Via Aldo Moro esiste probabilmente in ogni città italiana. A Frosinone, però, ha una discreta importanza: è la via dello shopping del capoluogo ciociaro, nella parte bassa della città. La parte meno antica e “nobile” rispetto a quella alta, dove ci sono i palazzi e le chiese più belle. Quasi una contraddizione se pensiamo che, in Italia, le vie delle vetrine più ambite spesso si incastonano nel cuore dei centri storici.
Via del Corso a Roma, via Montenapoleone a Milano, via dei Calzaiuoli a Firenze. Nonostante ciò, via Aldo Moro è sempre, ugualmente, piena di persone, sia in macchina che a piedi, raggiungendo il suo climax di folla nel weekend. Al suo termine, con la striscia di locali e negozi sempre più rada, fino a 4 anni fa compariva improvvisa la sagoma dello Stadio Comunale, meglio noto come “Matusa”. Venendo proprio da via Aldo Moro, arrivando a una rotatoria, ci si ritrovava questo stadio così poco maestoso sulla sinistra, facilmente nascosto sin lì dagli edifici ai bordi della strada.
Dal centrale Stadio Matusa…
Quasi un’altra eccezione nell’urbanistica italiana. Spesso gli stadi sono distanti dalle parti più frequentate della città: sono nelle zone periferiche, con spazi ampi per i parcheggi, per far decongestionare il traffico e in cui la loro struttura risulta ancora più dominante. Invece il Matusa, inserito e mimetizzato perfettamente in uno spaccato così vivo di Frosinone, rendeva l’atmosfera ancora più elettrica. E incasinata.
Il sabato e la domenica, la lotta per i parcheggi era ancora più serrata, lasciare la zona-stadio a bordo di un’automobile richiedeva un bel po’ di tempo. Quello sciamare di persone, però, tifosi, consumatori e amanti della passeggiata nel giorno libero, formava un insieme gradevole nella sua vivacità. Contribuivano a rendere lo stadio, e la squadra, un cuore pulsante della città. Certo, la rapida e inaspettata ascesa della squadra ai vertici del calcio italiano ha contribuito a intensificare questo rapporto.
Dopo la prima promozione in Serie A, nel maggio 2015, bandiere, stendardi e striscioni gialloblù sono rimasti appesi per settimane e mesi alle porte e ai balconi di case e attività commerciali. Hanno accompagnato quasi l’intero campionato successivo, conclusosi con una retrocessione in Serie B facilmente pronosticabile, ma arrivata matematicamente solo alla penultima giornata. In quell’annata, il Frosinone guadagnò 22 dei suoi 31 punti finali al Matusa. Sul fattore casalingo aveva costruito l’incredibile promozione dell’anno precedente, la prima nella storia. Non poteva essere che in casa, contro il Crotone, il giorno della matematica e della festa. Anche la stagione precedente, in Lega Pro, si era conclusa con l’invasione di quel campo dopo la finale playoff vinta ai supplementari contro il Lecce.
Era un impianto vecchio, inadeguato, fatiscente, con una zona mista per i giornalisti molto precaria. Sembrava quasi surreale vederci giocare Higuain, Dybala, Totti, Icardi. Il contesto era troppo più grande per e di quel luogo. Eppure in quegli anni prima del suo abbattimento ribolliva di passione, la sua dimensione contenuta rendeva lo spettacolo più intimo e vicino.
Nelle partite contro le grandi squadre diventava stracolmo, perché agli ospiti era riservata quasi un’intera curva, quella sud, puntualmente riempita da quei tifosi delle big che, per la prima volta, potevano godersi la loro squadra senza fare troppi chilometri (i numerosi juventini ciociari lo avevano sperimentato già nel 2006/2007, la stagione in B). E così, a seconda anche del giorno e dell’orario, via Aldo Moro diventava un caos di clacson e cori, magliette gialle, sciarpe blu e buste dello shopping, birre alla spina e gelati.
…al periferico “Benito Stirpe“
Nel frattempo, però, il presidente Maurizio Stirpe stava finalmente portando a compimento il progetto dello Stadio “Benito Stirpe”, dal nome di suo padre, Cavaliere del lavoro e presidente della squadra negli Anni Sessanta. L’impianto progettato negli anni ’70, costruito negli anni ’80 nel quartiere Casaleno e mai completato, è stato ultimato solo nel 2017 per volontà della società. Con un assestamento ad alti livelli, chiedere proroghe per il Matusa non sarebbe più bastato.
Dopo aver ricevuto dal comune il diritto di usufrutto della struttura, l’opera è stata terminata in un paio di anni, facendo del Frosinone la quarta squadra in Italia a poter vantare uno stadio di proprietà dopo Juventus, Udinese e Sassuolo. Il lieto fine di quella che sembrava una classica storia italiana di spreco edilizio e abbandono. Un’operazione che ha posto il club in una dimensione d’avanguardia, nella convinzione che anche il percorso sportivo ne avrebbe beneficiato.
Al primo anno è infatti arrivata la seconda e sofferta promozione in Serie A, mentre la retrocessione successiva è stata addirittura molto più scontata e deprimente della prima. Forse perché la squadra non è mai stata in grado di ricreare il suo fortino anche nel nuovo impianto. Nel campionato 2018/2019, la prima e unica vittoria casalinga è arrivata solo il 3 marzo, a retrocessione già ipotecata e dopo aver vinto solo tre partite in trasferta. Una tendenza proseguita anche nell’ultimo campionato in B: basti pensare che nei playoff, persi in finale contro lo Spezia, la squadra ha vinto le tre partite in trasferta e perso le due a Frosinone. L’assenza del pubblico dagli stadi è un fattore che ha pesato e sta pesando tuttora. Una beffa ulteriore per una società che ha investito nello stadio per la sua crescita.
