Ricordo che da bambino sentivo spesso mio nonno dire “Roma per grandezza, Napoli per bellezza”. Con il passare degli anni, ho scoperto fosse un detto spesso rigirato a proprio vantaggio a seconda delle parti in causa e di chi lo pronunciasse, ma per il sottoscritto ha sempre rappresentato una salda convinzione sin dall’infanzia. Una convinzione che poi ha avuto la sua definitiva conferma una volta conosciuta, o almeno in parte, quella città.
Già, perché in fin dei conti non si può mai dire di conoscere Napoli fino in fondo. Una città le cui strade pullulano ogni giorno di nuove storie da raccontare, cui sembra non esservi mai fine, e che trovano le proprie testimonianze in quegli innumerevoli dettagli che caratterizzano ciascun angolo di ciascuna strada, di cui non si riesce mai a comprenderne la totalità. Ogni volta che ti trovi a passare per quel punto, convinto di conoscere a memoria, ti accorgi che c’è qualcosa che la tua mente non aveva ancora registrato, un nuovo dettaglio venuto alla luce, un’altra sorpresa.
C’entrerà forse il nome del posto, che in termini poveri altro non vuol dire che “nuova città”. Dopotutto, nel corso della storia, Napoli e il proprio popolo sono stati capaci di reinventarsi ogni qual volta ve ne fosse bisogno, tramutando apparentemente sembianze all’occhio dell’osservatore, mostrandosi rinnovata, “nuova”, al passante di turno, sia esso stato re o viandante. Adattandosi, ma rimanendo in realtà sempre identica a sé stessa, senza mai perdere la propria identità.
Ed è forse proprio questa sia la grande forza che la grande debolezza di Napoli: all’apparenza capace di cambiare, senza mai farlo davvero. Se però c’è una costante che non ha mai avuto bisogno neanche di cambiamenti apparenti, quella è la passione per il calcio, per quel pallone che rotolando è capace di tramutare un bel giorno in brutto e viceversa. Un amore viscerale verso la propria squadra che a Napoli, quello no, non è mai venuto a mancare.
Il centro storico di Napoli
Nel prepararmi a scrivere questo articolo, la prima grande, immane problematica che mi si è posta davanti è consistita nel cercare di trovare un modo per condensare o quantomeno riassumere una realtà tanto vasta e variegata come quella partenopea. Il fatto è che Napoli non è una città come le altre, neanche da questo punto di vista. Non puoi stilare una lista di posti da tenere maggiormente in considerazione rispetto ad altri.
Esempio banale, pensate alle calamite. Andando a Roma troverete senza ombra di dubbio le calamite del Colosseo, della Basilica di San Pietro e via dicendo. A Torino quelle della Mole, a Verona quelle dell’Arena, a Pisa quelle della Torre, a Firenze quelle di Santa Maria del Fiore, a Venezia quelle del Ponte di Rialto e via dicendo. A Napoli troverete sempre la calamita che raffigura tutta la città, solitamente nella prospettiva visibile dal Belvedere di Sant’Antonio. Potrete poi trovare calamite raffiguranti Pulcinella, la pizza, e le altre mille cose che rendono splendida questa città. Mai, o quasi, troverete una calamita riproducente un solo luogo o monumento, dietro al quale rappresentare simbolicamente tutta la città.
Troppi luoghi di cui tener conto, troppi antefatti da raccontare, in una città che di storia abbonda, possedendone forse sin troppa. Impossibile visitarla nel giro di un paio di settimane, figuriamoci nel corso di qualche riga. Necessaria dunque, anche se dolorosa, una scrematura nel menzionare i luoghi al centro del tour cittadino, che spero il lettore mi perdonerà.
