Il 16 gennaio 2002 Gianfranco Zola segnava la rete più bella della sua carriera e una delle più assurde nella storia del calcio.
Sono trascorsi diciannove anni. Se mi trovassi nell’incipit del film “Titanic” probabilmente mi sembrerebbero una nullità e potrei persino provare a ricordare l’odore dell’erbetta bagnata di quella sera. La realtà però è ben diversa e, come abbiamo imparato recentemente, può cambiare piuttosto in fretta. Diciannove anni possono rappresentare un’eternità se si pensa che all’epoca il mondo era ancora frastornato dall’attacco terroristico al World Trade Center e cercava di tornare, psicologicamente, alla normalità. Eppure questo non impediva a più di 24.000 spettatori di trovarsi a Stamford Bridge per un semplice terzo turno di FA Cup. Oltretutto, nessuno – forse nemmeno i suoi genitori – sapeva ancora chi fosse Byron Moreno. Era il 16 gennaio 2002: eravamo felici senza esserne consapevoli.
Quella sera, nel gelo di Londra, lo sfidante del Chelsea di Claudio Ranieri è il Norwich City. In palio c’è un posto per il quarto round della FA Cup, dopo il pareggio a reti inviolate arrivato undici giorni prima al Carrow Road. I Blues si trovano ormai fuori dalla lotta per il titolo di Premier e sono reduci dalla cocente eliminazione con l’Hapoel Tel Aviv in Coppa UEFA: Ranieri non può più sbagliare. E quindi, nonostante abbia di fronte una squadra proveniente dalla Championship, decide di schierare la cavalleria pesante.
Zola, un cilindro magico senza limiti
Carlo Cudicini tra i pali, in difesa i titolarissimi Gallas e Desailly, a centrocampo Mario Stanić e il nuovo arrivato Frank Lampard, che ha appena iniziato a sorprendere tutti. In attacco il veterano Gianfranco Zola – solitamente schierato in una posizione più arretrata – affianca l’irreprensibile Guðjohnsen. Probabilmente le speranze di qualificazione dei Canaries si spengono già durante la lettura delle formazioni. Troppo elevato il divario tecnico tra le due compagini.
E la realtà non fa che confermare le previsioni: il Chelsea impone il proprio gioco sin dai primi minuti di gara. Mario Stanić porta in vantaggio i suoi all’11’, sfruttando la confusione generatasi nell’area del Norwich a seguito di un calcio d’angolo. Nonostante le numerose occasioni, il raddoppio arriva soltanto nel secondo tempo, nuovamente all’11’. Frank Lampard si fionda e spinge in rete una palla ribattuta dal portiere Green su un tiro dalla distanza dell’onnipresente Stanić. Il Chelsea si porta quindi sul 2-0 e i tifosi presenti allo Stamford Bridge si preparano a vivere una mezz’ora meno avvincente, finalizzata al controllo del risultato da parte dei londinesi. Non sanno, invece, che di lì a pochi minuti assisteranno con i propri occhi ad una delle reti più belle nella storia del calcio.
Il miracolo si compie infatti al 62′. L’arbitro Peter Jones assegna un calcio d’angolo per i Blues dalla destra: ad incaricarsi della battuta è il terzino Graeme Le Soux. Il pallone non viene calciato benissimo, raggiungendo a mezza altezza l’area piccola, dove sarebbe stato facile preda dei difensori avversari. Ma Gianfranco Zola, partito dal centro, anticipa tutti con un taglio e manda il pallone in rete sul primo palo con uno splendido colpo di tacco al volo, pescando un angolo impossibile soltanto da concepire. Una rete che manda in visibilio tutti i presenti.
Non chiedermi come ho fatto, perché non lo so. Potrei riprovarlo 100 volte senza riuscirci di nuovo.
Un gol incredibile, che più di ogni altro sintetizza la creatività, l’intelligenza tattica e il senso della posizione del campione italiano. Il quale, nonostante la prodezza, al termine della gara (finita 4-0) continua a dimostrare l’umiltà e la modestia che da sempre gli sono riconosciute. Non è invece dello stesso parere il suo allenatore Claudio Ranieri:
Solo Maradona o Pelé – solo i grandi giocatori – farebbero una cosa del genere. Gianfranco prova di tutto perché è un mago e un mago deve sempre provare.
“The Magic Box”
Dopotutto, quel gesto privo di ogni logica è stato solo l’emblema di un calciatore fuori dall’ordinario e il momento apicale della sua immensa carriera. È come se, alla soglia dei trentasei anni, Gianfranco avesse deciso di lasciare un’impronta indelebile e di consegnarla in eredità alla sua amata signora inglese, prima di salutarla definitivamente. L’eterna incoronazione di un’avventura iniziata, quasi per caso, nel 1996. Dalle parti di Stamford Bridge erano infatti già da tempo abituati alle prodezze di quel piccoletto italiano con la maglia numero 25. Tanto da eleggerlo a idolo delle folle e a soprannominarlo “Magic Box“.
