva sul rettangolo verde iniziò piano piano a scemare e tifare il club biancorosso diventa un atto di dissidenza politica verso la DDR.

La storia dell’Union dopo la riunificazione della Germania è il racconto di una discesa inesorabile. Almeno fino al 2005, quando una sottoscrizione popolare di 1,46 milioni di euro salva la società dal fallimento. Fu un evento eclatante soprattutto per la curiosa iniziativa dei tifosi, che sfruttando un nuovo incentivo promosso dal governo si recarono in massa a donare il sangue e destinarono il rimborso che ricevevano alle casse societarie. I tifosi salvano così il club e contribuirono a ricostruire lo stadio, l’An Der Altern Forsterei, rimodernando gratuitamente le gradinate della struttura. Da quell’iniziativa comincia la risalita dell’Union Berlin, che nella stagione 2018-2019 ottiene un terzo posto in 2. Bundesliga e con un doppio pareggio con lo Stoccarda ottiene la sua prima promozione in Bundesliga.

La gioia dei tifosi dell’Union per la promozione in Bundesliga (Foto: Stuart Franklin/Bongarts/Getty Images – OneFootball)

È triste dirsi addio

Le storie del cane e della volpe berlinesi sono profondamente diverse, ma a un certo punto arrivano a incrociarsi, con esiti imprevedibili. Tifare Union, come detto, divenne ai tempi del dominio della Dynamo un atto politico, di dissidenza. Si guardava con speranza all’Ovest, rinnegando l’Est, un po’ come le persone disilluse al di là del muro guardavano con curiosità al sogno socialista. Nel Novecento contrassegnato dalla Guerra Fredda tra Est e Ovest c’è stata diffidenza, ma anche curiosità. Così alcuni abitanti della Berlino orientale guardavano con fiducia alla loro metà mancante, spesso con una sciarpa biancorossa al collo.

L’11 novembre 1989 quella fiducia trova il modo di saggiarsi. Il mondo si riunisce, o almeno è quello che si pensa. Crolla il muro, finisce la divisione del continente in due blocchi. Berlino torna unita. Tutto l’entusiasmo che si respira in città viene riversato il successivo 27 gennaio nello storico Wiedervereinigungsspiel, la partita della riunificazione. All’Olympiastadion va in scena il primo storico match, organizzato dalle poste tedesche, tra Hertha e Union. Un’iniziativa che si inquadrava nel più ampio tentativo di conciliare al meglio la riunione tra le due parti della Germania.

I tifosi accorrono in blocco all’evento. Sono circa 50.000 gli spettatori presenti allo stadio, alla perla costruita dal Führer. Una sorta di cerchio che si chiude, con tutti i berlinesi a guardare insieme il derby cittadino. Il clima è festoso, i tifosi delle due squadre si mischiano in una marea bianco-rosso-blu.

Apre la partita un gol di Axel Kruse, un emigrato dalla DDR. L’8 luglio 1989 infatti sfruttando un match della sua squadra, l’Hansa Rostock, a Copenaghen, scappò e si rifugiò nella Germania Ovest, accasandosi all’Hertha Berlino. Pareggia André Sirocks, il primo storico gol di un giocatore dell’est in un campo dell’ovest, e mette il sigillo finale René Unglaube.

Il match finisce 2-1 per l’Hertha, ma quel che succede in campo è davvero l’ultimo dei pensieri. Le scritte sugli spalti Hertha und Union, eine Nation e Amici dietro il filo spinato segnano la vittoria dell’iniziativa. Il successo dell’unità ritrovata.

La fetta biancoblù della città (Foto: Johannes Eisele/AFP via Getty Images – OneFootball)

In realtà poi l’epilogo della storia è ben diverso da quello ciò che si auspicava. La caduta del muro di Berlino non portò alla fine di ogni conflitto in Occidente, la via verso la riunificazione della Germania fu ben più impervia di quanto previsto e la volpe e il cane non restarono amici a lungo. Già nel secondo derby di Berlino, giocatosi sul campo dell’Union, i tifosi presenti allo stadio sono appena 4.000 e il caldo clima festoso dell’Olympiastadion diventa gelida indifferenza all’An Der Altern Forsterei. Quell’amicizia ora che non c’è più il filo spinato non ha più ragione di esistere e la rivalità cittadina, la divisione naturale, torna ad emergere.

Esplode, letteralmente, in occasione del primo derby di Berlino giocato in Bundesliga. Il 2 novembre 2019 va in scena il primo storico derby della Capitale tedesca nel massimo campionato e il clima è tutt’altro che festoso. Prima del match ci sono scontri tra le due tifoserie, la partita viene sospesa per lancio di fumogeni. È un derby vero e proprio, il cane e la volpe sono tornati a essere nemici, seguendo la natura delle cose.

Così la storia d’amicizia tra il cane e la volpe, tra l’Hertha e l’Union, è durata un attimo, un lampo che rimarrà però indelebile nella storia del calcio. Un momento in cui l’ordine naturale è stato sovvertito, i nemici sono diventati amici. Una condizione però destinata a non durare, ma che resta memorabile.

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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