Parto catapultandomi direttamente nel cuore di Napoli. Pieno centro storico, il cui primo insediamento partì dalle pendici della collina di Pizzofalcone, per poi protrarsi verso l’interno. È il luogo dove si sono succeduti e incontrati tutti i popoli che hanno abitato queste sponde – dai greci ai romani, fino agli aragonesi e ai borbone, passando per bizantini, normanni e altri ancora – e dove oggi si trovano molte delle testimonianze del loro passaggio, spesso sopra ed altrettanto di frequente sottoterra. Elementi che insieme si mescolano creando un ambiente eterogeneo come pochi altri al mondo. Da qui si diramano in ogni direzione tutti i grandi monumenti e i quartieri storici della città.
Da Forcella e via Duomo fino ai quartieri spagnoli e via Toledo, passando per San Gregorio Armeno, Via dei Tribunali, Piazza del Gesù Nuovo, San Domenico Maggiore, e magari allungarsi fino al quartiere della Sanità, Piazza del Plebiscito o Castel Nuovo, e la lista potrebbe continuare all’infinito scendendo nello specifico. Il tutto lungo uno spazio che orizzontalmente altro non corrisponde che a Spaccanapoli, il decumano che sin dall’antichità divideva la città in due tronconi. Due chilometri da cui basta scostarsi pochi passi per poter godere appieno dell’incredibile bagaglio culturale che questa zona è capace di regalare. Stili architettonici completamente diversi tra loro si alternano nel giro di pochi metri. Una concentrazione di arte e storia semplicemente esorbitante.
Il centro storico è inoltre il punto ideale grazie al quale iniziare ad entrare in contatto con l’anima di questa città. Gli odori, i suoni, i paesaggi, la gente, le sensazioni che s’incontrano qui sono le stesse che poi con varie sfumature ed in altri modi si possono trovare nel resto della città. Una sorta di riassunto, di quello che può essere Napoli, anche nella sua versione calcistica.
Non a caso, i primi passi del calcio partenopeo infatti si sono mossi proprio da qui. Da Vico San Severino e Pignasecca, le sedi di discussione storiche da cui tutto prese il via, dalle quali nacque la prima società calcistica del capoluogo nel 1904, il “Naples Football Club“, e da cui successivamente nel 1926 nascerà, grazie alla fusione con l‘Unione Sportiva Internazionale Napoli, il club che oggi tutti conosciamo.
Ma è all’interno dei Quartieri Spagnoli dove l’azzurro finisce con il permeare le strade. Ai muri dei vicoli e delle strade di tutta la città sono spesso affidate storie ed eventi da narrare ai posteri. I murales finiscono con il diventare il libro cittadino per eccellenza, e nascosto nel labirinto dei Quartieri se ne trova uno avente un significato diverso rispetto a tutti gli altri, diventato con gli anni sempre più luogo di culto sia per il tifoso napoletano sia per il semplice amante di calcio.
Un’altra Napoli, il Vomero
Dall’alto della loro imponenza la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo dominano la città, uno di fianco all’altro, forse a rappresentanza dell’eterna inscindibilità del potere delle armi e quello della fede. Per secoli hanno costituito quasi esclusivamente il Vomero, che fino al XIX secolo è rimasto solo una sorta di lontana periferia poco abitata.
La storia poi ha voluto altro, con il quartiere che grazie alle forti spinte urbanistiche e di espansione dovute al continuo sviluppo della città è finito con il diventare una sorta di Napoli 2.0 dai toni più borghesi, almeno di facciata. E con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, anche il mondo del pallone si è visto costretto a muoversi verso l’alto.
Lo Stadio Partenopeo (o Ascarelli) inaugurato appena nel 1930, era infatti finito in macerie sotto i bombardamenti degli alleati, costringendo il Napoli a trasferire il proprio domicilio presso quello che nel 1943 era diventato per volere della Wehrmacht un campo di concentramento, dal quale evento inoltre scaturirono le famose “Quattro giornate di Napoli“ e che contribuirono a loro volta ad influenzare anche la scelta del successivo nome per l’impianto, che divenne Stadio della Liberazione.
