Oggi inizia un’avventura che ci porterà a visitare tutte le città calcistiche nostrane. Si parte da un nuovo ingresso, un bentornato per una città millenaria e ricca di intrecci con storia, cultura e geo-politica. Vie del Calcio parte da Crotone: buon viaggio.
Eracle è stanco, reduce da una delle sue 12 fatiche, la decima, contro Gerione, mostro che dalla cintura in su aveva tre tronchi, tre teste e tre paia di braccia. Quest’ultimo possedeva una mandria di buoi rossi, che il leggendario eroe acheo aveva il compito di rubare. L’impresa, come noto, ebbe esito positivo, con Eracle che riuscì ad avere la meglio sul terribile mostro nell’isola di Erythia, nell’attuale litorale iberico meridionale. Nel viaggio verso casa, trovò rifugio in Magna Grecia, dove lo accolse un suo caro amico, Kroton.
Un ladro del posto, di nome Lacinio, riuscì a rubare i celebri buoi per i quali l’eroe aveva rischiato la vita. Così, Eracle e Kroton partirono alla ricerca del malfattore, con l’obiettivo di ucciderlo. Nella colluttazione, però, perse la vita lo stesso Kroton, per mano di Eracle, il quale lo fece seppellire lungo lo sponde del fiume Esaro. Dilaniato per la perdita dell’amico, supplicò l’oracolo di Delfi affinché su quella tomba venisse fondata una delle colonie più floride dell’intera Magna Grecia.
Attraversate il vasto mare e accanto all’Esaro fonderete Kroton.
L’appello dell’oracolo giunse a Miskellos, eroe acheo, il quale partì alla volta della Magna Grecia: il desiderio, ovviamente, fu esaudito. La nostra prima tappa è una delle testimonianze fondanti della storia millenaria di questa città.
Capo Colonna
La leggenda, per quanto affascinante, può trarre in inganno. A chi non è capitato di porsi quesiti del tipo “Ma sarà vero?” sui banchi di scuola in tenerà età, all’ascolto della voce leggiadra dell’insegnante di epica? Nel caso di Crotone (anzi, di Kroton), quello tra storia e leggenda è un legame impossibile da scindere, poiché una è ampiamente presente nell’altra, e viceversa. L’area archeologica di Capo Colonna ne è la riprova.
Fondato attorno al VI secolo a.C., il santuario di Hera Lacinia (o Hera Eleytheria) rappresentava una delle strutture più iconiche dell’Antica Kroton. Il promontorio sul quale era stato eretto (dove si può trovare anche un faro custodito dalla stessa famiglia da ben 5 generazioni), oggi è noto come Capo Colonna, con un unico, statuario, reperto rimasto in piedi, appartenente al colonnato dell’immenso tempio. Proteggeva la città dall’alto, osservando il clima salubre, la bellezza delle sue donne, i colori del mare e delle campagne che vi ci si buttavano e, soprattutto, l’audacia dei suoi uomini.
Tra di essi, non può non essere citato Milone (nome che ritroveremo tra poco), eroe olimpico per eccellenza, capace, secondo una leggenda, di trasportare dalla sua Kroton ad Olimpia un vitello sulle spalle, che alla fine della traversata era diventato un toro.
Di quelle 50 vittorie, che fanno di Crotone la più vincente delle colonie della Magna Grecia, 33 sono arrivate grazie a Milone, specialista della lotta, 540 al 520 a.C. Tre di esse, invece, spettano a Faillo, capace di vincere tre Giochi Pitici (infatti è detto il Pitionico), due nel pentathlon ed una nella corsa dello stadio; ciò per cui lo si ricorda, però, ha ben poco a che vedere con l’atletica: è grazie a lui se oggi possiamo parlare di Kroton.
Eracle la fondò e Faillo la difese.
È il 23 settembre 480 a.C. e le sorti dell’Occidente sono appese ad un filo. In quel giorno, infatti, venne combattuta una battaglia crocevia nella storia dell’umanità: da una parte le polis greche ed il mondo libero, dall’altra l’invasione persiana di Serse I, leader dell’impero achemenide. Indovinate quale fu l’unica colonia della Magna Grecia a rispondere alla chiamata? Beh, non c’è neanche bisogno di dirlo.