In Italia: gli inizi a Napoli…
Al suo arrivo a Londra all’età di trent’anni, fortemente voluto dal nuovo tecnico Ruud Gullit, la sua carriera e il suo palmarès hanno già tanto da dire. Zola, originario della Sardegna, esordisce nelle serie minori italiane con le compagini di Nuorese e Torres, prima di ricevere la chiamata del Napoli nel 1989. All’ombra del Vesuvio vince subito il suo primo (e unico) campionato italiano, giocando spesso come riserva di Careca, al fianco di Diego Maradona.
Il quale, prima di lasciare i partenopei, consiglia di puntare sul giovane sardo, designandolo ufficialmente come suo erede. Non andrà affatto così: dopo due stagioni vissute da protagonista sotto la guida di Claudio Ranieri (che, come abbiamo visto, rincontrerà al Chelsea), i problemi economici della società rendono necessario il suo trasferimento all’ambizioso Parma di Nevio Scala.
… e la consacrazione a Parma
Con la maglia dei ducali arriva la consacrazione definitiva di Gianfranco, che nella città emiliana vive gli anni centrali della propria carriera. Il sogno mal celato della dirigenza è di vincere lo scudetto, dopo i risultati positivi conseguiti nei primi anni di massima serie. Anche per questo viene scelto Zola, che ha già dimostrato di saperlo fare. A Parma, Gianfranco si trova al centro del progetto e dimostra sin da subito di beneficiarne: nella prima stagione segna 18 gol in campionato e vince la Supercoppa UEFA ai danni del Milan.
Il ruolo di seconda punta al fianco di Faustino Asprilla sembra disegnato appositamente per lui e per la sua fantasia. Nondimeno, continua il suo speciale rapporto con i calci di punizione: memorabile quella contro la Lazio, una delle venti andate a segno nel massimo campionato italiano, che ne fanno il quinto miglior realizzatore in assoluto.
Ma è nell’annata successiva – 1994/1995 – che il piccolo Gianfranco Zola riesce a toccare il cielo con un dito: 19 gol in campionato, 28 tra tutte le competizioni, uno scudetto a lungo conteso (invano) con la Juventus e, soprattutto, la rivincita in Coppa UEFA, proprio ai danni della Vecchia Signora. Zola si conferma tra i migliori calciatori italiani della sua generazione, al fianco di Roberto Baggio e del giovane Alessandro Del Piero, e conquista il sesto posto nella speciale classifica per il Pallone d’Oro 1995.
Ma proprio quando le cose sembrano andare per il meglio al nostro fantasista e al suo Parma, ecco che il rapporto si incrina e che le loro strade si dividono. Decisivi saranno gli arrivi di Hristo Stoičkov dal Barcellona nel 1995 e del giovane allenatore Carlo Ancelotti l’estate successiva. Il primo, giocando nel suo stesso ruolo, genera un dualismo tattico irrisolvibile che sottrae minutaggio e serenità a Zola. Il secondo, convinto sostenitore del 4-4-2, opta per la coppia d’attacco composta dallo stesso bulgaro e dal nuovo acquisto Enrico Chiesa, relegando Gianfranco alla posizione di esterno sinistro di centrocampo. Uno scalamento nelle gerarchie mal digerito dal numero 10, che decide di lasciare, accordandosi già da novembre con gli inglesi del Chelsea.
Il 15 dicembre 1995 era stata approvata la Sentenza Bosman: i calciatori dell’Unione Europea potevano trasferirsi gratuitamente, alla scadenza del contratto, a un altro club purché facente parte di uno Stato dell’UE. Questa innovazione epocale portava all’abolizione dei limiti riguardanti il numero di calciatori stranieri all’interno delle singole squadre, favorendo e stimolando notevolmente i trasferimenti. Proprio dalla seconda metà degli anni Novanta si diffonde infatti l’affascinante consuetudine, per diversi calciatori italiani, di proseguire la propria carriera in Premier League, una volta affermatisi in patria. La strada viene tracciata dal pioniere Andrea Silenzi, passato subito dal Torino al Nottingham Forest. La sua esperienza non si rivela però delle migliori, tanto che anni dopo viene nominato tra i dieci peggiori stranieri nella storia della Premier.
Ma non per tutti sarà così. Paolo Di Canio, dopo essere passato anche dal Celtic, scrive pagine meravigliose con le maglie di Sheffield Wednesday, Charlton e soprattutto West Ham. E resta tuttora il miglior marcatore italiano nella storia del massimo campionato inglese con 67 centri. Nell’estate del 1996 la Juventus saluta due dei maggiori protagonisti della stagione culminata con la vittoria della Champions League: Fabrizio Ravanelli e Gianluca Vialli. Il primo si trasferisce al Middlesbrough e con 16 reti risulta tra le rivelazioni del campionato, il secondo passa ai londinesi del Chelsea, dove un paio di anni dopo avrebbe ricoperto anche il ruolo di allenatore. E dove ritrova due connazionali: Roberto Di Matteo e, appunto, il nostro Gianfranco Zola.
