Per tutte le persone, come me, appassionate di calcio e nate nella prima metà degli anni ’90 immaginare una squadra di figurine non è un esercizio complicato. Tutti noi abbiamo vissuto la nostra infanzia col mito di una squadra, formata dalla fame (e dai soldi) di Florentino Perez, che racchiudesse tutti (o quasi) i fuoriclasse dell’epoca in un solo (dream) team. Quella squadra, quel Real Madrid, prese il nome di “Galacticos” e nonostante gli enormi nomi, raccolse meno di altre versioni delle “Merengues”; forse proprio a causa del peso di quella nomea. Il punto più lucente di quella gestione – probabilmente a sentire alcuni madridisti l’unico che vale la pena ricordare – è quello che, esattamente venti anni fa, portò la prima Champions League nella bacheca di Perez. Grazie al gol più bello segnato in una finale, almeno dai tempi in cui ha cambiato nome. Un gol che ha contribuito a mettere a fuoco la grandezza di Zinedine Zidane, il numero 10 più decisivo, in una squadra di numeri 10.
L’acquisto più costoso della storia
La stessa elezione che portò Florentino Perez a diventare, nel luglio 2000, presidente del Real Madrid è paradigmatica del suo rapporto col calcio e in particolare col mercato. Infatti la promessa elettorale che risulterà decisiva nella vittoria sarà quella di portare al Bernabeu Luis Figo, stella degli acerrimi rivali del Barcellona, che da lì a poco sarebbe stato insignito anche del Pallone d’oro, come miglior giocatore dell’anno. Quel trasferimento diventò il più ricco di sempre, con 140 miliardi di lire italiane (al cambio 37 milioni di sterline). Una cifra assolutamente pazzesca per l’epoca, che cancellò il record precedente appartenente alla Lazio di Cragnotti che per comprare Hernan Crespo, si “limitò” a sborsare 110 miliardi di lire.
Non bastava. Il Real Madrid 2000-2001 concluse la stagione solo con la vittoria della Liga, senza riuscire in ciò che i madridisti davano (e danno) quasi per scontato: giocarsi la vittoria della Champions League. La Coppa dalle grandi orecchie riveste per i blancos una mistica speciale, è il loro habitat naturale, il posto dove si sentono perfettamente a loro agio. Per cui Perez, non pago dai risultati, pur avendo aggiunto Figo ad una squadra che già poteva contare su campioni del calibro di Raul, Roberto Carlos o capitan Hierro alzò ulteriormente l’asticella, economica quanto tecnica della squadra. Per questo diede alla Juventus 150 miliardi di lire, per assicurarsi le prestazioni di Zinedine Zidane. Il francese era, probabilmente insieme a Figo e a Ronaldo, nettamente il calciatore più forte sul pianeta.
Zizou era riuscito, da relativamente poco, a portare la Coppa del Mondo in Francia e la Juve di fine anni ’90 era una squadra di grandissimo spessore internazionale, di cui lui e Del Piero rappresentavano la sublimazione tecnica. Nulla era abbastanza da poter fermare il desiderio di Florentino. Alle porte della stagione 2001-2002 quella che si presentava era una squadra, almeno sulla carta, fortissima; affidata ad un uomo dal deciso DNA blancos, come Vincente Del Bosque, che per far sì che tutto il talento avanzato di una squadra con Zidane, Raul, Figo potesse esprimersi al meglio, trovò in Claude Makelèlè l’equilibratore ideale.
Hampden Park, 20 anni fa, 19:45 UTC+0
La grandezza di Zidane prima di quella sera era quasi tutta racchiusa nello straordinario double compiuto con la sua Francia, con cui nel giro di due anni era riuscito a vincere Mondiale ed Europei. Con il club, allora la Juventus, i trofei non erano ancora al livello delle selezioni nazionali, ma le prestazioni restituivano comunque l’immagine di un fuoriclasse assoluto. Zizou era un numero 10 stra-moderno, in grado di giocare a tutto campo, in grado di unire ad un’intensità da “mediano” l’eleganza di trequartista. Il suo controllo del corpo, dello spazio e del tempo nelle giocate erano armonia pura.