Divenuto poi Stadio Arturo Colonna, fu a lungo casa della società partenopea, che aveva inoltre insediato la propria sede nella palazzina adiacente il campo. Tuttavia, il complesso aveva diverse pecche che costrinsero il club a mettersi nuovamente alla ricerca di una nuova casa. Ancora una volta furono le nuove spinte edilizie a spostare il domicilio dei partenopei. Con il boom economico, l’attenzione si era spostata verso il quartiere di Fuorigrotta, che si ritrovò di colpo al centro di un’urbanizzazione forse eccessiva e spesso fuori controllo, dal quale venne alla luce anche il nuovissimo Stadio del Sole.
Stadio Diego Armando Maradona
Il tempio del calcio partenopeo, la casa di ogni tifoso napoletano. Se non vi siete mai recati in macchina ad una partita del Napoli, non potete affermare con certezza di essere una persona dotata di pazienza. Conosciuta per essere una città caotica, nei momenti antistanti e subito successivi alle partite di cartello, Fuorigrotta non ha nulla da invidiare al traffico della 5th Avenue.
Stadio del Sole prima, Stadio San Paolo poi, Stadio Diego Armando Maradona ora. Quel maledetto 25 novembre di cose, e di vite, ne ha cambiate davvero tante, e tra queste anche la denominazione dello stadio dove El Pibe de Oro ha di fatto regalato le gioie più grandi al popolo napoletano, facendo innamorare generazioni intere grazie alle proprie giocate, e al proprio modo di essere. In quegli stessi giorni, il popolo napoletano si è riunito ancora, per un’ultima volta, intorno al proprio campione.
Ciò che Maradona è stato per la città di Napoli è qualcosa di quasi inconcepibile, che ha sconfinato e sconfina ampiamente i limiti del rettangolo di gioco. È stata prima la speranza, poi la rivalsa di un intero popolo. Un uomo divenuto divinità, eppure così vicino al popolo, così umano per l’essere rimasto imperfetto nonostante l’ascesa verso l’Olimpo, con tutte le sue debolezze, con tutti i suoi difetti.
Quando le luci dello stadio si accendono, Napoli si ferma. Che sia in curva, sul divano di casa davanti la tv o per radio, l’urlo è sempre pronto ad esplodere all’unisono per tutta la città: chi si è mai trovato a Napoli in concomitanza con qualche partita ne sa qualcosa. Non sarà il più bello degli stadi, magari non registrerà sempre il pienone, ma è uno di quei palcoscenici che nella serata giusta sa regalare emozioni indescrivibili, capace di far venire la pelle d’oca al di là di ogni fede e colore.
Posillipo
“Tregua dal pericolo”, “che fa cessare il pericolo”. Questa la traduzione dal greco del nome della nostra ultima fermata. Ed è esattamente la sensazione che regala il paesaggio di fronte a noi, quello interpellato in occasione del discorso calamite. La vista di Napoli da questo punto della città regala un attimo di fuga dal mondo, un senso di sollievo che dà tregua a tutti i pensieri, con il cervello che smette di elaborare, troppo intento a cercare di comprendere quanto gli si pari dinanzi.
Napoli non può lasciare indifferenti, questo è poco ma sicuro. Chiunque l’abbia toccata con mano propria, che sia stato per un giorno o per una vita, non può esimersi dal cercare di descriverne le sensazioni. Ci hanno provato in tanti, basti fare una semplice ricerca su Google per accorgersi di quante considerazioni, e da quanti personaggi, ognuno proveniente da contesti diversi, ci siano su questa città.
Pino Daniele ha sempre rappresentato la voce della verità per la propria Napoli, ma attraverso le sue parole quello che viene alla luce è soprattutto il legame travagliato, spesso tormentoso, che ogni napoletano ha con la propria città. Fatto di luci ed ombre, odi et amo, inossidabile e sempre vivo. Nonostante tutto, nonostante tutti. Ma è un qualcosa che se non ti scorre nelle vene non puoi capire sino in fondo. C’è una frase che invece mi ha da sempre colpito, per la semplicità con cui è capace di esprimere l’ampio spettro dell’essere Napoli, ed è di Luciano De Crescenzo.
Napoli per me non è la città di Napoli, ma solo una componente dell’animo umano che so di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no.
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