La battaglia di Salamina, per ovvie ragioni, venne vinta dalla coalizione achea e Faillo venne dichiarato primo eroe d’Occidente. È qui che nasce lo spirito combattivo di Crotone, città di uomini valorosi e di valori sani, come quelli dello sport (ancora oggi presenti nel territorio, con i gemelli Facente e Pina Macrì nel judo): non è un caso che sia la colonia con più vittorie nei Giochi organizzati nell’Antica Grecia, così come non è un caso che la Torcia Olimpica sia passata da queste parti in due occasioni, nel 1960 per i Giochi Olimpici di Roma e nel 2006 per quelli Invernali, organizzati a Torino.
Il calcio, però, ovviamente, non era presente nelle competizioni organizzate millenni fa: per trovare le prime tracce dello sport più amato nella città rossoblù bisogna spostare l’orologio del tempo avanti di un paio di millenni.
È il 20 settembre 1910 quando viene fondata la prima società sportiva cittadina dai fasti dell’Antica Kroton. Si tratta di una polisportiva di ginnastica artistica, la S.S. Crotona, da cui prenderà il via lo sviluppo del calcio pitagorico. Da quella data agli anni ’20 del secolo scorso, però, non ci sono testimonianze riguardo alla presenza di un club calcistico in città.
Per avere una primo reperto fotografico di una squadra calcistica crotonese, bisogna attendere il 1921, anno in cui la S.S. Crotona viene ufficialmente affiliata alla FIGC.
Di recente, inoltre, sono state trovate documentazioni riguardo alla richiesta di poter recintare, agli inizi degli anni ’20, una zona tra la seconda e la quarta traversa di Via Reggio, vicino a Via Poggio Reale: è lì che si giocano le prime partite del secolo in città, è lì che si dà inizio ad una storia fatta di crolli e risalite, stabilizzatasi solo nell’ultima fetta di una torta dalla ricetta arrivata dalla Grecia millenni fa.
Campo Marinella
Il paradosso è parte integrante delle nostre vite, ed in quanto tale non può che esserlo nella storia della società umana. Così, un tempio edificato prima della nascita di Cristo si può ancora visita, seppur con un’unica colonna rimasta in piedi, mentre di un campo da calcio costruito circa un secolo fa neanche l’ombra. Così, per vedere i primi trofei ufficiali conquistati a Crotone, bisogna far viaggiare la fantasia.
Campo Marinella oggi non esiste più, ma è lì che l’Unione Sportiva Crotone muove i suoi primi passi, così come un giovane calciatore nato in città. Si chiama Ezio Scida, è nato nel 1915 e sta lavorando, come tutti i suoi compagni di squadra, all’edificazione di un impianto ben più grande di quello dove muovono i primi passi da calciatori.
Giocano per diletto, senza compenso, nella Serie C della Lega Nazionale Centro-Sud, ed Ezio è il capitano. Veste la numero 4 e gioca in mezzo al campo, laddove può dirigere il gioco della squadra, assieme a suo fratello Ugo.
Il 18 gennaio 1946, il Crotone gioca in casa del Castrovillari. Il sole che solitamente va a nozze con le vaste terre calabresi, quel giorno ha deciso di non illuminare la strada che porta al campo degli avversari, tanto che Ezio non se la sente di andare a giocare; i compagni, però, lo convincono: si tratta pur sempre di un’amichevole, nulla di impegnativo. Attorno alle 19:30 di quel sabato, però, il Fiat 626BLM che stava trasportando la squadra si ribalta ad una curva dall’ingresso in paese, proprio a causa del terreno scivoloso: per Ezio non c’è nulla da fare, il capitano rimane schiacciato e perde la vita.
È una storia particolare la sua, che ha legato due interi paesi: sia a Castrovillari che a Crotone, infatti, Scida è un’icona da ricordare, fin da quel giorno. Si svolsero due funerali a pochi giorni di distanza, con un annuncio speciale al termine di quello celebrato nella sua città natale: Giuseppe Messinetti, sindaco della città, decise di intitolare lo stadio che Ezio ed i compagni stavano costruendo proprio al capitano scomparso nell’incidente stradale.
E poi ricordate? Il paradosso, la coincidenza, che investe le storie di tutti noi. A 70 anni esatti dalla scomparsa di Ezio Scida, il 18 gennaio 2016 (la morte è stata dichiarata un giorno dopo l’incidente, il 19 gennaio), il Crotone di Ivan Juric tenta il sorpasso in testa alla classifica ai danni del Cagliari, il primo dei favoriti per la promozione in Serie A: Budimir, Martella e Ricci regalano i tre punti ai pitagorici, nella gara che fa da spartiacque per il primo, storico, salto nella massima divisione del Crotone.