Non ci sono sicuramente le basi, se non un ingenuo romanticismo, nel collegare quest’inversione di tendenza esclusivamente al cambio di stadio. Il “Benito Stirpe” prima della pandemia aveva la maggioranza dei suoi 16mila posti sempre riempiti, in Serie B era lo stadio a portare più pubblico sui suoi seggiolini colorati. L’impianto è bello, moderno, coperto, è stato nominato tra i migliori costruiti nel 2017. Una struttura che però, nonostante il modello inglese senza barriere tra campo e tribune, fa quasi sentire calciatori e partita più distanti rispetto a prima. Sarà per la dimensione più salottiera rispetto al vecchio Matusa. Sia chiaro, tutto ciò non è un motivo sufficiente per rimpiangere il passato, o peggio, rifiutare il progresso. Non c’è alcun abuso nostalgico, se non sottolineare l’evidenza di come al momento al “Benito Stirpe” non sia stata ancora replicata quella mistica che aveva legato la squadra e la tifoseria al loro stadio negli anni al Matusa, tra l’altro gli ultimi della sua vita.
Il Matusa conserva ancora il proprio nome, ora peraltro ufficiale e non più ufficioso. È quello però di un parco che ha preso il posto del vecchio stadio, demolito a fine 2017 con l’eccezione della tribuna centrale, tenuta a memoria dei tempi che furono. Ora è un luogo aperto a una fetta più ampia di cittadini: per chi vuole passeggiare, pattinare, pedalare, assistere a uno spettacolo o a una fiera temporanei.
Ha perso la sua destinazione d’uso, ma non il legame con la città. Il Benito Stirpe è a pochissimi chilometri in linea d’aria (nemmeno 3), ad appena 6/7 minuti di macchina. Sufficienti e palesi però a renderlo più periferico e non più così centrale nella conformazione della città. Si trova in una traversa della strada statale Monti Lepini, che porta alla stazione ferroviaria e al casello autostradale e dove, a differenza di via Aldo Moro, non si va a passeggiare. È vicino all’ospedale e ad altre strutture come il palazzetto dello sport, la piscina e il conservatorio. Un’area di servizi che immaginiamo più consona a uno stadio. Così come, se dovessimo immaginarci uno stadio nel 2021, verrebbe in mente prima il Benito Stirpe del Matusa. Eppure era così bello uscire dallo stadio e camminare lungo il corso, ritrovarsi in mezzo a una città in fermento. Certo, uscire dal parcheggio era un’impresa, ma si poteva anche pensare di riprendere la macchina un’ora dopo: nel frattempo qualcosa da fare lo si sarebbe trovato, un aperitivo o un acquisto non programmato. Anzi, molti degli abitanti di Frosinone nemmeno avevano bisogno della loro auto.
Consigli per chi viene in trasferta: organizzate un weekend!
Frosinone non è una realtà a trazione turistica, a differenza dei tanti borghi e piccole città che compongono la sua provincia. Ha una vocazione amministrativa, industriale e commerciale perciò, per chiunque voglia organizzare la prossima trasferta al Benito Stirpe, il consiglio è di soggiornare almeno un weekend in Ciociaria e andare a farsi un giro nei comuni vicini.
Frosinone offre qualcosa nella sua parte alta, sormontata dal campanile quadrato della cattedrale di Santa Maria Assunta, simbolo indiscusso della città. Da non trascurare, la Chiesa Abbaziale di San Benedetto, la più antica pinacoteca della città e, per gli appassionati d’arte, le opere custodite all’interno del Palazzo della Provincia: la più celebre è la statua bronzea de “La Danzatrice”, realizzata nel primo Novecento da Amleto Cataldi. Nel palazzo sono conservate anche alcune opere di Umberto Mastroianni, Renato Guttuso, del Cavalier d’Arpino, di Aldo Turchiaro e Giovanni Colacicchi.
Fuori dalla superficie del capoluogo potete invece sbizzarrirvi: dalla città termale di Fiuggi, così cara ai romani, alla storica Anagni (avete mai sentito parlare dello schiaffo di Bonifacio VIII?), fino alla millenaria e ciclopica acropoli di Alatri e ai misteri del castello di Fumone. Il turismo religioso è una colonna portante del luogo: l’Abbazia di Casamari e quella di Montecassino sono gioielli da visitare. Soprattutto quest’ultima, la più antica d’Italia, fondata da San Benedetto e ricostruita dopo il bombardamento degli Alleati durante la Seconda Guerra mondiale. Per i più mondani invece si consiglia, oltre a via Aldo Moro, una passeggiata a Isola Liri e alla sua cascata naturale in pieno centro storico.
La vostra sicurezza, in qualsiasi luogo vi troviate, è che non rimarrete senza un pranzo o una cena che vi soddisfi. La cucina ciociara regala pietanze e porzioni generose: chiedete un piatto di fini-fini, accompagnato da un bicchiere di Cesanese del Piglio e sarete ricompensati della vostra fiducia. Se non siete vegetariani, l’agnello è una specialità da assaporare. Altrimenti, chiudete il pasto con un celebre amaretto di Guarcino, o una ciambelletta al vino, magari inzuppati in una ratafia del posto.
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