Dopo un gradevole ritorno nella massima divisione del calcio belga, dopo una storia gloriosa e ricca di trionfi, il Royale Union Saint-Gilloise potrebbe rivelarsi la sorpresa di Pro League. Un campionato che quest’anno cerca padrone e che sta dimostrando di esser tornato a livelli competitivi, soprattutto sul palcoscenico continentale. E se Bruges-Paris Saint-Germain ha fatto intendere che le idee ed i concetti del calcio fiammingo possono lottare contro le superpotenze europee, la parabola delle prime sette giornate del club gialloblu mette in evidenza una lega livellata verso l’alto, in cui ogni compagine ha saputo rendersi competitiva. Se a guidare il club c’è lo spirito e la visione italica unito alla gestione societaria di imprinting inglese, la buona riuscita di un progetto si fa subito concetto semplice.
Union Saint-Gilloise, una storia lunga 123 anni
Nonostante i 48 anni d’assenza dalla massima divisione, con un digiuno terminato la scorsa stagione, il Royale Union Saint-Gilloise è parte primordiale della fondazione del calcio belga e della sua federazione. Fondato nel 1897, si tratta del primo club ufficiale della capitale Bruxelles, con ben undici anni d’anticipo sui concittadini malva dell’Anderlecht, datati 1908. Nonostante parta come una squadra fondata da un gruppo di amici, mutando casa più di una volta a cavallo tra i comuni di Uccle, Saint-Gilles (da qui il nome del club) e Forest, tutti situati nei dintorni di Bruxelles, l’Union arriverà in pochi anni in prima divisione, partendo da competizioni locali nel Brabante Fiammingo per poi affiliarsi alla federazione belga e qualificarsi in prima divisione nel 1904.
Oltre a monopolizzare il campionato locale, ottenendo ben 7 titoli nazionali tra il 1904 ed il 1913, la squadra diviene famosa grazie all’amichevole disputata contro la nazionale francese il 24 maggio 1904, in onore della neonata FIFA, vincendo per 3-1. Sopravvivendo alla prima guerra mondiale, l’Union conquisterà altri 4 titoli nazionali salvo poi riaffacciarsi ad alti livelli a cavallo tra il 1958 ed il 1960, anni in cui si disputa la Coppa delle Fiere, dove nel ’58 i belgi raggiungono le semifinali dopo aver sconfitto la Roma in un quarto di finale storico. Da lì il club attraverserà momenti difficili, risalite complicate e periodi ascensoriali in cui i continui cambi di divisione non permetteranno alla società di stabilizzarsi e riprogrammare un futuro florido e strutturato che porteranno ad un digiuno lungo quarant’anni.
Il cambio di marcia “inglese”
Pensare ad un club la cui ultima promozione era stata ottenuta nel 1964 avrebbe provocato vertigini a chiunque, tranne che al presidente del Brighton & Hove Albion Tony Bloom. L’inglese si butta a capofitto nel progetto belga e acquista il club nel 2018 palesando sin da subito la volontà di riportarlo nella massima divisione. Fatti e non parole in questo caso. L’Union Saint-Gilloise nel frattempo torna nella storica casa del Joseph-Marien, uno stadio situato nella cittadina di Forest ed inaugurato nel 1919 da un’amichevole contro il Milan, la cui capienza di 8000 posti a sedere fa praticamente a pugni con la fauna locale dell’adiacente parco Duden. Il tutto ad una manciata di chilometri da Bruxelles.
Oltre al ritrovo della storica località, l’Union Saint-Gilloise mette in atto strategie di scouting degne di un club di prima divisione analizzando a fondo il mercato europeo, partendo dalle tante occasioni del calcio belga per poi passare alle limitrofe Francia ed Inghilterra, con un occhio particolare a quest’ultima data la gestione a trazione anglofona data dal proprietario Bloom e dal presidente Alex Muzio.
“Passiamo ore e ore a guardare i giocatori e a creare report. Ci stiamo mettendo tutto questo lavoro perché vogliamo portare buoni calciatori e brave persone. Questo è importante per noi, perché pensiamo che con brave persone si possano fare ottime cose”
Questo è quanto affermava il direttore sportivo Chris O’Loughlin in un’intervista per Copa90 lo scorso anno, in cui l’Union Saint-Gilloise veniva paragonata ad una sorta di “Leeds belga”, ovvero una compagine storica che meritava di tornare ai piani alti. Rispondendo anche alle critiche che concettualizzavano i gialloblu come club satellite del più blasonato Brighton, ipotesi quantomai lontana dalla realtà visti i soli tre prestiti tra il club inglese e quello belga in ben quattro anni di gestione.