Ma non finisce qui, perché quest’anno, stagione nella quale è arrivata la seconda storica promozione in Serie A, due giorni dopo l’anniversario della morte di Ezio Scida, gli uomini di Stroppa si giocavano il derby in casa del Cosenza, dove il Crotone non aveva mai vinto nel corso della gestione Vrenna: gol annullato ai padroni di casa davanti alla curva del Crotone, dove al 12′ Junior Messias festeggia una rete che sa di vittoria, la prima in maglia rossoblù. In entrambe le occasioni, qualcuno osservava dall’alto.
Se ad Ezio Scida è legato indissolubilmente il concetto di “capitano”, ci sono altri due elementi che nel recente passato hanno incarnato alla perfezione questo ruolo, facendone una missione da perseguire fino al ritiro. Uno ha giocato in mezzo al campo, nello stesso ruolo e con lo stesso numero indossato dall’icona degli anni ’40, mentre l’altro ha fatto dei pali dello Scida una casa dolce casa: Antonio Galardo e Alex Cordaz.
Nato con il rossoblù sulla pelle, è entrato a far parte della società un anno dopo l’ultima denominazione, che ha portato il club a chiamarsi F.C. Crotone, sotto la gestione dei fratelli Vrenna. Due prestiti, uno alla Cariatese ed uno alla Rossanese, l’hanno preparato al grande salto, avvenuto nel luglio 2002: da lì, non ha mai smesso di orchestrare il centrocampo, diventando una vera e propria bandiera per gli Squali.
Nonostante avesse piedi raffinati, non si spingeva troppo verso la porta: in 374 presenze con i pitagorici, per lui 13 gol e 14 assist. L’unico rimpianto? Non aver preso parte alla cavalcata verso la Serie A, visto che l’addio al calcio giocato è arrivato il 9 agosto 2015 contro la Feralpi Salò; ora, però, può vantare un bandierone con il suo nome in Curva Sud e, soprattutto, un 4 ritirato.
Per incontrare l’altro grande capitano della storia recente in casa Crotone, non si possono non riportare le sue dichiarazioni in un’intervista a DAZN, nel gennaio 2019:
Quando vieni a Crotone ti resta sempre qualcosa di particolare. È un posto strano, dove c’è tanta sofferenza e malcontento. Rispetto alla mia Treviso c’è grande differenza, eppure mi sono ambientato subito. Ti innamori di come va la vita qui, della quotidianità, del rumore del mare. Ti innamori delle persone che ti danno una mano: ti appassioni, ti entusiasti di più quando riesci a fare qualcosa qui a Crotone.
Due promozioni, una fascia da capitano tatuata sul braccio e delle parole che valgono più di mille parate, in un detto invertito che non può essere più vero di così se si tratta di Alex Cordaz. Eppure, nelle sue dichiarazioni di cui sopra, non c’è spazio per la retorica: Crotone è un buco nell’acqua sotto svariati punti di vista, ma è proprio questo che trascina le onde dell’entusiasmo, nonostante i venti soffino forte sullo Ionio.
L’essenza di questo spirito d’attaccamento alla squadra lo si legge nelle parole del giornalista sportivo Giuseppe Messinetti, deceduto pochi mesi dopo la prima promozione in Serie A:
Il Crotone era un’esigenza per la città, che vedeva nello sport uno dei momenti più fulgidi, con un passato antico da preservare e da tenere sempre in mente. Il Crotone si legge dalla Z alla A, perché è nato dal basso.
Un sentimento che lega i crotonesi al Crotone e viceversa, che si può ritrovare anche in gesti come quelli di Ciccio Modesto, nato e cresciuto all’Unitaria, luogo dove hanno vissuto e trovato la morte a causa di un dilagare di tumori decine e decine di figli di Crotone, lavoratori nelle industrie (visitate anche dagli ex Presidenti della Repubblica Sandro Pertini e Giuseppe Saragat) che hanno trainato l’economia cittadina, rovina e salvezza del circondario. Dopo la promozione del 2016, lo stesso Modesto ha dedicato un murale al suo quartiere, alla sua città, alla sua gente.
Piazzetta Rino Gaetano
Nel corso della nostra passeggiata per Crotone, abbiamo incontrato Ezio Scida al Campo Marinella, dove calciava i primi palloni della sua breve carriera calcistica. La sua corsa alla vita, però, come noto, si è interrotta in un incidente stradale a Castrovillari: una sorte beffarda, tragica, per andare a fare ciò che amava di più. Una morte che, però, non ha toccato un unico figlio di Crotone.
