Cosa sarebbe successo se durante Roma-Sampdoria del 2010 Pazzini fosse uscito per infortunio? Il racconto nel nuovo What If.
Il triplice fischio finale arriva come una benedizione. Un’altra battaglia è andata, la più difficile. Lo stadio Olimpico è un miscuglio impressionante di sensazioni in quel momento. Da un lato la gioia, incredula e speranzosa. Dall’altra una quasi rassegnata disperazione. Divisa come sempre in due, Roma si appresta a vivere un’altra settimana lunghissima, ma stavolta l’impressione è che quel pomeriggio rappresenti uno spartiacque decisivo per ciò che poi dirà il futuro.
Quel triplice fischio ha posto fine a un folle e tumultuoso derby della Capitale. La Roma, prima in classifica da una settimana, contro la Lazio, ultimo grande ostacolo verso lo scudetto. Un incubo per i giallorossi, col vantaggio laziale al termine dei primi 45 minuti di gioco. Poi un calcio di rigore, l’ascia in mano al boia. Che però fallisce, e da lì l’inesplicabile. Il portiere romanista Julio Sergio, prototipo dell’eroe per caso, para il tiro dal dischetto a Floccari e poi Vucinic, lui davvero eroe designato, ribalta il risultato, regalando alla Roma un successo che a un certo punto sembrava totalmente insperato.
Ora, a quattro giornate dal termine del campionato di Serie A 2009/2010, la Roma guidata da Claudio Ranieri ha un punto di vantaggio sull’Inter di José Mourinho. Il peggio è passato: il derby era l’enorme ostacolo prima del rettilineo finale e in un modo che non può non far pensare a una complicità del destino la Roma lo ha portato a casa. Ancora +1, margine labile, ma confortante. Perché dà la consapevolezza di essere artefici del proprio destino. Di non dipendere da altri.
Il peggio è passato, almeno in teoria. Perché all’orizzonte c’è un’altra sfida delicatissima, contro una delle grandi sorprese del campionato. A una settimana da quell’incredibile derby, la Roma ospita allo stadio Olimpico la Sampdoria, in piena corsa per un posto in Champions League. Un match decisivo, da cui passano, ancora una volta, i sogni scudetto dei giallorossi.
Roma-Sampdoria: l’ultimo ostacolo
È il 25 aprile 2010. Il giorno prima, l’Inter ha battuto l’Atalanta 3-1 ed è tornata in vetta alla classifica. Almeno momentaneamente. La domenica nella Capitale è stata lunghissima, finalmente però è arrivata la sera e l’ora di scendere in campo. Claudio Ranieri vara il suo 4-2-3-1 tenendo fuori Toni, con Menez, Perrotta e Vucinic alle spalle del capitano, Francesco Totti. Del Neri sceglie il suo solito 4-4-2 in casa Sampdoria, con la coppia Pazzini-Cassano a cercare di far male alla difesa giallorossa.
Il match inizia e la Roma parte fortissima, cercando di esorcizzare subito tutta quella pressione derivante dalla vittoria dell’Inter, dall’assottigliarsi della distanza dalla fine del campionato. Da quelle 80.000 anime col cuore pieno di speranza e paura che popolano gli spalti dell’Olimpico. I giallorossi giocano un primo tempo sublime, sbloccando il match dopo 14 minuti con la firma di Francesco Totti – chi sennò – su assist di uno scatenato Mirko Vucinic, ancora col turbo inserito dal derby di una settimana prima.
I primi 45 minuti diventano un Roma contro Storari, col portiere doriano che tiene a galla i suoi in un modo che ha dell’imperscrutabile. Miracoli su miracoli per lui, occasioni su occasioni per la Roma. Ma il primo tempo termina solo 1-0, con la sensazione che quel vantaggio minimo rischia di essere poco rassicurante.
Infatti, la Roma approccia in modo molto più molle il secondo tempo e viene punita subito dopo sette minuti da Giampaolo Pazzini, che riceve un cross sul secondo palo dal grande ex del match, Cassano, e senza pietà schiaccia tra le gambe di Julio Sergio. L’Olimpico si gela, la paura avanza. Ma la Roma si ricompatta, incassa il colpo e prova a reagire. Ranieri aumenta le marcie, inserisce Toni e Taddei per Perrotta e Cassetti.
Un momento di svolta arriva quando la Samp perde per infortunio il proprio bomber. Alla mezz’ora circa del secondo tempo, Pazzini esce dal campo dolorante e sommerso dai fischi che sanno tanto di pericolo scampato. I doriani perdono infatti il proprio riferimento offensivo e finiscono per schiacciarsi a difesa del pareggio.
I giallorossi a loro volta alzano il baricentro, aumentano l’aggressività, cingono d’assedio la Sampdoria. Un pareggio equivale a una sconfitta e le ultime preoccupazioni difensive saltano definitivamente. Il tempo però scorre, e spaventa in un modo terribile.
La svolta del destino
La Roma attacca. La Samp resiste. Il tempo scorre. La classifica vede l’Inter avanti di un punto sulla Roma ora. A tre giornate dal termine del campionato. I cuori di quelle 80.000 anime stipate sui gradoni dell’Olimpico tambureggiano all’impazzata. Diventa una lotta contro tutto. Contro quell’ostinata squadra blucerchiata. Contro quel maledetto cronometro che continua a correre. Contro le tante delusioni che hanno segnato la storia della Roma. Contro le tante occasioni sfuggite di mano in maniera beffarda.
