La duttilità sta prendendo il sopravvento a sfavore della specificità. Questa è, probabilmente, una delle tante tendenze che sta mettendo in mostra il calcio moderno: alta intensità, tanta attenzione alla tecnica e alla qualità, ma sempre applicate alla velocità e al dinamismo. Tutte caratteristiche che vanno a caratterizzare le squadre che in questi anni hanno dominato i palcoscenici domestici e, soprattutto, quelli europei.
Il Real Madrid di Zinedine Zidane improntato sul dominio tecnico dei suoi centrocampisti, abili a gestire il possesso palla e i ritmi della partita, ma senza cadere nella trappola dei bassi ritmi di gioco; il gegenpressing (termine ormai abusato ma che per l’occasione casca a pennello) del Liverpool di Klopp e la spiccata verticalità offerta dai suoi terzini e dal trio offensivo; una squadra totale come il Bayern Monaco di Flick, che ha unito sapientemente le immense qualità fisiche dei suoi interpreti con abilità di primissimo livello nella gestione qualitativa del possesso palla; infine, il Manchester City di Pep Guardiola, con una minor ricerca di verticalità e di risalita veloce del campo, ma con fitti scambi di passaggi ad alta intensità, volti a orientare il gioco e a trovare spazi contro le difese avversarie.
In questo contesto tecnico-tattico, la specializzazione nel ruolo da parte dei giocatori sta venendo meno, a fronte di allenatori che apprezzano sempre di più calciatori in grado di garantire un alto livello di rendimento e un ampio ventaglio di caratteristiche a prescindere dal ruolo in cui un determinato giocatore venga impiegato.
Senza voler essere invischiato nella (spesso e volentieri) fastidiosa retorica di Daniele Adani, è quanto mai utile prendere in prestito le sue considerazioni in merito al ruolo del regista, per esemplificare meglio un discorso ormai estendibile anche agli altri ruoli che vanno a comporre una formazione di alto livello. In una nota intervista realizzata con il canale YouTube di Mondo Futbol, l’ex-calciatore della Nazionale italiana e oggi opinionista a tutto tondo esordisce con una considerazione eloquente:
Il regista non è un ruolo, ma un compito.
Ecco, specialmente la Champions League e le competizioni calcistiche più nobili degli ultimi anni stanno mettendo in luce questo aspetto: a diversi giocatori viene richiesto di praticare determinate soluzioni e di svolgere determinate funzioni tecnico-tattiche a prescindere dal ruolo – inteso in termini di posizione fisica, dove un calciatore si muove all’interno del rettangolo di gioco – in cui un giocatore viene schierato in campo. La tendenza del calcio moderno si sta indirizzando verso una predilezione per i calciatori connotati da una spiccata duttilità, abili nel poter garantire lo stesso rendimento, prestazionale e in termini di caratteristiche atletiche e tecniche, in ogni settore di campo.
Queste considerazioni – ovviamente non nuove, già descritte ampiamente da più esperti e addetti del settore – mi sono risultate piuttosto lampanti vedendo da comune spettatore e appassionato i quarti di finale della Champions League in corso. Questo discorso non può ovviamente non essere valorizzato da un allenatore come Pep Guardiola, che più di tutti ha influito sul giuoco del calcio con la sua proposta fatta di funzioni, compiti e movimenti, prioritari rispetto a individualità e ruoli specifici: fino a escludere dai suoi progetti uno dei migliori attaccanti degli ultimi vent’anni nel proprio ruolo (Ibrahimovic), a costo di liberare uno spazio di gioco (quello che teoricamente spetta al centravanti) da riempire al momento opportuno, a prescindere dal giocatore incaricato di andare ad occupare quella determinata posizione.
Il caso di Oleksandr Zinchenko
Proprio l’allenatore catalano sta valorizzando, fin dall’inizio della sua avventura inglese con il Manchester City, un giocatore troppo poco reclamizzato come Oleksandr Zinchenko. Dopo un prestito in terra olandese col PSV Eindhoven, il tragitto dell’ucraino e di Pep si incontrano dall’estate del 2017: in quel momento, Zinchenko è un ventenne mancino di belle speranze, un centrocampista offensivo che sembra in possesso di un alto potenziale. Con il PSV ha giocato letteralmente in qualunque posizione all’interno del cerchio di centrocampo, talvolta più a sinistra, talvolta a destra a piede invertito.
L’arrivo alla corte di Pep è il preludio ad un inaspettato e sensibile cambio di ruolo: da centrocampista a terzino sinistro. Le qualità tecniche e l’abilità nella gestione del possesso palla sono ben visibili, figuriamoci ad uno dei principali interpreti in quel settore di campo come Pep. In quel settore di campo il City è, tuttavia, già ingolfato di talento: Kevin De Bruyne, David Silva, Ilkay Gundogan, e presto si sarebbero aggiunti Bernardo Silva e l’emergente Phil Foden. Ma l’importanza dell’avere un giocatore così abile nel consolidare il possesso palla non può passare sotto traccia, e questa considerazione porta Guardiola a prediligere le funzioni e i vantaggi che può portare un giocatore come l’ucraino, che transita così a sinistra.
A distanza di anni, l’esperimento possiamo dire che è perfettamente riuscito: le stesse caratteristiche che Zinchenko avrebbe garantito da centrocampista centrale ora le sta offrendo ai Citizens con i piedi che calpestano il bordo laterale, a sinistra. Talvolta è Zinchenko ad assumere i galloni del terzino che si affianca al regista (Rodri) in fase di costruzione, proprio come avvenuto nella sfida di ritorno dei quarti di Champions League contro il BVB, altre volte è invece lui a rimanere largo specialmente se sull’altro del lato campo presenzia stabilmente Cancelo, altro giocatore trasformato dal tecnico scuola Barcellona. Fino al 2019, inoltre, Zinchenko era anche accompagnato da una statistica curiosa, da talismano: dal suo arrivo in Inghilterra e fino a quel momento, aveva disputato 32 partite con la maglia del City, vincendone ben 30. Una statistica fine a sé stessa, ovviamente, che nasconde però il valore del giocatore.
