Ci sono feste natalizie avvolte nella confusione, nel trambusto di accontentare tutti coloro che si siedono a tavola. Ci sono anni, invece, in cui questo – per forza di cose – non può accadere: lo sappiamo bene. Una volta ci sono stati auguri diversi, in tutto e per tutto. Se li scambiarono durante un cessate il fuoco. Fu la Tregua di Natale.
Nevica
Ypres è una cittadina abitata da più di 30.000 persone, nella provincia belga delle Fiandre Occidentali. Oggi vive una quotidianità ordinaria, assorta nei pensieri che navigano nella mente di molte sue colleghe urbane: andirivieni lavorativi, ma non troppi. In epoca medievale aveva raggiunto il suo massimo splendore, come centro cruciale nei traffici produttivi e commerciali dei tessuti.
Nei primi anni del XX secolo, però, quest’agglomerato urbano ha ben poco da festeggiare. Come in centinaia di altre latitudini nel Vecchio Continente, qui si combatte. Notte e giorno, caldo e freddo. Da una stagione all’altra, indistintamente. Ammassati nelle trincee, Alleati da una parte e soldati degli Imperi Centrali dall’altra incrociavano i colpi delle proprie armi, non gli occhi intrisi di paura. Tanto vale non guardare la morte in faccia, se sai – prima o poi – di incontrarla.
Dall’inizio del conflitto bellico, nel pieno dell’estate 1914, una miriade di mitragliatrici, cannoni automatici e fucili mitragliatori non ha mai smesso di funzionare. Non ci si può fermare, ordinano dall’alto. Si aspetta, dunque, una chiave di volta che possa far girare la serratura degli scontri, fin dal celeberrimo casus belli di Sarajevo. Se circoscriviamo la narrazione dei fatti all’avvicinarsi dell’inverno, iniziano ad intravedersi le prime fratture in un disegno apparentemente indistruttibile.
È il caso della lettera di Papa Benedetto XV, indirizzata ad entrambi gli schieramenti nel conflitto, con il pontefice che si auspica un’interruzione dei combattimenti negli ultimi giorni dell’anno:
Che i cannoni possano tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano.
Non che i soldati abbiano necessariamente accolto quella lettera, probabilmente mai pervenuta nel nucleo della guerra, le trincee. In qualche modo, però, l’esortazione del Santo Padre aveva aperto uno spiraglio d’umanità in quei territori ormai privi di fervore vitale. La tanto osannata magia del Natale – talvolta retoricamente immischiata in determinate argomentazioni – aveva fatto il suo dovere.
Regali e pallone
Dicevamo, Ypres. Sì, perché è proprio in questo angolo del globo che ci si ferma. Come anticipato in precedenza, non è l’unico; nonostante ciò, è da qui che passa il treno della testimonianza storica, il quale confluisce in un tanto atipico quanto irripetibile binario calcistico. Ma ci arriveremo.
Il tutto, c’è da ammetterlo, potrebbe essere un bel racconto sotto il vischio, una suggestione ricca d’inventiva. Una tradizione popolare tramandata di voce in voce. La realtà dei fatti, invece, riporta alla luce del sole un avvenimento rimasto negli annali, ma lasciato ai posteri negli scritti di uno dei tantissimi diretti protagonisti. Il suo nome è Bruce Bairnsfather, in quegli anni mitragliere ed a guerra conclusa cartonista ed umorista, che scrive:
C’era qualcosa di strano nell’aria. Trascinando i piedi nell’acqua in cerca di un posto asciutto, mi ci fermai sopra e guardai la scena che mi circondava, la tranquillità le stelle e ora il cielo blu scuro. Da lì potevo vedere la fila delle nostre trincee e quelle dei tedeschi. Lentamente alcune canzoni cominciarono a levarsi da varie parti della nostra linea.
Canti tradizionali o semplici intonazioni gioiose, poco importa. I nemici avevano iniziato a tendere la mano di una resa destinata ad aver vita breve, ma necessaria; dal canto loro, gli inglesi avevano teso le orecchie, rispondendo pochi istanti dopo con altrettante melodie scanzonate. D’un tratto, poi, apparvero candele e regali, in un climax di tepore inatteso.
La Terra di Nessuno, ordinariamente cimitero e cielo aperto, si era riempita di convenevoli quanto mai apprezzati. Abbracci, saluti ed auguri in una Babele surreale, con le armi deposte e le ferite che potevano provenire solo dalla mente offuscata di oscuri ricordi. Ma non c’era spazio per il buio. Ci si scambiavano liquori, sigarette e diari. Vizi e ricordi, tra gente sconosciuta che viveva i primi attimi di familiarità. Senza tavole imbandite, senza un focolare. Ma tutto sommato, non ce li si augurava nemmeno.
Se è un inglese ad introdurci in questa magica novella fatta di una pace temporanea e di un’umanità riscoperta nella cruda verità della guerra, è un tedesco a raccontare di quel binario calcistico di cui sopra. Dopo aver trascorso la notte insieme, l’alba restituì una giornata serena dopo settimane di pioggia incessante. Karl Adang, dello schieramento opposto a quello degli Alleati nel conflitto, racconta dunque di un vero e proprio miracolo sportivo, con una sfera che cadde in mezzo alla Terra di Nessuno.
Gli uomini si schierarono come al solito sui due fronti, ma non c’erano ettari di terra e putrefazione a separarli. Bastava una linea, anche immaginaria in questo caso. Inghilterra-Germania in un manto decisamente non erboso in Belgio, a Natale, nel bel mezzo di una guerra. Non sembra vero.
Vengono utilizzati i caschi dei soldati al posto dei pali, il resto delle armate disposte per formare le linee laterali e di fondocampo. Non ci sono emozioni per le giocate in campo, ma qualche lacrima non può che scendere. Alla fine termina 3-2 per coloro che poi saranno vinti nel conflitto, ma poco importa. Poco importa se il pallone si sia conficcato nel filo spinato, se il whisky reciprocamente scambiato non era di una qualità eccelsa o se quella Tregua di Natale non diventò di Capodanno, di Pasqua o di Ferragosto.
Natale è passato, la Tregua è finita
Beh, poco importa, no? Ci siamo goduti una bella storia, ora basta. Parole crude, quelle che dovrebbero essere uscite dalla bocca dei comandanti, infuriati per questa sceneggiata ed intimoriti per le reazioni dell’opinione pubblica. Era durato tutto così poco, tanto che il ghiaccio del terreno di gioco non aveva nemmeno fatto in tempo a sbriciolarsi.
La storia, come noto, ci restituirà un epilogo differente da quello auspicato dai protagonisti di quel match così onirico alla vigilia dei fatti. Ma pensate se, effettivamente, il conflitto si fosse fermato al dopo quel 25 dicembre. Al di là dei risvolti futuri, impossibili da pronosticare, quest’iniziativa avrebbe avuto lo stesso richiamo al ricordo che ha preservato e continuerà a portarsi con sé nel futuro?
È una risposta – affermativa o negativa che sia – ad un quesito fin troppo complesso per essere risolto in un breve lasso di tempo. Fulminea ed esigua, come la spensieratezza provata da quegli sconosciuti, divenuti avversari sul campo. A far sparare cannonate solo dai piedi, nell’eccezione che conferma la regola più bella da scartare sotto l’albero della trincea.