La Sardegna è un posto di moto a luogo. Qui si viene, non si attraversa questa regione per andare da un’altra parte. È un posto lontano, diverso dal resto dell’Italia. Cagliari non fa eccezione a questa descrizione.
Per qualsiasi dubbio basta chiedere a Gigi Riva, che passò dal ritenere quasi una condanna il suo trasferimento da Leggiuno all’amare questa terra, legando indissolubilmente il suo nome a Cagliari.
Per conoscerla e capirla basta prendere un aereo o una nave, tenendosi pronti a muoversi su piani diversi. Arrivare in volo o per mare fa poca differenza, cambia solamente il punto di vista.
È una città costruita su sette colli calcarei che si affaccia al centro di un golfo nella parte meridionale della Sardegna. Sembra un caso, ma l’unione di elementi come il mare e il volo è insita nell’essenza di questo capoluogo di regione. Però per decifrare questa città non basta solamente la capacità di muoversi in orizzontale e in verticale, è necessario anche sapersi muovere avanti e indietro nel tempo. L’alternarsi di zone più vecchie e zone più moderne racconta come il passaggio di tanti popoli abbia regalato un’enorme varietà di influenze. Il multiculturalismo è di casa a Cagliari, così come lo è il calcio.
I luoghi che raccontano il calcio in questa parte dell’isola sono vari e, in qualche modo, legati tra loro. Per avere un’infarinatura generale ci siamo mossi in verticale e in orizzontale, avanti e indietro nel tempo. Per godersi questo viaggio nella tappa più remota di Vie del Calcio è necessario calarsi nel contesto urbano per calpestare virtualmente queste strade e vedere come il calcio sia spesso al centro di tante cose.
Facciamo un bel respiro e lasciamo che l’immaginazione prenda possesso del nostro cervello. Il Coronavirus non sconvolge le nostre coscienze, possiamo muoverci liberamente e possiamo, soprattutto, andare allo stadio a vedere le partite. Chiudiamo gli occhi e immergiamoci in questa condizione pre-Covid. Riapriamo gli occhi. Siamo arrivati a Cagliari. È una classica domenica mattina soleggiata, il cielo non presenta nuvole. Il maestrale soffia leggero e indisturbato, regalando un po’ di refrigerio per combattere il calore dei raggi solari. Il Cagliari gioca alle 15 e abbiamo tutto il tempo per fare prima un giro in città.
Ci troviamo in via Roma, quartiere Marina, uno di quelli storici. È la via principale di Cagliari. Il luogo giusto per iniziare il viaggio si specchia sull’acqua. Siamo seduti su una panchina all’ombra di una palma. Alle nostre spalle c’è il mare, frequentato dalle imbarcazioni che popolano il porto. Di fronte a noi ci sono una serie di eleganti palazzi dotati di portici, sede di numerosi bar e negozi. In teoria potremmo spostarci orizzontalmente di poco più di un chilometro verso ovest per andare a visitare due luoghi che sono stati i primi due stadi utilizzati dal Cagliari Calcio – lo Stallaggio Meloni in viale Trieste (il primo impianto sportivo utilizzato dalla squadra nel 1920) e il Campo di Via Pola – ma la sola presenza di una targa commemorativa in quest’ultimo luogo – per ricordare quel campo non più esistente – non vale una visita approfondita.
Attraversiamo la strada e, invece che raggiungere la prima destinazione di questo viaggio a tappe tra le strade di Cagliari, optiamo prima per una breve sosta che fa assaporare qualcosa di speciale per questa città. Prendiamo posto in uno dei caffè sotto i portici di Via Roma e facciamo una colazione in stile cagliaritano. Caffè o cappuccino e pizzetta sfoglia. La pizzetta sfoglia è un’invenzione cagliaritana che (purtroppo) è possibile trovare solo in Sardegna. Due strati di pasta sfoglia conditi da un po’ di sugo (l’alternativa comprende anche l’aggiunta di capperi e acciughe al suo interno) e cotti al forno. È solitamente mangiata a colazione, a merenda o durante l’aperitivo, ma c’è chi la mangerebbe tranquillamente anche a pranzo o a cena.
Il mare sullo sfondo e il viavai di persone che passeggiano di fianco a noi sotto i portici ci fa apprezzare una caratteristica dei cagliaritani. Sembrano sempre in movimento ma in realtà si muovono spesso senza fretta, quasi trascinati dal maestrale più che da un bisogno urgente. Non si tratta di pigrizia, si tratta di attesa. L’attesa che fa svagare la mente e permette di sognare. O, più semplicemente, l’attesa che fa ci fa godere di un momento. Un cagliaritano sa aspettare, è abituato a farlo.