Poi, però, quella lotta improvvisamente si ferma. O meglio, si definisce. Si realizza. Al minuto 85, sull’ennesima palla buttata in area dai calciatori giallorossi, si materializza la testa del gigante col numero 30 sulle spalle. Una frustata, la palla che vola verso l’angolino, la mano che sale all’altezza dell’orecchio per sentire l’immenso boato che sta per produrre l’Olimpico. Luca Toni trova il gol del 2-1 della Roma, la rete che riporta i giallorossi avanti. Sulla Sampdoria e sull’Inter.
I tifosi impazziscono sugli spalti, così come i giocatori in campo. L’assedio che andava avanti ormai da mezz’ora giunge a compimento con la capitolazione del nemico. La Roma è di nuovo avanti. 2-1 come una settimana prima. Con la stessa fatica, la stessa tensione. Ma anche con la stessa gioia. Pochi minuti dopo arriva un altro, altrettanto agognato, triplice fischio finale. La squadra di Ranieri ha superato anche quest’ostacolo, questo forse davvero l’ultimo prima del rettilineo finale. Ora serve solo mantenere l’equilibrio e non cadere, per arrivare a tagliare per primi il traguardo.
Cammino in discesa
Roma-Sampdoria dà ai giallorossi una carica pazzesca e l’ulteriore consapevolezza che deve esserci un disegno più ampio, la mano del destino, dietro a partite come quelle. Da quel momento in poi, la strada verso lo scudetto è una discesa che conferisce sempre più velocità ai giallorossi. Una settimana dopo la battaglia con la Sampdoria, i giallorossi vincono a Parma, ancora 2-1, con le firme di Totti e Taddei prima del gol di Lanzafame che serve solo a dare quel brivido di ansia al finale di partita.
Poi, ancora una settimana dopo, c’è il Cagliari all’Olimpico. Un’altra partita folle, coi sardi che vanno avanti alla mezz’ora del secondo tempo con Lazzari, ma nel finale una doppietta di Totti ribalta il risultato. La firma del capitano, decisiva e provvidenziale, su uno scudetto che ora dista solo 90 minuti e 500 km.
Il 16 maggio 2010, la Roma gioca in casa del Chievo l’ultima giornata di campionato. In vetta alla classifica, un punto di vantaggio sull’Inter, impegnato intanto sul campo del Siena. 18.000 tifosi seguono la squadra alla volta di Verona. Un vero e proprio esodo biblico. L’ennesimo atto di fede per una stagione che sta avendo davvero dei risvolti mistici. Gli ultimi 90 minuti di campionato vengono archiviati già al termine dei primi 45 dalla Roma, con Vucinic e De Rossi che firmano i due gol con cui i giallorossi chiudono in vantaggio il primo tempo.
La ripresa è una passerella, un’altra attesa interminabile. Ma stavolta sognante, non isterica. Stavolta l’incedere delle lancette è dolcissimo, stavolta quel cronometro corre sospinto dai 18.000 tifosi della Roma al Bentegodi e dai milioni che iniziano a popolare le strade della Capitale. Arriva, quindi, un altro liberatorio triplice fischio finale: la Roma batte 2-0 il Chievo ed è campione d’Italia.
Il trionfo della Roma
Quella della Roma è stata una marcia trionfale, iniziata nel peggiore dei modi, con due sconfitte nelle prime due di campionato, l’addio di Spalletti e l’arrivo al suo posto di Claudio Ranieri. Il tempo di plasmarsi intorno al nuovo condottiero, e la squadra acquisisce un ritmo incessante, compiendo una pazzesca rimonta ai danni dell’Inter, che si concretizza poi in partite clou come la vittoria proprio contro i nerazzurri all’Olimpico col gol decisivo di Toni, o il successo sull’Atalanta alla 33esima giornata che ha regalato, per la prima volta, la vetta della classifica ai giallorossi.
Poi il derby e quel Roma-Sampdoria, il colpo di testa di Toni che ha scacciato la grande paura. Questo è stato il passaggio fondamentale per la stagione giallorossa. Il vero e proprio gol scudetto. Poi le ultime tre vittorie, col brivido in casa col Cagliari, e l’estasi pura. La conquista di uno scudetto totalmente inatteso a inizio stagione. Un’impresa che porta la firma di Claudio Ranieri, romano e romanista, che al termine di quel Chievo-Roma non può nascondere le lacrime per quella che è la più grande vittoria della sua carriera. Perché c’è tanto di personale in questo scudetto, c’è la gioia della sua gente, del suo popolo.
Roma, come nove anni prima, si colora di giallorosso e festeggia. Una festa che non vuole terminare mai, che si prolunga per tutta l’estate. Il secondo scudetto di Totti, ma il primo di De Rossi, che finalmente corona il suo sogno. Lo scudetto di Julio Sergio, provvidenziale con quel rigore su Floccari e decisivo per tutta la stagione. Lo scudetto di Vucinic, semplicemente devastante per tutto il campionato, l’uomo giusto al momento giusto in quello storico derby che ha spianato la strada verso il titolo.
Infine, lo scudetto di Claudio Ranieri, il grande condottiero del suo popolo, eternizzato col capo cinto di alloro come i grandi imperatori romani. La sua mano ha posto le basi per la conquista dello scudetto, il suo cuore ha reso possibile questa vittoria. E la sua impresa resterà per sempre nella storia del calcio.