Una seconda giovinezza al di là della Manica
Se per quanto riguarda il numero di reti lo scettro spetta a Di Canio, lo stesso non si può dire delle presenze: in questo caso, il primato è proprio di “Magic Box“, che ne conta addirittura 229 tra il 1996 e il 2003. E soltanto in campionato.
Con la maglia dei Blues Zola si rende protagonista di prestazioni memorabili, sin dalle prime apparizioni. Nel mese di febbraio segna al Manchester United, infilando il pallone alle spalle di Peter Schmeichel al termine di un’azione in solitaria, in cui attraversa tutta l’area portando a spasso due difensori dei Red Devils. Una rete che stupisce lo stesso Alex Ferguson, che ammette di averlo sottovalutato e lo definisce “un intelligente moccioso”. Anni dopo avrebbe aggiunto di essersi innamorato delle sue qualità, nonostante fosse tra gli avversari più fastidiosi da affrontare “per quel suo sorriso stampato sempre in faccia“.
Gianfranco si rivela anche fondamentale nella vittoria della FA Cup, con diversi gol arrivati negli scontri diretti, tra cui un tiro dalla distanza contro il Liverpool e, soprattutto, un capolavoro in semifinale contro il Wimbledon. Nell’occasione, riceve palla da Di Matteo al limite dell’area e si libera dalla marcatura dell’avversario con una finta pazzesca: tacco di prima e rotazione di 180° che mandano il difensore completamente dal lato opposto. Un gesto da vedere e rivedere. Nel 1997 viene nominato Calciatore dell’anno dalla Federazione britannica. Diventa il primo a riuscirci nella storia del Chelsea e senza aver giocato l’intera stagione (era arrivato nel mese di novembre).
Le sorprese però non sono ancora finite, perché Zola entra veramente nel cuore dei tifosi soltanto l’anno successivo. Dopo il passaggio del ruolo di player-manager da Ruud Gullit a Gianluca Vialli, arrivano le vittorie della Coppa di Lega e della Coppa delle Coppe. La finale contro lo Stoccarda viene decisa proprio da una sua rete, arrivata trenta secondi dopo il suo ingresso in campo. Palla alta dalle retrovie, inserimento del 25, un rimbalzo e l’impatto con il collo del piede, con la sfera che supera il portiere Wohlfahrt in uscita. L’annata perfetta si chiude persino con la vittoria della Supercoppa UEFA ai danni del Real Madrid, partita in cui però Zola non riesce a mettere la propria firma.
Gli ultimi anni di Zola (ma non per importanza)
Con un terzo posto in campionato e tredici gol segnati da Zola, il 1999 è l’anno in cui il Chelsea si guadagna un posto nella successiva Champions League. Si tratta dell’esordio assoluto per il club londinese, mentre il fantasista sardo poteva vantare già un paio di presenze nella vecchia Coppa dei Campioni, risalenti ai tempi del Napoli. Il viaggio della compagine inglese si rivela più lungo del previsto. Dopo le due fasi a gironi superate egregiamente, il Chelsea incontra nei quarti di finale una delle favorite, il Barcellona di Louis Van Gaal. Nella sfida d’andata, Zola e i suoi regalano al pubblico di Stamford Bridge una vittoria insperata quanto importante. Proprio Gianfranco apre le marcature con una punizione magistrale: la partita termina 3-1. Peccato che, al ritorno al Camp Nou, i blaugrana riescano a ribaltare il risultato servendosi dei tempi supplementari.
Nel 2000, Claudio Ranieri viene chiamato sulla panchina del Chelsea e convince il suo vecchio pupillo a rimanere. Zola era infatti fortemente attratto dalla possibilità di tornare in patria, tra le file del Napoli. Le ultime stagioni con il tecnico toscano si rivelano però prive di trofei e anche Zola viene limitato dall’avanzare dell’età e dalla concorrenza nel suo ruolo, dovuta alla politica di ringiovanimento della rosa.
Ma Magic Box era Magic Box e sicuramente non poteva essere accompagnato alla porta come chiunque altro. Non solo per quanto di buono aveva fatto per la squadra, ma anche per ciò che continuava a realizzare. Il colpo di tacco che oggi ricordiamo e che ha dato il via a questo flashback nostalgico parla da sé. Così come le 14 reti segnate nella sua ultima Premier League, la migliore dal punto di vista realizzativo. Un bottino che aiuta il Chelsea a qualificarsi nuovamente in Champions e culminato nell’ultima rete inglese di Zola: un pallonetto da fuori area contro l’Everton, nel giorno di Pasquetta.
Di sicuro, i trentasei anni segnati sulla carta d’identità non potevano cancellare un talento come il suo. Una verità di cui, oggi più che mai, noi italiani siamo ben consapevoli. Ma che nessuno colse in quell’autunno del 1996, quando si realizzò la fuga di uno dei cervelli migliori che il nostro patrimonio calcistico abbia mai prodotto.