Il ruolo chiave di Felice Mazzù
L’obiettivo della promozione passava anche e soprattutto dall’importanza della guida tecnica. Il club necessitava una persona con idee e visioni dal punto di vista tattico, ma anche un gestore di risorse umane, un empatico ed allo stesso tempo motivatore capace di far compiere ai calciatori quel passo in più verso la gloria. Allacciandoci alle parole di O’Loughlin, la società individua nel 2020 Felice Mazzù come l’allenatore che può fare al caso suo. Figlio di immigrati italiani, Mazzù è nato a Charleroi nel 1966 ma è cresciuto con crismi e valori nostrani, come affermava in una mia intervista nel 2017.
Felice fa le sue esperienze prima come calciatore e poi come allenatore, togliendosi la soddisfazione di portare un piccolo club come il White Star Bruxelles ad un importante cammino conclusosi solo ai quarti nella coppa del Belgio nel 2013. Da lì sei strepitosi anni nello Charleroi gli permetteranno di erigersi come uno degli allenatori più interessanti del panorama belga, giungendo al Genk nel 2019. Quest’esperienza durerà però solo quattro mesi. Senza scoraggiarsi, conoscendo quello spirito di sacrificio che da piccolo Mazzù vedeva nella sua famiglia operaia, il nativo di Charleroi ripartirà dalla seconda divisione e dal progetto dell’Union Saint-Gilloise.
Quello che per alcuni sembrava un passo indietro si rivelerà poi un gigante passo in avanti, perché Mazzù in primis aveva creduto in quello che gli era stato proposto. Il resto sarà storia, partendo dai 18 punti di differenza dati alla seconda classificata, sino al potenziamento di tanti giovani interessanti che come il loro allenatore erano ripartiti dal basso. Esempi lampanti sono gli attaccanti Deniz Undav e Dante Vanzeir, rispettivamente da Meppen (terza divisione tedesca) e Mechelen (prima divisione belga), la bandiera del Portsmouth Christian Burgess, difensore giunto in Belgio a 28 anni ma con tanta voglia di mettersi alla prova, o il danese Casper Nielsen, centrocampista pescato dall’Odense nel 2019 ed oggi capitano indiscusso della squadra.
Mazzù è un allenatore pragmatico, uno di quei profili capaci di leggere al volo le possibilità del suo club adattando la squadra a seconda delle necessità e delle partite. Ermetico difensivamente, frutto forse dell’educazione italiana e delle partite che guardava con suo padre da piccolo, non è un integralista delle sue stesse idee. Quest’anno sembra aver trovato nel 3-5-2 lo schema ideale, almeno per il momento: è quello che ha permesso alla squadra di subire 7 soli gol marcandone 16 in 7 partite. Per inciso, gli attaccanti Undav e Vanzeir sono già a quota 10, 6 per il primo, 5 per il secondo.
Le soddisfazioni non sono mancate già dalle prime giornate, dato che all’esordio, nel catino dei rivali cittadini dell’Anderlecht, l’Union Saint-Gilloise si è imposto per 1-3, ripetendo poi l’exploit qualche settimana dopo, battendo un’altra grande del calcio belga come lo Standard Liegi in casa per 4-0. Quale sarà il prosieguo non possiamo prevederlo, ma scorgiamo segnali positivi dalla linearità con la quale un club così storico ha saputo ritrovare i suoi standard. Quanto a Mazzù, le parole del 2017 risuonano nelle mie orecchie come fossero recenti:
“Tornare in Italia? Allenare dove sono nati i miei sarebbe un sogno, che sia Nord, Sud o Centro! Spero di acquisire ancora più convinzione e crescere ancora per poterlo fare!”
1 Commento
ottimo articolo, ma mi permetto di far notare una piccola mancanza, St Gilles è un quartiere storicamente italiano, dove risiedevano in larga misura gli emigrati italiani che vivevano a Bruxelles. Io stesso ho vissuto a Bruxelles negli anni 80 vicino a St gilles e seguivo questa squadra allora nelle serie minori. mi era anche stato proposto di entrare nel consigio di amministrazione dell’union ma avevo dovuto rientrare in Italia e la cosa è caduta. Ma l’Union mi è rimasta nel cuore anche per la sua vicinanza storica con l’ Italia. Cordiali saluti, Pl bonanate