Home & Away #InterJuventus pic.twitter.com/g8Zy3dz98I
— Stop That Zizou (@StopThatZizou) January 12, 2022
Gli avversari quasi sembravano scansarsi ed allontanarsi, disorientati dal modo di toccare il pallone del francese. Per raggiungere però il massimo dell’epica anche a livello di club, sarebbe servito un (altro) trionfo. E già al primo anno in blancos, la ghiotta occasione venne a materializzarsi, in una finale in terra scozzese, dopo un cammino piuttosto ricco di insidie, ma risolto con l’autorevolezza delle grandi squadre. Dopo aver eliminato il Bayern Monaco nei quarti e il Barcellona in semifinale, la squadra che in terra di Scozia si trovò davanti alle merengues, era una totale outsider. Il Bayer Leverkusen di Michael Ballack non aveva mai raggiunto un picco così alto; in quella che passerà alla storia come la settimana della Bayer Neverkusen, le Aspirine solo per essere arrivati a quel punto confermavano di aver disputato una stagione di altissimo livello.
Già dalle primissime battute si capì che i tedeschi non avevano alcun timore reverenziale. Dopo il gol del vantaggio firmato da Raul, molti potevano aspettarsi una finale già scritta, pendente a favore dei blancos. A riportare subito la contesa in parità fu però Lucio, alla sua prima campagna europea, con un bel colpo di testa su calcio piazzato. Una partita che sembrava protendere verso una pioggia di gol si blocca improvvisamente in una fase di studio, classica delle finali di Champions League. Ci vorrebbe il colpo di genio di un campione.
Zinedine Zidane, oppure come gestire un campanile dal limite dell’area di rigore
Al quarantaquattresimo è Roberto Carlos a dover gestire un pallone scomodo, che gli rimbalza davanti e per evitare l’intervento del vicino avversario, alza di prima intenzione una traiettoria, piuttosto sgangherata a campanile, verso il centro del campo. Un tipo di cross senza nessuna pretesa che mette in difficoltà il compagno anche solo nell’intenzione di stoppare la sfera. Zidane, appostato con i piedi sulla linea dell’area di rigore, è l’unico che può intervenire sul pallone. Chiunque stia vedendo la partita, si rende benissimo conto che è un pallone troppo alto per colpirlo di testa con la giusta forza. E che solo provare a gestirlo con uno stop, porterebbe tutta la difesa rossonera ad “uscire” sul francese.
Ma Zizou cambia la sua postura in una frazione di secondo. Da frontale, aspetta il pallone lateralmente, si inarca e aspetta. Aspetta che il pallone cominci la sua discesa, poi carica il sinistro e quando il pallone sembra ancora ad un’altezza improponibile per gli essere umani, spara verso la porta con la meccanicità di una tagliola per cinghiali che ha scovato la sua preda. In quel caso, la selvaggina di Zidane era il pallone, colpito con la forza perfetta e il mezzo collo del piede a dare l’effetto. Le braccia si muovono di conseguenza, con l’armonia di chi il gioco lo percepisce prima. Non c’è neanche il tempo di capire la difficoltà del gesto tecnico, che si vede l’inesorabile esito. Incrocio dei pali, Butt tenta il miracolo, intuisce quello che sta per succedere, ma lo fa con un attimo di ritardo; quell’attimo che i fuoriclasse lasciano a chi è “solo” molto bravo.
L’account ufficiale del Real Madrid su Youtube sceglie la Turandot di Puccini per accompagnare questo gol. Una scelta musicale azzeccatissima per un gol estremamente lirico. Io, italiano, semplice estimatore di Zidane, avrò rivisto questo gol duecento-trecento volte. A vent’anni di distanza mi chiedo ancora in che dimensione abbia portato il gioco vedere fare una simile acrobazia. Vedere una gamba sinistra così in alto, che colpisce un pallone così sbilenco, realizzando un gol di un’importanza capitale nella partita più importante dell’annata calcistica per club. Vedere come quell’arto sembri staccarsi dal corpo, diventare tanto elastico da sembrare un calcio tirato da Rubber in One Piece. Per poi ricomporsi esattamente dov’era.
Il gol decisivo ai fini del punteggio, è uno di quei rarissimi casi in cui il risultato è stato lasciato indietro dal gesto tecnico.