Ma se vuoi visitare diversi posti all’interno di una stessa città in poche ore, devi muoverti. Quindi ci alziamo e ci spostiamo sul serio verso il primo luogo di questo tour. Percorriamo il tratto di Via Roma che ci porta verso Piazza Matteotti e ci ritroviamo nel Largo Carlo Felice. Un viale alberato (uno dei tanti a Cagliari) in salita che già dal nome fa da antipasto a ciò che vedremo tra qualche centinaio di metri.
Piazza Yenne
È una delle piazze più conosciute a Cagliari. L’elemento più iconico? Il monumento dedicato a Carlo Felice di Savoia. Non esattamente il personaggio storico più apprezzato da tutti i cagliaritani, visto il rapporto tra la Sardegna e i Savoia. In tanti sostituirebbero volentieri quella statua con una dedicata, ad esempio, a Gian Maria Angioy, ad Antonio Gramsci, a Emilio Lussu, a Maria Carta oppure a Gigi Riva.
Questa statua, però, ha scritto per Cagliari tante pagine di felicità in ambito calcistico. È stata addobbata con i colori rossoblù delle bandiere e delle sciarpe del Cagliari per festeggiare le promozioni e lo scudetto conquistato nel 1970. È diventato sostanzialmente il luogo per festeggiare i successi della squadra.
Il 10 gennaio 2020, per celebrare il centenario della fondazione del club, il monumento è stato vestito con la maglia celebrativa utilizzata in seguito durante Cagliari-Milan del campionato di Serie A 2019/2020.
Arrivando dal Largo Carlo Felice, vediamo la statua di spalle che indica verso destra. Ironicamente indica la strada che dobbiamo seguire per raggiungere i diversi luoghi della tappa cagliaritana di Vie del Calcio. Dunque anche quelli fondamentali per una città di calcio che si rispetti: gli stadi. Si continua a salire. Percorriamo la salita di Via Manno, combattendo contro la fatica che inizia a farsi sentire e contro le gocce di sudore che iniziano a prendere possesso della nostra fronte. Ci arrampichiamo tra le stradine strette e i vicoli in cima a Via Manno. Sono i passaggi di un ideale labirinto che si sviluppa in verticale e che rappresenta l’impostazione difensiva che la città ha dovuto assumere nel corso della sua storia per arginare gli attacchi delle popolazioni nemiche.
Come accade per molte squadre di calcio che hanno meno risorse e meno strumenti rispetto agli avversari, si fa di necessità virtù. Ci si difende per esigenza, non per scelta. Ed è così che i luoghi nati unicamente per un’utilità diventano nel tempo i luoghi che delineano un certo standard estetico nei quartieri storici di una città. Sono diverse le fortificazioni iconiche in questa zona: la Torre dell’Elefante, il Bastione di Santa Croce o il Bastione di Saint Remy, giusto per citarne alcune. Noi stiamo andando proprio verso quest’ultimo.
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Bastione di Saint Remy
Eccoci arrivati dopo l’ennesima scalinata percorsa sotto il sole cocente. La fatica viene ricompensata dalla vista di fronte a noi: Bastione di Saint Remy, Quartiere Castello. Si tratta della più famosa fortificazione difensiva di Cagliari. Il Bastione di Saint Remy è stato costruito alla fine del XIX secolo sulle mura più antiche della città (risalenti al XIV secolo) per unire il quartiere di Castello con quelli di Marina e Villanova. Il nome ha origine dal primo viceré piemontese, Filippo-Guglielmo Pallavicini, Barone di Saint Remy. Dalla terrazza panoramica si può avere una visuale a quasi 360° sull’ambiente circostante. Possiamo vedere da dove siamo partiti e dove arriveremo, dal porto allo stadio.
Dobbiamo spostarci nuovamente. Scendiamo per la scalinata che ci porta in Piazza Costituzione. Da qui possiamo ammirare la facciata del Bastione, quella in cui la pietra forte utilizzata per costruire la fortificazione regala quella strana colorazione che mischia il bianco e il giallo con un tocco calcareo.
Ora può riprendere l’alternarsi di verticale e orizzontale. Dal punto più alto, si riscende nuovamente verso le zone più pianeggianti attraverso i viali alberati che ci regalano un po’ d’ombra in questa giornata soleggiata. Da viale Regina Margherita rientriamo in Via Roma, allontanandoci però progressivamente dal porto. Siamo giunti al momento di fare una scelta: proseguire a piedi o utilizzare un mezzo a motore? Teoricamente, si potrebbe camminare attraverso i lunghi viali che ci portano alla prossima destinazione, ma la fatica e il caldo potrebbero farci propendere per un veicolo su ruote.