Zinchenko continua a rivestire tutt’altri ruoli quando è convocato con la Nazionale ucraina: in una delle ultime partite in maglia gialloblù – contro la Francia, nella prima partita dei gironi di qualificazione per i Mondiali – è stato schierato come trequartista, insieme a Malinovskyi, alle spalle della punta. Trenta metri più avanti o indietro, in una posizione laterale o più centrale: l’importanza di un giocatore come Zinchenko non sta nella sua modernissima specializzazione del ruolo, quanto nella sua capacità di poter garantire importanti certezze nel dominio del gioco e nella gestione del pallone a prescindere dal ruolo in cui l’ucraino viene impiegato.
El Pajarito Valverde
Un altro autentico jolly è il centrocampista uruguaiano che si sta prepotentemente affermando al Real Madrid: Federico Valverde, arrivato alla corte di Zidane nel 2018, è uno dei centrocampisti più futuribili dell’intero panorama internazionale. Probabilmente la sua crescita avverrà nel ruolo di mezzala o da mediano in un centrocampo a due, grazie alla sua spiccata propensione alla rottura del gioco ma anche alla facilità di corsa e agli inserimenti; per ora non è certo facile scalfire i gradi di titolari indiscussi del trio composto da Kroos, Casemiro e Modric, specialmente dopo che il croato ha recuperato il suo status dopo i timidi segnali di appannamento mostrati nella stagione successiva alla conquista del Pallone d’Oro.
Ecco che, in ogni caso, il centrocampista sudamericano è riuscito fin da subito a ritagliarsi uno spazio importante nello scacchiere dei blancos, mica un posto qualunque: per Zizou Valverde è un giocatore preziosissimo non solo per la sua qualità – che spesso non splende a fianco dei compagni celestiali al suo fianco, ma è notevole e soprattutto efficace – ma anche per l’intensità e la grande capacità di corsa presente nei polmoni dell’infaticabile centrocampista. Valverde, in queste due stagioni, sta così risultando preziosissimo nell’accompagnare un reparto di centrocampo che spesso, per ragioni di età e caratteristiche, sta mostrando dei timidi segnali di cedimento (solo) in termini fisici.
Caratteristiche e funzioni che Valverde è capace di offrire – a costo di sembrare ripetitivi – a prescindere dal ruolo in cui viene impiegato: nel ritorno dei quarti di finale dei Champions, con il Liverpool, il tecnico transalpino l’ha utilizzato come terzino (Zinchenko, is that you?) destro per via dell’emergenza infortuni che ha fatto da filo conduttore in questa stagione del Real; in altre occasioni è stato utilizzato in un ruolo a lui più congeniale come quello di mezzala. In altre partite ancora Zidane l’ha utilizzato come esterno alto a destra, in una sorta di tridente offensivo, ma in realtà nell’ottica di permettere qualche corsa in meno a Kroos e soprattutto Modric, spesso in partite contro squadre di alto livello.
Insomma, il calcio ad alta intensità di questi ultimi anni sta mettendo in risalto quanto siano preziosi i giocatori “universali”, un termine quasi ingeneroso: Zinchenko, Valverde e altre figure appartenenti a questa cerchia non possono certo essere considerati dei tappabuchi, o soltanto dei giocatori “complementari” agli altri soltanto perché facenti parte di club colmi di stelle di valore assoluto. Il loro valore è fondamentale in particolar modo agli occhi dei rispettivi allenatori, ma si evidenzia in maniera lampante anche agli occhi dei più distratti osservatori calcistici. La loro capacità di rivestire una funzione importante in determinati momenti e fasi della partita, in molteplici scenari tecnico-tattici a prescindere dal ruolo in cui vengono schierati, è una risorsa fondamentale.
Non solo Zinchenko: un occhio in Italia
Anche in Italia possiamo ritrovare esempi simili, nonostante il calcio con caratteristiche spiccatamente europee sia praticato con frequenza più rara (molto spesso l’Atalanta, il Bologna andando ad un livello inferiore). Un esempio di portata minore può essere Tomiyasu, proprio nella squadra allenata da Sinisa Mihajlovic: impostosi nella scorsa annata nel ruolo di terzino destro “bloccato”, in una linea che poi si sviluppava a tre in fase di possesso, il difensore giapponese in questa stagione è stato utilizzato dal tecnico serbo in ognuno dei quattro ruoli della difesa.
Il perché? Le letture difensive di Tomiyasu e la sua solida abilità nell’impostazione da dietro sono caratteristiche che il giocatore possiede in maniera naturale – magari con più difficoltà se schierato a sinistra -, e sono state utilizzate dal tecnico serbo (il cui impianto di gioco è troppo spesso sottovalutato, ma nasconde in realtà diverse dinamiche interessanti, anche facilitate dai notevoli talenti a sua disposizione) a seconda delle necessità della formazione felsinea.
Duttilità e abilità che vengono garantite a prescindere dal ruolo in cui un giocatore viene impiegato: diversi compiti di gioco (per tornare all’esempio offertoci da Adani, quello del “regista”) prima affidati a un singolo ruolo e che ora si stanno propagando in diversi settori di campo, e giocatori che risultano preziosi nella loro capacità di offrire soluzioni e funzioni con un rendimento costante in più porzioni del terreno di gioco. Sembrano queste alcune delle principali direzioni verso cui si sta specializzando (termine curiosamente fuorviante in relazione al tema di questo articolo) il calcio moderno.