Il 2 giugno 1981, infatti, dopo una serata passata nei locali della capitale, alle 3:55 della notte, la Volvo 343 di Rino Gaetano invadeva la corsia opposta in via Nomentana, all’altezza dell’incrocio con via Carlo Fea: il camion che sopraggiungeva non riuscì ad evitare l’impatto, con il cantante che trovò la morte poche ore dopo, all’ospedale Gemelli. Quel cielo sempre più blu che aveva omaggiato nel 1975, era pronto ad accoglierlo.
Figlio di Crotone, sì, nato a pochi passi da dove oggi sorge in suo onore una statua. Ma non vi sembra di trovare altre assonanze tra Scida e Gaetano? Cresciuto a Roma, ma nato in Magna Grecia, con i genitori originari di Cutro, ad una ventina di minuti di distanza dalla casa in cui aveva visto la luce per la prima volta. Accolto dalla vita a Crotone dunque, e strappato dal destino in un incidente stradale, a 31 anni, esattamente come il Capitano nella trasferta di Castrovillari. La coincidenza, un’altra volta.
E quale modo migliore di ricordarlo, se non intonando le sue canzoni? Grazie all’iniziativa dello speaker dei rossoblù, Giovanni Monte, quando gioca il Crotone non si può fare a meno di cantare i successi intramontabili di Rino Gaetano, sinonimi musicali dell’aggregazione di un popolo intero.
“Ma il cielo è sempre più blu”, perché alzando gli occhi non può che notarsi quella sfumatura cromatica, e “A mano a mano”, quasi a raffigurare il sentimento di comunità ed unione che si respira tra le vie di questa città dall’ordine dell’oracolo di Delfi, introdotte come inni societari rispettivamente nel 2000, in occasione di Crotone-Ravenna, prima gara di Serie B nella storia del club, e nel 2016, l’anno della promozione in Serie A.
Il trascorso storico di questa città, però, non può esimerci dal toccare svariate altre connessioni con la cultura che trasuda tra le vie di Crotone. Uno dei soprannomi più riconosciuti per identificare i suoi cittadini, infatti, è “pitagorici”: è qui che, attorno al 530 a.C., mentre Milone primeggiava nelle Olimpiadi, Pitagora fondava la sua Scuola, laddove si sarebbero poste le basi per lo sviluppo del razionalismo e del metodo scientifico.
Anche attorno ad una delle figure più note dell’Antica Grecia, però, si avvolge il paradosso: oggi, infatti, a Crotone, esiste il Liceo Classico “Pitagora” ed il Liceo Scientifico “Filolao”, filosofo stanziatosi in Magna Grecia e che con le scienze matematiche aveva ben poco a che fare.
Spostando l’orologio nella narrazione (quasi) ai giorni nostri, forse in molti non sanno che svariate opere dal lascito sostanzioso nella storia del cinema italiano sono state girate a Crotone. La troupe de “L’Armata Brancaleone” di Mario Monicelli, ad esempio, ha sfidato all’Ezio Scida una rappresentativa della dirigenza rossoblù, in un giorno di pausa dalle riprese.
Vittorio Gassman, che assieme a Gian Maria Volontè era uno dei protagonisti della pellicola, rimase talmente colpito dalla bellezza della città che ripeteva spesso una frase diventata un cult a Crotone:
Ma tu che ne sai di Milone?
Ma non solo: Pier Paolo Pasolini ha girato “Il Vangelo secondo Matteo” e ha partecipato al premio “Città di Crotone“, mentre Leonardo Sciascia, qui, ha vinto con “Il giorno della civetta“. Ma torniamo al calcio ed agli ultimi anni della storia di questo sport a Crotone: gli anni felici, di gloria, che hanno riportato il territorio sulla bocca della Nazione.
Piazzale Ultras
Prima di arrivare al cuore pulsante del calcio crotonese, lo Stadio Ezio Scida, non possiamo omettere dalla nostra camminata per le vie della città un passaggio a “Piazzale Ultras”, l’unica piazza in Italia dedicata a dei tifosi. Qui viene effettuata la presentazione della squadra ed è solitamente il luogo simbolo nel quale si organizzano serata di festa, delle quali molte avvenute nella tarda primavera del 2016, per ovvie ragioni. Ma qual è la storia del movimento Ultras a Crotone?