Saltiamo su un’auto o su una moto (magari non come se stessimo giocando a Grand Theft Auto) ma, nel caso, pure su un mezzo pubblico e proseguiamo dritti per Viale Diaz. Il maestrale ci spara addosso l’odore di carne e di pesce arrosto proveniente dalle case e dai ristoranti nelle vicinanze. Dopotutto è quasi ora di pranzo, è normale che questa miscela di odori ci possa risultare inebriante. Dopo circa due chilometri di rettilineo ci troviamo davanti una rotonda con un’aiuola al suo interno. A pochi metri di distanza si trova una piazza che ci dice tanto del luogo che stiamo per visitare. È la piazza intitolata a Manlio Scopigno, celebre allenatore del leggendario Cagliari campione d’Italia. Sempre a pochi metri di distanza, ecco la nostra destinazione.
Stadio Amsicora
Non è difficile rintracciare questo stadio. Il suo ingresso è abbastanza riconoscibile: un pilastro centrale molto alto divide due cancellate sormontate dalla scritta “Stadio Amsicora“. Nell’aiuola antistante è presente una targa per celebrare lo scudetto del 1970.
Il nome è particolare, insolito per i canoni italiani. Amsicora è stato un proprietario terriero sardo-punico, avversario dei Romani durante la Seconda Guerra Punica. Nell’iconografia sarda è raffigurato come un barbaricino ed è fondamentalmente diventato “colui che difendeva i sardi dai Romani“. Il rifiuto dei sardi per la storiografia latina ha fatto sì che la società sportiva da cui lo stadio prende il nome, la Società Ginnastica Amsicora, potesse rifiutare la classica denominazione romana utilizzata dalle società sportive in Italia. Quindi, nessun virtus, pro o fortitudo, la scelta è ricaduta sul nome di un personaggio storico legato maggiormente alla cultura locale.
Il Cagliari scelse di utilizzare questo stadio nel 1951. Nel 1964, dato che le squadre di Serie A non apprezzavano con gioia l’idea di giocare su un campo in terra battuta, venne posato il manto erboso.
Fino al 1970 fu lo stadio del Cagliari, poi tornò ad esserlo momentaneamente nella stagione 1988/1989 – che la squadra disputò in Serie C1 – per permettere le opere di ristrutturazione allo Stadio Sant’Elia in vista dei Mondiali di Italia ’90.
Lo Stadio Amsicora è entrato definitivamente a far parte dell’immaginario sportivo italiano nella stagione 1969/1970. I riflettori puntarono sul Cagliari e sulla città. In quel campionato ci fu il primo titolo per il club rossoblù e il primo scudetto ottenuto da una squadra del Mezzogiorno d’Italia. Questi riflettori mostrarono con una luce diversa le giocate di Gigi Riva e compagni, raccontando un’impresa impensabile che, parafrasando Gianni Brera, regalò il primo titolo di una squadra straniera in Italia.
Attualmente una parte dello Stadio Amsicora non esiste più nella configurazione degli anni Sessanta e Settanta. Gli spogliatoi e le tribune della curva più orientale dello stadio sono stati demoliti per essere sostituiti da un tratto dell’Asse Mediano di Scorrimento, il collegamento tra la SS 131 e la SS 554, due strade statali molto importanti all’interno del territorio cagliaritano.
Ci spostiamo dallo Stadio Amsicora alla prossima destinazione, che ha un collegamento diretto con quest’ultimo luogo. La distanza è breve: poco meno di due chilometri. Il Viale Campioni d’Italia 1969/1970 ci porta verso lo stadio principale di Cagliari: il Sant’Elia.
Stadio Sant’Elia/Sardegna Arena
Per comodità consideriamo i due stadi come un unico luogo, vista la situazione temporale e spaziale. Si trovano sullo stesso terreno a poche decine di metri l’uno dall’altro. Sant’Elia, Sardegna Arena e (si spera in futuro) Nuovo Sant’Elia. Vederli in questo periodo è come fare un viaggio nel passato, nel presente e nel futuro in un unico sguardo. Questo stadio ha cambiato la propria configurazione diverse volte nel corso degli anni ma il palcoscenico in erba è rimasto lo stesso per tutti coloro che lo hanno calcato. Quel manto erboso reso più luminoso dal sole e “condito” dalla salsedine ha reso possibili le gesta di tanti calciatori che hanno fatto la storia del Cagliari.