Le radici affondano negli anni ’70, quando svariate migliaia di crotonesi seguivano la squadra per centinaia di chilometri di trasferta sui campi impolverati della regione, nelle serie minori. È qui che nascono gruppi come il Commando Ultrà ed i Teddy Boys, poi unificatisi nel 1984/1985, che verranno affiancati all’inizio degli anni ’90 dalla Fossa Ionica, per fondare lo storico gruppo dei Nasty Boys.
Oggi, se si dà uno sguardo alla gradinata casalinga dell’Ezio Scida, si può leggere “Curva Sud Crotone“: un’unica voce, un unico popolo che alla domenica si dedica alla sua vocazione. Stare sugli spalti, tutti assieme, sotto il nome di Giorgio Manzulli, tifoso crotonese deceduto tragicamente nel 2001.
All’interno della Curva Sud, poi, si possono trovare una serie di gruppi che rappresentano svariate identità cittadine. Qualche esempio? I gruppi femminili delle “Figlie di Era” o delle “Giovani Pitagoriche”, oppure il nuovo che avanza con i “Giovani Crotoniati”. Tutti, però, con un unico motto:
Ti amo anche se vinci.
È questo il sentimento di cui parlava Cordaz. La sofferenza, la tensione, il brivido; il legame innegabile ed indistruttibile con la propria terra: sono tutte prerogative che portano chi vive il Crotone ad amarlo in primis quando perde, e poi quando conquista i 3 punti. Il Crotone è “A Mamma Nostra”, anche se al posto della Lupa giallorossa c’è uno Squalo rossoblù.
Lo Squalo è solo uno dei simboli della squadra, introdotto durante la gestione Vrenna. I capisaldi dell’identità crotoniate, invece, non possono che essere il Tripode della Vecchia Kroton, portato dalla tifoseria anche nella gara di Coppa Italia contro il Milan, la prima volta del Crotone a San Siro, e l’acronimo crotoniate ϘΡO, inciso sul colletto delle maglie e, da quest’anno, sui guanti di Capitan Cordaz.
L’ultimo capitolo del mondo legato alla tifoseria rossoblù, invece, è quello che riguarda amicizie e rivalità. Partendo dalle prime, le più note sono quelle con Cosenza (per via della rivalità congiunta con il Catanzaro), Catania, Ancona, Cavese, Empoli e Virtus Entella; inoltre, vi è un forte sentimento di fratellanza con una compagine greca di terza divisione, il Panachaïkī di Patrasso: si dice che Miskellos fosse partito da lì per fondare la città.
Le inimicizie, invece, sono con Reggina, Catanzaro e Benevento, non in quest’ordine di intensità. Con le due compagini calabresi, si disputano rispettivamente il “Derby della Magna Grecia”, dalla rivalità storica tra Kroton e Rhegion, la più antica delle colonie fondate in Magna Grecia, ed il “Derby dell’ex Provincia di Catanzaro”: fino al 1992, infatti, Crotone era parte del territorio giallorosso.
Per rivivere le tappe dell’acerrima rivalità con il Benevento, invece, bisogna spostarsi da Piazzale Ultras al cuore pulsante del calcio crotonese, laddove i campani non hanno mai vinto nella loro storia: si va al Campo, si va allo Scida.
Stadio Ezio Scida
Quanti anni son passati tra dolori e delusion, su quei campi impolverati cantavamo per amor.
No, niente retorica: il Crotone ha veramente giocato con chiunque in Calabria, dai campionati interregionali nei dilettanti alla Serie A. È questo l’orgoglio cittadino, la Champions League che si vive da queste parti: nessun’altra compagine nella massima divisione italiana può vantare una storia simile, così come nessuna può raccontare di aver vinto una gara per 32-0. Il 20 novembre 1994, in una gara di Eccellenza a Palmi, infatti, venne stabilito un record per tutti i campionati italiani: Crotone 32-0 Palmese.
La radice di quella squadra che oggi può assaporare un secondo ritorno in Serie A cresce dalla terza categoria, con l’OFAM, squadra creata per diletto e che diventerà la Nuova Crotone, seconda squadra cittadina ad affiancare la Kroton.
Nel 1991, però, con il fallimento di quest’ultima, ha inizio la gestione dei fratelli Vrenna, Gianni e Raffaele, che conducono la squadra dai campi impolverati ai manti erbosi delle categorie superiori, con la prima tappa che risale al 12 maggio 1997, il ritorno nel semi-professionismo dopo uno 0-0 in casa del Locri, anch’essa città greca dalla storia millenaria. Prima della Serie A, prima della Juventus e prima di una rovesciata stampata nei ricordi recenti a tinte rossoblù…
Simy, attualmente il secondo marcatore all-time alle spalle del Cobra Andrea Deflorio, vero e proprio idolo della Curva Sud e bomber assoluto in Serie C1 (record assoluto di marcature per la terza serie italiana, 28 gol nel 1999/2000), aveva 6 anni quando nasceva la storica rivalità con il Benevento, che vede tre tappe fondamentali.