L’erba del Sant’Elia ha percepito la grinta con accento rioplatense di Herrera, Lopez e Abeijón; le intuizioni geniali di gente come Matteoli, Francescoli, O’Neill, Zola e Cossu; i missili terra-aria di Pusceddu, Conti e Nainggolan; oltre ai gol di Virdis, Piras, Oliveira, Muzzi, Esposito e Suazo. Tornando indietro agli albori del Sant’Elia, non si può non citare la visita di Pelé e compagni. Un’amichevole tra Cagliari e Santos giocata nel maggio del 1972. Non tutti gli stadi d’Italia possono permettersi di aver visto una sfida tra Pelé e Riva. Senza dimenticare la squadra reduce dal campionato 1969/1970. Un’orchestra sinfonica influenzata da un primo violino che non suonava in maniera armonica ma che faceva tanto rumore con il pallone, simile a una sequenza di tuoni rombanti.
Il Sant’Elia per come lo conosciamo ha cessato di esistere nel giugno del 2017. Troppo instabile e obsoleto. A vederlo da fuori sembra sempre uguale, giusto con qualche pezzo in meno. Da tempo va avanti l’opera di demolizione che eliminerà ogni residuo architettonico del vecchio catino. Intanto la nostra pancia romba e brontola. Non è per colpa della mistica di Gigi Riva che si è impossessata di Cagliari. Non è il rumore dei tiri scoccati da un sinistro dinamitardo. È più semplicemente la fame. È pur sempre ora di pranzo. Ma abbiamo una partita da vedere alla Sardegna Arena, non possiamo allontanarci troppo a cercare qualche ristorante di pesce in zona. Dobbiamo andare sul sicuro, sul pratico.
In praticamente ogni stadio d’Italia lo street food è di casa quando c’è una partita da disputare. Anche a Cagliari è così. La tipologia di furgoncini è quella, la tipologia di cibo pure. C’è però qualche sfumatura diversa. Qua non si cerca lo street food, si cercano i caddozzoni (dal sardo “caddozzo” traducibile in “sporco“, “caddozzoni” significa letteralmente “sporcaccioni“). Cioè i classici venditori ambulanti di cibo che in questo caso, nonostante l’appellativo, rispettano gli standard igienici. In questa variante casteddaia del classico street food da stadio spiccano i panini con salsiccia, carne di cavallo o würstel con la potenziale aggiunta di ciò che è commestibile in natura a seconda del gusto personale (il tutto cotto alla griglia).
Dopo esserci rifocillati per bene, possiamo prendere posto all’interno della Sardegna Arena. Questo stadio temporaneo è stato costruito tra la primavera e l’estate del 2017 nei parcheggi orientali dello Stadio Sant’Elia, dietro la tribuna opposta a quella centrale. Rimarrà in vita fino all’ultimazione dei lavori nel nuovo stadio che nascerà dalle ceneri del Sant’Elia. Poi verrà smontato e riconvertito a parcheggio per il nuovo impianto.
Da dentro lo stadio la visuale del campo è praticamente identica allo stadio precedente. Eh, grazie! È praticamente l’ultima versione del Sant’Elia trasposta su un parcheggio, con le tribune posizionate in maniera più architettonicamente armonica. Quindi la partita si vede bene da praticamente qualsiasi posto perché le tribune sono vicine al campo. Non possiamo lamentarci troppo.
Il sole sta progressivamente calando. La partita è finita e ci accingiamo ad andare via. Usciamo dai parcheggi e ci muoviamo per raggiungere l’ultima meta di questa gita tra le strade di Cagliari. Percorriamo l’ennesimo viale della città finché non cambia l’ambientazione. Dagli edifici che ci circondano su entrambi i lati alla natura. A sinistra le Saline, a destra uno strano promontorio dalla forma particolare: la Sella del Diavolo. Divide idealmente in due la parte meridionale di Cagliari. Da una parte lo specchio d’acqua di fronte al Sant’Elia, dall’altra il Poetto.
La sua creazione ha connotazioni bibliche. La leggenda propone due versioni, entrambe derivanti dalla sconfitta di Lucifero nella lotta con Dio (e la sua milizia di angeli) per impadronirsi di questo pezzo di terra nel Golfo di Cagliari. In una versione si racconta che Lucifero cadde in mare durante la battaglia e creò così l’attuale forma al promontorio. Nell’altra versione, il Demone fu disarcionato dal cavallo e perse la sua sella, che si posò sulle acque del golfo. Pietrificandosi, diede origine alla Sella del Diavolo (o Sedd’e su Diaulu in sardo). E, dato che a Cagliari i contrasti funzionano alla grande, il tratto antistante alla Sella del Diavolo non si chiama solamente Golfo di Cagliari ma prende anche il nome di Golfo degli Angeli.
Poetto
Superata la rotonda in fondo al viale, eccola: la spiaggia del Poetto. Inizia dal porticciolo di Marina Piccola e si estende per qualche chilometro fino all’inizio del litorale di Quartu (il cosiddetto Poetto di Quartu). Il nome della spiaggia salta fuori da un crogiolo linguistico che rispecchia al meglio l’identità multiculturale della città. Bisogna prendere in considerazione alcune ipotesi. La prima: il nome potrebbe derivare dalla torre aragonese “del Poeta” presente ancora oggi sopra la Sella del Diavolo. Per rimanere in zona Sella del Diavolo, il nome avrebbe un’origine derivante anche dal catalano pohuet (che significa “pozzetto“) per via della presenza delle cisterne e dei pozzi per raccogliere l’acqua piovana sul promontorio che sovrasta la spiaggia.
Lo spagnolo rimane anche per il termine puerto (cioè “porto“), utilizzato per indicare il porticciolo di Marina Piccola a ridosso della Sella del Diavolo. I cagliaritani hanno assimilato questi nomi a modo loro. Eliminando la “r“, puerto diventa pueto/puetu. Dopo la denominazione spagnola, i piemontesi italianizzarono i termini spagnoli. Da questo processo ha origine il termine Poetto (o Poetu in sardo).
Il Poetto è uno dei luoghi simbolo di Cagliari. È diviso in “fermate” sfruttando, appunto, la presenza delle fermate dell’autobus disposte sulla via parallela al lungomare. In teoria non è un luogo principalmente legato al calcio ma nella pratica lo diventa in alcune occasioni. La spiaggia diventa il palcoscenico per le partite di beach soccer sulla sabbia o per rifinire i tiri e le acrobazie in acqua. Questo vale soprattutto per i vari cagliaritani che giocano o hanno giocato in Serie A. Non è impossibile, ad esempio, immaginarsi un giovanissimo Nicolò Barella che mette a punto i suoi tackle sulla sabbia o i suoi tiri sul bagnasciuga verso il mare diversi anni prima di debuttare in Serie A. È un po’ quello che accade – con le dovute proporzioni – sulla spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro.
Ma il Poetto si è adattato spesso anche a contesti più professionistici. Non è un mistero che, in alcune occasioni agli inizi degli anni Novanta, Claudio Ranieri facesse allenare il suo Cagliari in questa zona. Ultimamente, Leonardo Pavoletti ha implementato il lavoro al Poetto nel suo percorso di recupero dall’ultimo infortunio al legamento crociato.
📺 | A DAY IN THE LIFE
Al #Poetto con @Pavoletti 🌊⚽️
📺: https://t.co/SP0lhxatp0#Pavoletti #forzaCasteddu pic.twitter.com/tBdomkCEbZ— Cagliari Calcio (@CagliariCalcio) July 2, 2020
Durante tutto l’anno la spiaggia e il lungomare sono presi d’assalto dai cagliaritani. Lo notiamo pure noi che stiamo passeggiando alla ricerca di un chioschetto in cui fermarci e siamo circondati da gente che va sui rollerblade, corre, va in bici o sullo skate. C’è anche chi preferisce direttamente una passeggiata o un momento di relax sulla spiaggia, magari osservando la gente che si fa una nuotata o che surfa, con una tavola o con un kite. L’atmosfera ricorda quasi più la California meridionale che l’Italia. Come se unissimo – con tanta fantasia – Venice Beach alla spiaggia di Santa Monica. Cagliari non sarà Los Angeles, ma condivide lo stesso clima e ha anch’essa una sua personalità ben definita. E poi, diciamocelo senza falsa modestia: questo mare è molto più bello dell’Oceano Pacifico.
Il sole sta progressivamente calando e decidiamo di lasciar perdere la sosta al bar. Sai che forse è meglio godersi il tramonto dalla spiaggia? Abbiamo iniziato questo viaggio di fronte al mare e lo terminiamo allo stesso modo, perché a Cagliari funziona così. Meglio riempirsi le scarpe di sabbia bianca e contemporaneamente riempirsi gli occhi con i colori cangianti del tramonto, che si riflettono su uno specchio d’acqua calmo e cristallino. Gli occhi puntano all’orizzonte, verso quello spettacolo cromatico che fa viaggiare la mente. L’orizzonte che simboleggia gli unici limiti di un’isola che imprigiona astrattamente i suoi abitanti, ma che offre un mare nel quale questi ultimi possono cercare la libertà.
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