14 giugno 1998. Al Via del Mare di Lecce va in onda la finale dei playoff di Serie C2: da una parte il Crotone, dall’altra il Benevento, dai colori in tinta con la città che ospita la gara secca per salire nella categoria superiore. Il primo tempo si conclude con lo 0-1 per i campani, grazie alla rete di Petitto; nella seconda frazione di gioco, però, arriva la rimonta dei calabresi. Moschella prima e Balestrieri poi mandano in delirio i 5.000 giunti da Crotone: i tifosi del Benevento bruciano il loro striscione, è C1.
Il secondo capitolo si gioca qualche anno dopo, con il Crotone che aveva vissuto una promozione in B con l’arrivo del terzo millennio ed era retrocesso in C1 nel 2001/2002. Sono le semifinali play-off della C1 2003/2004, una finale anticipata tra le due rivali, vere e proprie candidate alla promozione ma finite nella stessa parte del tabellone. È la squadra allenata da Gian Piero Gasperini, con Dei, Gastaldello, Juric ed un giovanissimo Galardo.
L’andata si gioca a Benevento, dove i padroni di casa si impongono 1-0 il 31 maggio 2004. Una settimana dopo, però, si torna allo Scida: doppietta di Porchia e gol di Galardo, l’uomo del destino. 3-1, la tradizione continua: i giallorossi non riescono a vincere in casa del Crotone, che batterà la Viterbese 3-0 in finale e riconquisterà la Serie B.
Il terzo atto della sfida a distanza (disputatasi in ogni categoria, dalla D in su per motivi regionali), che mette di fronte l’Antica Roma e l’Antica Grecia, il giallorosso ed il rossoblù, il Tirreno e lo Ionio, si gioca il 21 giugno 2009. Dopo uno 1-1 allo Scida (ma niente vittoria esterna), il Benevento ha tutto dalla sua parte per riuscire finalmente a conquistare la Serie B ai danni del Crotone. Il quotidiano della città calabrese, Il Crotonese, esce con un titolo che sa di profezia:
Nelle favole, le Streghe non vincono mai.
Il procuratore della città campana dà l’autorizzazione alla trasferta solo 2/3 ore prima del match, con i tifosi rossoblù che arrivano in pochi ed in ritardo. Gli ultras casalinghi sbeffeggiano al grido di “Disertori”, ma è tutta una questione logistica: le due città distano circa 4 ore di distanza, dunque…
C’è equilibrio, finché al 33′ Antonio Galardo non intraprende un’azione personale sulla sinistra e lascia spiovere un cross perfettamente calibrato per Gaetano Calil.
È qui che nasce il decennio d’Oro, che conduce i pitagorici a non retrocedere più in Lega Pro, conquistando due promozioni in Serie A e consolidando una storia millenaria che parla da sé.
Non ci sono Scida, Deflorio, Galardo, Gasperini o Calil, ma i vari Stroppa, Simy, Cordaz, Benali e via dicendo. La sostanza, però, non cambia: i fatti parlano di una proprietà che in 27 anni (la più longeva in Serie A dopo gli Agnelli alla Juventus ed i Pozzo all’Udinese) ha condotto una squadra dai campi impolverati all’Olimpo del calcio italiano, grazie all’operato di Gianni e Raffaele Vrenna, oltre che di Raffaele Vrenna Junior, il nuovo che avanza nella dirigenza rossoblù.
Crotone non ha mai perso la sua essenza, la sua identità ed un legame con il territorio che non si scinderà nel corso dei secoli. Parliamo di un popolo che ha trovato in una squadra calcistica la vera e propria luce nel barlume, capace di urlare all’Italia intera che il territorio della Provincia di Crotone, nata dopo la decima fatica di Eracle, è qui ed è vivo.
Il tutto grazie alla passione, che spinge un pallone in rete, sotto la Curva Sud. Il viaggio è finito, le Vie del Calcio son pronte a riempirsi nuovamente con un altro capitolo in Serie A.
Bentornato Crotone, luce di una città che trasuda di storia.
Un ringraziamento speciale a Giovanni Monte e Vincenzo Frustace